giovedì 27 novembre 2008
Bologna - Genoa – Le 5 finali di Lega Nord 1924-25
Breve video del trionfo rossoblù nella 5ª decisiva finale contro il Genoa nel 1924-25. In camicia bianca, attorniato dai suoi ragazzi (per l'occasione in maglia verde), il mitico allenatore austriaco Hermann Felsner. Si notano tra gli altri: Schiavio, Muzzioli, Gianni (in completa divisa scura), Martelli e "Gisto" Gasperi.
mercoledì 19 novembre 2008
3 ottobre 1909: nasce il Bologna Football Club
Il Bologna Foot Ball Club ha anche origini asburgiche, danubiane. Fu infatti per iniziativa di Emilio Arnstein e per merito della sua grande passione calcistica e organizzativa, che si riuscì a fondare un club di football in città. Si narra che i ragazzi che poi composero la prima formazione ufficiale del Bologna F.C., già da diversi anni praticassero questo sport, almeno dal 1906, quando sbaragliarono una squadra di Ferrara. Emilio Arnstein era nato in Boemia il 4 giugno 1886, nell'antica Wotitz (oggi Votice) presso Praga, all'epoca facente parte dell'Impero austro-ungarico. Era stato colpito dal morbo calcistico a Trieste, dove aveva fondato con il fratello, altri boemi e alcuni cittadini britannici, il Black Star Football Club ( squadra che indossava una casacca bianca con stella nera sul petto), ma già nel 1908 era giunto a Bologna. La sua prima preoccupazione fu di verificare se la razza in via di apparizione degli appassionati di calcio avesse già fatto la sua comparsa in città. Un tranviere gli indicò i prati di Caprara, fuori porta Saffi, dove alcuni ragazzi si rincorrevano caoticamente attorno ad un pallone. Fu quanto bastò per spronarlo a fondare il Bologna F.C. Il 3 ottobre 1909, presso il Circolo Turistico Bolognese, vide la luce questa nuova creatura.
Articolo tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna".
"Ieri mattina, al Circolo Turistico Bolognese, venne costituita la sezione per le esercitazioni di sport in campo aperto e precisamente il Foot Ball Club. Era desiderata da molti giovani questa iniziativa per il football, per la palla vibrata, pel tennis, e mentre già alcune esercitazioni si svolgevano da qualche settimana, ora si è fissato un ordinamento preciso, costituendo la sezione presso il Circolo Turistico che già ha acquistato la maggiore importanza sportiva". Così, "il Resto del Carlino" del 4 ottobre 1909 annunciava dalle colonne della cronaca cittadina, in breve trafiletto, la nascita del Bologna. Mentre Erardo Mandrioli sulla "Gazzetta dello Sport" commentava: "Il nome e la serietà delle persone che sono state chiamate a dirigere le sorti della novella società ci fanno sperare che finalmente anche questo bellissimo esercizio sportivo sarà introdotto proficuamente presso di noi, e nessun dubbio quindi che anche nel football Bologna saprà portarsi in breve all'altezza delle altre città che da tempo lo praticano. Attendiamo quindi il Football Club Bologna alla prova". Detto e fatto. Ma facciamo ora, se vi piace, un passo indietro. Come si giunse al lieto evento, appunto. Difficile ricostruire i fatti con esattezza. Scomparsa ogni documentazione; non più ferrea, ahimè, la memoria dei pionieri superstiti, incerti e vaghi i loro riferimenti. Prendiamo un filo conduttore: Emilio Arnstein, austriaco di origine, innamoratosi del football durante gli studi universitari a Praga ed a Vienna.
Dal Black Star al Bologna F.C.
