Tributo di Giorgio Comaschi ad Angelo Schiavio, leggendario centravanti e fuoriclasse del Grande Bologna anni Venti e Trenta, senza dubbio il più grande giocatore nella storia del club rossoblù. L'articolo, letto e interpretato da Giorgio Comaschi, venne scritto da Gianni Brera in occasione del cinquantenario del Bologna, nel 1959, e pubblicato sul libro ufficiale dei 50 anni. Ringrazio l'amico Lenny per la gentile concessione del video. Riposto anche l'articolo di Brera, per quelli che non l'avessero letto nel profilo dedicato ad "Angiolino".
Gianni Brera, giornalista e scrittore, articolo scritto per i 50 anni del Bologna.
"L'ultima immagine di Anzléin Schiavio atleta mi balena alla memoria in un grande ellisse di camiciole con le maniche corte: l'Arena a giugno. Doveva arrivare il Giro d'Italia: forse il quarto vinto da Binda. Era in programma Milan - Bologna. Al centro dell'attacco bolognese giocava Anzléin Schiavio fatto magro dagli anni, dal gran correre e dai calci. A guardia della porta del Milan era Compiani. Io stavo appostato presso quella porta con Giorgio Strehler, che allora ignorava Shakespeare ma sapeva egualmente insegnarne di bellissime. Il Milan voleva vivere il suo stadio garibaldino, fatto di tumultuose scorribande in contropiede, di arcigne rincorse in difesa, di spallate e calcioni assai gagliardi. Il mio eroe di allora era el Ginin Perversi, volonterosamente affiorato a Milano dai dolci paduli della mia riva. Schiavio era già nel mito, come avviene di certi dei che altri più fortunati soppiantano nella venerazione degli umili. D'improvviso lo vidi scendere a rete in un gran bagliore di luce: aveva le gambe arcuate, gonfie e quasi bitorzolute di muscoli ipertrofici: teneva i gomiti larghi e difendeva la palla ad ogni tocco di dribbling con una sorta di balzo fra lo scimmiesco e il felino. Inspiegabilmente il carosello dei difensori milanisti si apriva innanzi a lui: poi strinsero in grande affanno Perversi e Schienoni, e intanto Compiani era chinato in avanti e si batteva le mani sulle cosce come chi si aspetta qualcosa. Schiavio accennò uno scarto sulla destra: levò gli occhi dalla palla che aveva toccato da ultimo col sinistro, poi miracolosamente battè rasoterra di collo destro. La palla rigò l'erba già rinsecchita dal solleone, ebbe una sorta di rimbalzo all'altezza del rigore: Compiani si distese e guizzò stancamente verso il palo di destra: giunse a palme unite sulla linea un istante dopo il passaggio della palla. Lo stesso Schiavio parve stupito dal gol. Aveva battuto un destro senza convinzione, forse esausto dallo scatto e dai dribblings precedenti in cuor suo avrebbe preferito - immagino - aprire ad un compagno, a Reguzzoni che seguiva l'azione sull'estrema sinistra, poi l'istinto l'aveva indotto a tentare lo spiraglio intravisto sulla destra. Compiani era al centro della porta, a sua volta si aspettava un passaggio: da quasi venti metri il vecchio sornione l'aveva sorpreso sul tempo. Schiavio alzò le braccia e tentò un saltello che sicuramente venne limitato dall'abitudine. Qualche compagno accorse ad abbracciarlo. Lui si schermì con un timido sorriso. E tornò trotticchiando a centro campo. Il Bologna passò altre due volte. Schiavio sparì per tornare nel mito. Né mi stupì, conoscendolo di persona, molti anni dopo, che fosse svenuto al veder entrare, a un palmo dalle dita di Planicka, il pallone che sanciva la prima vittoria mondiale dell'Italia. Non mi stupì che Monti (una sorta di spietato corazziere del quinquennio) gli avesse stroncato una gamba all'inizio di un incontro decisivo per lo scudetto. Schiavio doveva essere per tutti un avversario tremendo. Vedendolo spesso ritratto da fotografi e da disegnatori, me ne feci un' idea forse stramba ma non implausibile: che avesse graffi, borghie ed uncini alle articolazioni delle braccia e delle gambe, simile a certi guerrieri che non videro l'archibugio. E quando seppi da lui che, nato e cresciuto a Bologna, imparato il calcio e raggiunta a Bologna la celebrità mondiale, era tuttavia comasco di origine, quell'immagine che mi ero fatto prese tale consistenza in me da commuovermi. Appassionato come sono di storia padana, il trasferimento della famiglia Schiavio da Como a Bologna mi parve una riparazione dovuta dai lombardi comaschi a fratelli lombardi più fedeli. Bologna infatti non aveva mai abbandonato la Lega; a Bologna non v'è lombardo che non si trovi a casa, cara deliziosa città in cui mi pare di aver vissuto altre vite, non so in quale tempo favoloso".