Nella Trieste asburgica aveva già fondato col fratello, altri boemi e qualche inglese il Black Star F. C. Il calcio anche là era ai suoi primordi. Arnstein dunque giunse a Bologna nel 1908 e subito s'informò dove si giocasse a football da queste parti. Erano ancora i tempi della belle époque: furoreggiavano le pagliette, le musichette del can-can, i baffoni incerottati, i cafè chantant. Atleti già ve n'erano in giro, ed in pudicissimi mutandoni. Ganna e Galetti si sfidavano in bicicletta sulla pista dell'Ippodromo Zappoli. E il nobile tenente Vivaldi Pasqua tentava settimanalmente, con indomita costanza, di alzarsi in volo. Ma la gioventù bolognese preferiva ancora le discussioni letterarie del Caffè delle Scienze alle tenzoni sportive. Del calcio poi, in grave ritardo rispetto agli altri centri, nessuno parlava. Alle domande di Arnstein i più si stringevano nelle spalle. E chi ne sapeva niente? Finalmente si fece vivo un tranviere. Gli disse, quel brav'uomo, che se alludeva a "chi mât chi corren dri 'na bala" li avrebbe trovati in Piazza d'Armi, ai cosiddetti campi di Caprara, fuori Saffi. Il giovane Emilio non se lo fece ripetere. Montò su un tram e trovò quella congrega di scalmanati che giocavano per ore e ore senza risparmiarsi. Tutti i giorni un giovanottone spagnolo di nome Builla, conduttore del Collegio di Spagna, arrivava verso una certa ora, col magico pallone sotto il braccio. E poi, sotto a chi tocca, tutti a sgambare ed a calciare, mentre dalla strada attigua tristi sorrisi di compatimento raggiungevano l'infervoratissima troupe. Ma chi ci faceva caso? L'attrezzatura era quanto di più rudimentale potesse esistere: due giubbe erano i limiti del gol, fintanto almeno che non vennero i pali in ferro con occhiello all'apice attraverso cui scorreva una corda a mo' di traversa con tanto di fazzoletto a penzoloni, per dare un riferimento di tiro ai neofiti. Questi in omaggio all'imperante "made in England" di allora si dividevano in forwards (attaccanti), half-backs (mediani), end-backs (terzini), mentre chi stava in porta era il goal-keeper. Il regolamento era ancora il grande sconosciuto. Il campo poi era disponibile solo quando garbava ad un rustico pecoraio che, avendolo avuto in affitto dal demanio, ci faceva tranquillamente pascolare il suo gregge. In questo pittoresco ambiente Arnstein conobbe i fratelli Gradi, Nanni, Vincenzi, Rauch, Puntoni, Cavazza, Lambertini, Martelli, Berti, Della Valle, Savonazzi e altri che lo accolsero cameratescamente, narrandogli le loro prodezze. Pare infatti che il 4 novembre 1906 questi elementi raccogliticci avessero già sbaragliato i ferraresi. Sarebbe dunque questa, per la storia, la prima vera partita di calcio disputata a Bologna. Passarono i mesi finché nella mente dei pionieri si fece strada l'idea della società regolarmente costituita. Lunghe e difficili però le trattative. In primo piano anche allora la questione finanziaria. Si voleva a tutti i costi il presidente mecenate! Fortuna volle che della cosa si interessasse il cav. Carlo Sandoni della Navigazione Generale Italia, presidente del Circolo Turistico Bolognese allora in gran auge. Vi furono alcune riunioni preparatorie finché, gettate le basi per l'accordo, il 3 ottobre 1909, una domenica mattina, i pionieri vennero convocati in assemblea. Sandoni si dichiarò disposto a patrocinare la loro iniziativa, venne redatto uno statuto e così nacque il Bologna Football Club, sezione del Circolo Turistico. Louis Rauch, un giovane odontoiatra svizzero stabilitosi a Bologna e scomparso qualche anno fa, nel 1952, in un incidente automobilistico, fu eletto presidente, col nobile Guido Della Valle come vice, Enrico Penaglia segretario, Sergio Lampronti cassiere, Emilio Arnstein e Leone Vicenzi (anche quest'ultimo tragicamente scomparso negli ultimi anni) consiglieri. I signori Centofanti, Tampellini e Zacchi erano i delegati del Circolo Turistico in seno a questo comitato. Arnstein e Vincenzi, in una con con Bagaglia, avevano pure la direzione dei campi di gioco. La carica di capitano della squadra invece venne affidata ad Arrigo Gradi, il più profondo in materia di regolamento e anche di arte calcistica in virtù dell'esperienza acquisita giocando nelle fila del Schönberg di Rossbach ai tempi del collegio in Svizzera. La sede era quella stessa del Circolo Turistico Bolognese, vale a dire la antica Birreria Ronzani, al numero 6 di via Spaderie, dove si trovava il celebre "Fittone delle Spaderie", famosa insegna della goliardia petroniana. Campo di gioco naturalmente quello di Piazza d'Armi, che aveva un solo vantaggio: di non costare un centesimo. Colori sociali: il rosso ed il blu, a larghi scacchi, secondo il modello delle casacche che Gradi si era portato dietro dalla Svizzera. Mutandoni neri o bianchi, come capitava. Dei venticinque soci fondatori del Bologna F.C. molti non vivono più, e di altri più nulla si è saputo. Pochi comunque i superstiti. Di essi il solo Gradi frequenta ancora l'ambiente calcistico. Gli altri se ne sono allontanati col tempo. Arnstein, un settantenne in gambissima, fa il rappresentante di sementi, Salvatore Chiara è un pensionato delle ferrovie che passa alcune ore al giorno in bicicletta, Guido Nanni fa l'assicuratore, Antonio Bernabeu Yeste, giovane convittore del Collegio di Spagna, si è rifatto vivo proprio in questi giorni di cinquantenario con una simpatica lettera rievocativa da Madrid, dove rappresenta la Banca del Messico. Sia lui che gli altri, tutti ricordano però quei tempi di gioventù con infinita nostalgia. Ma riprendiamo la nostra storia. La costituzione del Bologna F. C. portò nuovo fermento tra i giovani. Una settimana dopo si poteva ancora leggere su "il Resto del Carlino": "Domenica 10 ottobre, nel pomeriggio, 24 soci del Football Club - sezione del Circolo Turistico Bolognese - iniziarono regolarmente le esercitazioni e l'allenamento per questo interessante e gradevole sport educativo. Presto verrà disposto per il campo e per la costituzione di alcune squadre. E' già stato fissato il regolamento e l'elegante costume. Le iscrizioni sono aperte alla sede del Circolo, via Spaderie 6". In breve i neofiti si moltiplicarono, il proselitismo stava facendo davvero passi da gigante. A quelli della prima ora si affiancarono i vari Orlandi, Bignardi, Donati, Venzo, Zini, il povero Pietro Palmieri col fratello Gian Giuseppe (che sarebbe diventato una celebrità nel mondo della radiologia), ed altri ancora. Non una, ma due squadre poterono così essere varate. E nella seconda si notavano i nomi di Bagaglia, detto "farfallina", del notaio Aldo Gradi, di Sergio Lampronti, del milanese Sofia che dalla sua città portava l'eco delle imprese di Campelli e Fossati, eroi calcistici dell'epoca. Durante l'inverno l'attività interna tutta volta alla propaganda, non conobbe soste. La società inoltre si rendeva autonoma staccandosi dal Circolo Turistico che l'aveva tenuta a balia, e trasferendo le proprie tende al Bar Libertas in via Ugo Bassi, dove sarebbe rimasta sino allo scoppio della prima guerra mondiale. Al primo comitato direttivo un altro subentrava con alla testa il professor Borghesani, Emilio Arnstein alla vice-presidenza, Guido Della Valle segretario, Dino Donati cassiere, Sergio Lampronti e Pietro Bagaglia consiglieri. Louis Rauch cedeva la carica di presidente per quella di trainer, mentre Gradi conservava i galloni di capitano con Nanni come vice.
Articolo tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna".
"Ieri mattina, al Circolo Turistico Bolognese, venne costituita la sezione per le esercitazioni di sport in campo aperto e precisamente il Foot Ball Club. Era desiderata da molti giovani questa iniziativa per il football, per la palla vibrata, pel tennis, e mentre già alcune esercitazioni si svolgevano da qualche settimana, ora si è fissato un ordinamento preciso, costituendo la sezione presso il Circolo Turistico che già ha acquistato la maggiore importanza sportiva". Così, "il Resto del Carlino" del 4 ottobre 1909 annunciava dalle colonne della cronaca cittadina, in breve trafiletto, la nascita del Bologna. Mentre Erardo Mandrioli sulla "Gazzetta dello Sport" commentava: "Il nome e la serietà delle persone che sono state chiamate a dirigere le sorti della novella società ci fanno sperare che finalmente anche questo bellissimo esercizio sportivo sarà introdotto proficuamente presso di noi, e nessun dubbio quindi che anche nel football Bologna saprà portarsi in breve all'altezza delle altre città che da tempo lo praticano. Attendiamo quindi il Football Club Bologna alla prova". Detto e fatto. Ma facciamo ora, se vi piace, un passo indietro. Come si giunse al lieto evento, appunto. Difficile ricostruire i fatti con esattezza. Scomparsa ogni documentazione; non più ferrea, ahimè, la memoria dei pionieri superstiti, incerti e vaghi i loro riferimenti. Prendiamo un filo conduttore: Emilio Arnstein, austriaco di origine, innamoratosi del football durante gli studi universitari a Praga ed a Vienna.
Dal Black Star al Bologna F.C.