"L'ultima immagine di Anzléin Schiavio atleta mi balena alla memoria in un grande ellisse di camiciole con le maniche corte: l'Arena a giugno. Doveva arrivare il Giro d'Italia: forse il quarto vinto da Binda. Era in programma Milan - Bologna. Al centro dell'attacco bolognese giocava Anzléin Schiavio fatto magro dagli anni, dal gran correre e dai calci. A guardia della porta del Milan era Compiani. Io stavo appostato presso quella porta con Giorgio Strehler, che allora ignorava Shakespeare ma sapeva egualmente insegnarne di bellissime. Il Milan voleva vivere il suo stadio garibaldino, fatto di tumultuose scorribande in contropiede, di arcigne rincorse in difesa, di spallate e calcioni assai gagliardi. Il mio eroe di allora era el Ginin Perversi, volonterosamente affiorato a Milano dai dolci paduli della mia riva. Schiavio era già nel mito, come avviene di certi dei che altri più fortunati soppiantano nella venerazione degli umili. D'improvviso lo vidi scendere a rete in un gran bagliore di luce: aveva le gambe arcuate, gonfie e quasi bitorzolute di muscoli ipertrofici: teneva i gomiti larghi e difendeva la palla ad ogni tocco di dribbling con una sorta di balzo fra lo scimmiesco e il felino. Inspiegabilmente il carosello dei difensori milanisti si apriva innanzi a lui: poi strinsero in grande affanno Perversi e Schienoni, e intanto Compiani era chinato in avanti e si batteva le mani sulle cosce come chi si aspetta qualcosa. Schiavio accennò uno scarto sulla destra: levò gli occhi dalla palla che aveva toccato da ultimo col sinistro, poi miracolosamente battè rasoterra di collo destro. La palla rigò l'erba già rinsecchita dal solleone, ebbe una sorta di rimbalzo all'altezza del rigore: Compiani si distese e guizzò stancamente verso il palo di destra: giunse a palme unite sulla linea un istante dopo il passaggio della palla. Lo stesso Schiavio parve stupito dal gol. Aveva battuto un destro senza convinzione, forse esausto dallo scatto e dai dribblings precedenti in cuor suo avrebbe preferito - immagino - aprire ad un compagno, a Reguzzoni che seguiva l'azione sull'estrema sinistra, poi l'istinto l'aveva indotto a tentare lo spiraglio intravisto sulla destra. Compiani era al centro della porta, a sua volta si aspettava un passaggio: da quasi venti metri il vecchio sornione l'aveva sorpreso sul tempo. Schiavio alzò le braccia e tentò un saltello che sicuramente venne limitato dall'abitudine. Qualche compagno accorse ad abbracciarlo. Lui si schermì con un timido sorriso. E tornò trotticchiando a centro campo. Il Bologna passò altre due volte. Schiavio sparì per tornare nel mito. Né mi stupì, conoscendolo di persona, molti anni dopo, che fosse svenuto al veder entrare, a un palmo dalle dita di Planicka, il pallone che sanciva la prima vittoria mondiale dell'Italia. Non mi stupì che Monti (una sorta di spietato corazziere del quinquennio) gli avesse stroncato una gamba all'inizio di un incontro decisivo per lo scudetto. Schiavio doveva essere per tutti un avversario tremendo. Vedendolo spesso ritratto da fotografi e da disegnatori, me ne feci un' idea forse stramba ma non implausibile: che avesse graffi, borghie ed uncini alle articolazioni delle braccia e delle gambe, simile a certi guerrieri che non videro l'archibugio. E quando seppi da lui che, nato e cresciuto a Bologna, imparato il calcio e raggiunta a Bologna la celebrità mondiale, era tuttavia comasco di origine, quell'immagine che mi ero fatto prese tale consistenza in me da commuovermi. Appassionato come sono di storia padana, il trasferimento della famiglia Schiavio da Como a Bologna mi parve una riparazione dovuta dai lombardi comaschi a fratelli lombardi più fedeli. Bologna infatti non aveva mai abbandonato la Lega; a Bologna non v'è lombardo che non si trovi a casa, cara deliziosa città in cui mi pare di aver vissuto altre vite, non so in quale tempo favoloso".
Ancora Giorgio Comaschi che racconta la centenaria storia rossoblù in Piazza Maggiore durante la serata: "Sotto le Stelle rossoblù del Cinema". Nel video si notano tante vecchie glorie del Bologna di un tempo: Dino Ballacci, Gino Pivatelli, Ezio Pascutti, Franco Janich, Eraldo Pecci, Gigi Maifredi e Giancarlo Marocchi. Nel filmato vengono mostrati anche frammenti su pellicola della Bologna d'antan, con i suoi canali, le sue concerie, le sue piazze, i suoi portici. Si nota anche un bel video dell'Istituto Luce della seconda gara di finale scudetto 1929, giocata tra il Bologna e il Torino e disputata al vecchio "Campo Torino" di corso Filadelfia.