Nella Trieste asburgica aveva già fondato col fratello, altri boemi e qualche inglese il Black Star F. C. Il calcio anche là era ai suoi primordi. Arnstein dunque giunse a Bologna nel 1908 e subito s'informò dove si giocasse a football da queste parti. Erano ancora i tempi della belle époque: furoreggiavano le pagliette, le musichette del can-can, i baffoni incerottati, i cafè chantant. Atleti già ve n'erano in giro, ed in pudicissimi mutandoni. Ganna e Galetti si sfidavano in bicicletta sulla pista dell'Ippodromo Zappoli. E il nobile tenente Vivaldi Pasqua tentava settimanalmente, con indomita costanza, di alzarsi in volo. Ma la gioventù bolognese preferiva ancora le discussioni letterarie del Caffè delle Scienze alle tenzoni sportive. Del calcio poi, in grave ritardo rispetto agli altri centri, nessuno parlava. Alle domande di Arnstein i più si stringevano nelle spalle. E chi ne sapeva niente? Finalmente si fece vivo un tranviere. Gli disse, quel brav'uomo, che se alludeva a "chi mât chi corren dri 'na bala" li avrebbe trovati in Piazza d'Armi, ai cosiddetti campi di Caprara, fuori Saffi. Il giovane Emilio non se lo fece ripetere. Montò su un tram e trovò quella congrega di scalmanati che giocavano per ore e ore senza risparmiarsi. Tutti i giorni un giovanottone spagnolo di nome Builla, conduttore del Collegio di Spagna, arrivava verso una certa ora, col magico pallone sotto il braccio. E poi, sotto a chi tocca, tutti a sgambare ed a calciare, mentre dalla strada attigua tristi sorrisi di compatimento raggiungevano l'infervoratissima troupe. Ma chi ci faceva caso? L'attrezzatura era quanto di più rudimentale potesse esistere: due giubbe erano i limiti del gol, fintanto almeno che non vennero i pali in ferro con occhiello all'apice attraverso cui scorreva una corda a mo' di traversa con tanto di fazzoletto a penzoloni, per dare un riferimento di tiro ai neofiti. Questi in omaggio all'imperante "made in England" di allora si dividevano in forwards (attaccanti), half-backs (mediani), end-backs (terzini), mentre chi stava in porta era il goal-keeper. Il regolamento era ancora il grande sconosciuto. Il campo poi era disponibile solo quando garbava ad un rustico pecoraio che, avendolo avuto in affitto dal demanio, ci faceva tranquillamente pascolare il suo gregge. In questo pittoresco ambiente Arnstein conobbe i fratelli Gradi, Nanni, Vincenzi, Rauch, Puntoni, Cavazza, Lambertini, Martelli, Berti, Della Valle, Savonazzi e altri che lo accolsero cameratescamente, narrandogli le loro prodezze. Pare infatti che il 4 novembre 1906 questi elementi raccogliticci avessero già sbaragliato i ferraresi. Sarebbe dunque questa, per la storia, la prima vera partita di calcio disputata a Bologna. Passarono i mesi finché nella mente dei pionieri si fece strada l'idea della società regolarmente costituita. Lunghe e difficili però le trattative. In primo piano anche allora la questione finanziaria. Si voleva a tutti i costi il presidente mecenate! Fortuna volle che della cosa si interessasse il cav. Carlo Sandoni della Navigazione Generale Italia, presidente del Circolo Turistico Bolognese allora in gran auge. Vi furono alcune riunioni preparatorie finché, gettate le basi per l'accordo, il 3 ottobre 1909, una domenica mattina, i pionieri vennero convocati in assemblea. Sandoni si dichiarò disposto a patrocinare la loro iniziativa, venne redatto uno statuto e così nacque il Bologna Football Club, sezione del Circolo Turistico. Louis Rauch, un giovane odontoiatra svizzero stabilitosi a Bologna e scomparso qualche anno fa, nel 1952, in un incidente automobilistico, fu eletto presidente, col nobile Guido Della Valle come vice, Enrico Penaglia segretario, Sergio Lampronti cassiere, Emilio Arnstein e Leone Vicenzi (anche quest'ultimo tragicamente scomparso negli ultimi anni) consiglieri. I signori Centofanti, Tampellini e Zacchi erano i delegati del Circolo Turistico in seno a questo comitato. Arnstein e Vincenzi, in una con con Bagaglia, avevano pure la direzione dei campi di gioco. La carica di capitano della squadra invece venne affidata ad Arrigo Gradi, il più profondo in materia di regolamento e anche di arte calcistica in virtù dell'esperienza acquisita giocando nelle fila del Schönberg di Rossbach ai tempi del collegio in Svizzera. La sede era quella stessa del Circolo Turistico Bolognese, vale a dire la antica Birreria Ronzani, al numero 6 di via Spaderie, dove si trovava il celebre "Fittone delle Spaderie", famosa insegna della goliardia petroniana. Campo di gioco naturalmente quello di Piazza d'Armi, che aveva un solo vantaggio: di non costare un centesimo. Colori sociali: il rosso ed il blu, a larghi scacchi, secondo il modello delle casacche che Gradi si era portato dietro dalla Svizzera. Mutandoni neri o bianchi, come capitava. Dei venticinque soci fondatori del Bologna F.C. molti non vivono più, e di altri più nulla si è saputo. Pochi comunque i superstiti. Di essi il solo Gradi frequenta ancora l'ambiente calcistico. Gli altri se ne sono allontanati col tempo. Arnstein, un settantenne in gambissima, fa il rappresentante di sementi, Salvatore Chiara è un pensionato delle ferrovie che passa alcune ore al giorno in bicicletta, Guido Nanni fa l'assicuratore, Antonio Bernabeu Yeste, giovane convittore del Collegio di Spagna, si è rifatto vivo proprio in questi giorni di cinquantenario con una simpatica lettera rievocativa da Madrid, dove rappresenta la Banca del Messico. Sia lui che gli altri, tutti ricordano però quei tempi di gioventù con infinita nostalgia. Ma riprendiamo la nostra storia. La costituzione del Bologna F. C. portò nuovo fermento tra i giovani. Una settimana dopo si poteva ancora leggere su "il Resto del Carlino": "Domenica 10 ottobre, nel pomeriggio, 24 soci del Football Club - sezione del Circolo Turistico Bolognese - iniziarono regolarmente le esercitazioni e l'allenamento per questo interessante e gradevole sport educativo. Presto verrà disposto per il campo e per la costituzione di alcune squadre. E' già stato fissato il regolamento e l'elegante costume. Le iscrizioni sono aperte alla sede del Circolo, via Spaderie 6". In breve i neofiti si moltiplicarono, il proselitismo stava facendo davvero passi da gigante. A quelli della prima ora si affiancarono i vari Orlandi, Bignardi, Donati, Venzo, Zini, il povero Pietro Palmieri col fratello Gian Giuseppe (che sarebbe diventato una celebrità nel mondo della radiologia), ed altri ancora. Non una, ma due squadre poterono così essere varate. E nella seconda si notavano i nomi di Bagaglia, detto "farfallina", del notaio Aldo Gradi, di Sergio Lampronti, del milanese Sofia che dalla sua città portava l'eco delle imprese di Campelli e Fossati, eroi calcistici dell'epoca. Durante l'inverno l'attività interna tutta volta alla propaganda, non conobbe soste. La società inoltre si rendeva autonoma staccandosi dal Circolo Turistico che l'aveva tenuta a balia, e trasferendo le proprie tende al Bar Libertas in via Ugo Bassi, dove sarebbe rimasta sino allo scoppio della prima guerra mondiale. Al primo comitato direttivo un altro subentrava con alla testa il professor Borghesani, Emilio Arnstein alla vice-presidenza, Guido Della Valle segretario, Dino Donati cassiere, Sergio Lampronti e Pietro Bagaglia consiglieri. Louis Rauch cedeva la carica di presidente per quella di trainer, mentre Gradi conservava i galloni di capitano con Nanni come vice.
venerdì 14 novembre 2008
1929: la tournée in Sud America del Bologna
La storia cominciò con la tournée del 1929 in Sud America, un premio alla squadra che aveva appena vinto il suo secondo tricolore. Crociera sul "Conte Rosso", bella vita, ballerine e champagne...". La fama del Bologna – si parla ormai dello "squadrone che tremare il mondo fa" – ha già varcato i confini. Tutti lo vogliono vedere all'opera questo Bologna e in segreteria (con la Bologna Sportiva, dalla vecchia sede in via Giudei, si è passati alla Casa del Fascio, in via Manzoni 4) piovono gli inviti. Ma Bonaveri vuole anche premiare la squadra e perciò la spedisce oltre Oceano in Sud America dove tra Brasile, Uruguay e Argentina viene combinata una tournée di 15 incontri. Periodo: dal 25 luglio al 14 settembre, una media di due partite alla settimana con l'aggravio di trasferimenti disagevoli su distanze paurose. Fortunatamente però nessuno s'illude, neppure sulle difficoltà di ambiente e su quelle più puramente tecniche nell'affrontare i rappresentanti d'una scuola che alle due ultime Olimpiadi ha stravinto. È così che sul Conte Rosso accanto ai neo-campioni (mancano però Busini I°, Della Valle e Pozzi) prendono posto ben 8 rinforzi di altre società: i milanisti Compiani (portiere), Tansini (ala), e Schienoni (terzino), il mediano modenese Dugoni, l'ala destra barese Costantino, il livornese Magnozzi e infine il tandem alessandrino Giovanni Ferrari-Banchero (mezz'ala e centro-avanti). Accompagnano il dirigente Sabattini che ha organizzato la tournée, Felsner e il fedele massaggiatore Bortolotti. Il giro si inizia e chiude a Rio de Janeiro, in notturna, alla luce dei fari (alla quale in Italia non si è ancora abituati), passando per S. Paulo, Montevideo, Buenos Aires, Rosario, Bahia Blanca, La Plata, Santa Fe. Si distinguono soprattutto Gianni cui i tifosi cariocas affibbiano l'appellativo di "gatto magico" e Costantino che la stampa locale porta sugli scudi. Tuttavia i rossoblù riescono a conquistare tre significative vittorie: a Montevideo contro la Nazionale uruguaiana per 1-0 (in questa formazione: Gianni; Monzeglio, Gasperi; Genovesi, Pitto, Dugoni; Costantino, Banchero, Schiavio, Magnozzi, Muzzioli), con rete di Magnozzi; a Bahia su una Rappresentativa Argentina del Sud (1-3) e a S. Paulo (3-1). Inoltre ottengono 3 pareggi, di cui uno a Buenos Aires con la Nazionale Argentina B (0-0) e 9 sconfitte tra cui un onorevole 1-3 con l'Argentina A. Particolarmente burrascosa la partita persa per 1 a 0 col Boca Juniors che fa registrare un pugilato generale in campo, con l'intervento degli spettatori e della stessa polizia. Tutto sommato però, la soddisfazione maggiore è quella finanziaria: ciascun giocatore percepisce – a quel tempo – 10 mila bigliettoni mentre alla società la tournée frutta 100 mila lire di utile netto, il che permette per la prima volta (ma dovrà anche restare l'unica...) di pareggiare il bilancio sociale. Il Bologna nella tournée incontrò le seguenti squadre con questi risultati:
Rio de Janeiro, 25 luglio 1929: Rappresentativa Carioca - Bologna 3-1
Sao Paulo, 28 luglio 1929: Rappresentativa Paulista - Bologna 6-4
Sao Paulo, 30 luglio 1929: Corinthians - Bologna 6-1
Montevideo, 10 agosto 1929: Bologna - Uruguay 1-0
Buenos Aires, 15 agosto 1929: Argentina - Bologna 3-1
Buenos Aires, 18 agosto 1929: Argentina B - Bologna 0-0
Rosario, 21 agosto 1929: Newell's Old Boys - Bologna 2-1
Buenos Aires, 24 agosto 1929: Huracan - Bologna 2-1
Bahia Blanca, 25 agosto 1929: Bologna - Rappresentativa Argentina del Sud 2-1
Buenos Aires, 27 agosto 1929: Boca Juniors - Bologna 1-0
La Plata, 30 agosto 1929: Estudiantes de La Plata - Bologna 3-3
Santa Fè, 1 settembre 1929: Rappresentativa Santa Fè - Bologna 3-0
Sao Paulo, 8 settembre 1929: Palestra Italia - Bologna 4-4
Sao Paulo, 10 settembre 1929: Bologna - Rappresentativa Paulista 3-1
Rio de Janeiro, 14 settembre 1929: Rappresentativa Carioca - Bologna 3-1.
Articolo tratto dal "Littoriale" di venerdì 12 luglio 1929
"Un audace impresa del calcio italiano, il Bologna ed il Torino navigano verso l'America del Sud. Il Saluto dei Campioni a Bologna. Un graditissimo telegramma ci è giunto ieri nel pomeriggio in redazione. La squadra rosso bleu nel momento di salpare da Genova per l'America del Sud, vuol dire a mezzo nostro a tutti gli appassionati e gli amici che da tanti anni lo seguono nel suo duro e glorioso cammino ascensionale, ai Gerarchi che l'hanno applaudita e ammirata per l'ultima battaglia superbamente vinta, la sua parola di vibrante speranza che somiglia quasi a un giuramento. Il telegramma ha infatti queste parole: "Il vostro giornale potrà dire presto le nostre vittorie nella terra latina d'oltre Oceano. Salpiamo ora inviando un reverente saluto al Duce amatissimo, ai presidenti del CONI e della Federazione del Calcio, ai membri federali, al Comitato arbitrale, al Presidente nostro e alla Stampa tutta; e saluti cari alle nostre famiglie, ai soci rossobleu e ai supporters. La Squadra rosso-bleu". Questo telegramma rispecchia l'animo dei generosi giovani che hanno saputo appunto con la forza della loro volontà e del loro spirito solidale conquistare l'alloro più ambito. "Il vostro giornale potrà dire presto le nostre vittorie": non è questa frase il segno di una presunzione fuor di luogo, ma la ferma promessa che parte da giovani i quali hanno già dimostrato di saper volere, fortemente volere, a costo di ogni sforzo e di ogni sacrificio. Noi abbiamo per certo che i rosso bleu manterranno questa promessa. E se vale, come vale, per sorreggerli, il pensiero che tutta Bologna sportiva li accompagna con il suo voto più fervido e con la speranza più viva nei loro prossimi trionfi, questo appoggio morale non mancherà loro in nessun momento e per nessuna contingenza.
L'imbarco e la partenza dei rosso-bleu e dei granata. Genova, 11
Bologna e Torino, le due fiere antagoniste delle ultime recentissime battaglie per il campionato italiano, viaggiano a quest'ora in alto mare, le vele spiegate verso l'America del Sud dove le attendono nuove fatiche. Si può così dire che per queste due squadre e per i giuocatori delle altre società che seguono la tournée, non esisterà soluzione di continuità per due stagioni consecutive, in quanto sia il Torino che il Bologna saranno di ritorno in Italia appena in tempo per cominciare il campionato 1929-30. Nella serata di mercoledì le due squadre si erano messe al completo poiché da ogni parte d'Italia erano sopraggiunti i rinforzi: da Roma, Alessandria, Vercelli, Bari, Modena, Livorno e Milano. I primi approcci fra i giocatori rossoblù e granata dopo la finalissima di Roma, che tanto scalpore aveva sollevato in ogni ambiente sportivo, sono avvenuti mercoledì sera. Schiavio, Muzzioli, Baldi e Martelli si trovarono in via Balbi con Colombari, Monti III e qualche altro granata e l'incontro fu cordialissimo. Furono scambiate strette di mano senza rancore, e furono intavolate discussioni sull'imminente tournée. In serata poi Muzzioli e Baloncieri invitati dalla E.I.A.R. di Genova si recavano insieme all'arbitro Lenti all'uditorio di via S. Luca da dove trasmettevano personalmente i saluti delle due squadre ali sportivi di Genova e di tutta Italia. I bolognesi avevano anche mandato un telegramma augurale al granata Franzoni tuttora degente all'ospedale di Torino in seguito ad una ferita riportata a Roma. L'imbarco è avvenuto verso le 10 di stamane al Ponte dei Mille. Primi a salire a bordo sono stati i neo campioni d'Italia guidati dal dott. Felsner, loro allenatore, che farà loro da guida sino a Rio de Janeiro dove si trova già ad attendere il Bologna il dirigente Sabattini che si è recato in anticipo nel Sud America.
I diciassette della squadra campione
Sembrava che la carovana petroniana dovesse essere composta da diciotto giocatori, ma all'ultimo momento è venuto a mancare il vercellese Zanello, il quale, avendo ricevuto il divieto dalla sua società di partire col Bologna, si è aggregato all'ultimissima con il Torino. Passato il terzino vercellese fra le file granata, il Bologna si è quindi imbarcato con un giocatore in meno. La squadra campione potrà perciò contare sui seguenti giocatori: Gianni, Monzeglio, Gasperi, Genovesi, Baldi, Pitto, Martelli, Schiavio, Busini III e Muzzioli tutti del Bologna; Compiani e Tansini del Milan; Dugoni del Modena, Ferrari e Banchero dell'Alessandria, Magnozzi del Livorno e Costantino del Bari. Oltre al trainer Felsner è partito il massaggiatore Bortolotti. Il Bologna sbarcherà per primo dal "Conte Rosso" non appena il transatlantico toccherà la terra brasiliana. Infatti i campioni d'Italia dovranno giocare sabato 27 luglio a Rio de Janeiro contro il Botafogo, e successivamente contro la Palestra Italia. Dal Brasile i petroniani passeranno in Uruguay per misurarsi col Peñarol, campione uruguayano, e con la rappresentativa di Montevideo. In ultimo il Bologna toccherà l'Argentina avendo fino ad ora complessivamente già fissato undici matches.
Allenamento atletico in viaggio
Ogni giocatore delle due squadre è partito provvisto di un completo corredo e di smoking. Sia il dott. Felsner che Aliberti hanno dichiarato che lasceranno i loro uomini a riposo fino a lunedì prossimo intendendo da quel giorno iniziare a bordo un leggero lavoro di allenamento atletico.
Articolo tratto dal "Littoriale" del 24 luglio 1929
"Alle ore 21 di ieri, ora brasiliana, ha attraccato alla banchina il "Conte Rosso" con a bordo i giocatori del "Bologna F.B.C." e del "Torino F.B.C.". All'entrata nella baia di Guanabara il "Conte Rosso" è stato incontrato da un grande rimorchiatore sul quale avevano preso posto la delegazione dell "Amea" (Associazione metropolitana sport atletici) e dei clubs Botafogo, Vasco da Gama e Fluminense, i rappresentanti della stampa carioca e numerose notabilità della colonia italiana. Le varie rappresentanze sono subito salite a bordo del transatlantico per porgere alle due equipes italiane il saluto della colonia, della popolazione e degli sportivi della capitale brasiliana. Il "Conte Rosso", scortato da uno stuolo di rimorchiatori ed altre imbarcazioni affollatissime ha proseguito la rotta nell'interno della baia ed è andato ad ormeggiarsi presso il molo Pharoux. Una folla di oltre cinque mila persone si trovava alla banchina; fra esse si notavano l'ambasciatore d'Italia barone Attolico colla baronessa, l'addetto navale capitano di fregata De Angelis e gli altri membri dell'ambasciata, il console generale comm. Ludovico Gensi, la rappresentanza del Fascio e delle Associazioni della colonia, nonché le delegazioni di numerose società sportive. Allo sbarco i calciatori del "Bologna" e del "Torino" sono stati vivamente complimentati dall'ambasciatore Attolico e dalle altre personalità convenute. Essi erano tutti in eccellenti condizioni, salvo Gasperi del "Bologna", che appariva sofferente per uno strappo muscolare riportato durante l'allenamento a bordo. L'accoglienza della folla è stata calorosissima, entusiastica. Fra ripetuti applausi e hurrà i calciatori italiani sono stati levati in trionfo e quindi accompagnati, i bolognesi all'Hotel Itaiubah e i torinesi alla sede del club Vasco da Gama. Il capitano della squadra bolognese Genovesi, intervistato all'Hotel dai giornalisti, così si è espresso: "Sono veramente commosso per le grandiose accoglienze che abbiamo ricevuto in terra brasiliana. Non ho parole per ringraziare dell'entusiastica manifestazione fattaci dal mondo sportivo carioca, dalla colonia e della popolazione. A nome della intera squadra bolognese rivolgo il più cordiale saluto agli sportivi di Rio de Janeiro, agli italiani qui residenti e alla popolazione tutta". Come è già stato annunciato, la prima partita del Bologna a Rio de Janeiro sarà giocata colla rappresentativa carioca. Il Bologna scenderà in campo probabilmente nella seguente formazione: Gianni; Monzeglio, Gasperi oppure Martelli; Genovesi, Baldi, Pitto; Costantino, Banchero, Schiavio, Magnozzi, Muzzioli. All'indirizzo dell'équipe del Bologna F.C. tutti i giornali della capitale rivolgono parole di cordiale benvenuto. I calciatori bolognesi che sono rimasti oltremodo impressionati dalla calorosa accoglienza ricevuta, hanno affidato alla stampa carioca il seguente messaggio: "Nel porre piede sulla terra brasiliana, per consolidare la vecchia tradizionale amicizia fra l'Italia ed il Brasile, il "Bologna" coglie col più vivo compiacimento l'opportunità di salutare con effusione lo sport e gli sportivi della grande nazione amica. La nostra missione è piuttosto di fraternizzare che di ottenere vittorie". L'Ambasciatore d'Italia, barone Attolico, intervistato dal giornale Rio Sportivo, ha detto:"Sotto il punto di vista di un maggiore avvicinamento internazionale di cordialità, io non posso che applaudire alla venuta in Brasile del "Bologna". Lo sport è un veicolo eccellente di amicizia fra i popoli". Il dottor Renato Pacheco, presidente della Confederazione Brasiliana degli Sports, ha diretto alla direzione del "Bologna il seguente saluto, a nome della Confederazione Brasiliana degli Sports:" Il massimo Ente direttivo di tutte le società nazionali, presenta agli italiani del "Bologna", che con noi condividono la stessa fede nello sport, il più cordiale benvenuto, esprimendo il sincero desiderio che la loro permanenza fra noi abbia a produrre ottimi frutti".
Dal "Littoriale" di venerdì 26 luglio 1929, un articolo di Vittorio Pozzo
"Le squadre che furono protagoniste delle recenti Finali del Campionato nostro han toccato il suolo d'America. Le due unità seguono itinerari opposti. Il Bologna è sbarcato al Brasile, di dove passerà all'Uruguay, per terminare il programma in Argentina. Il Torino invece disputerà il suo primo incontro a Buenos Aires, proseguirà quindi per Montevideo e giuocherà per ultimo a San Paulo ed a Rio de Janeiro. Pare un viaggio di piacere, questo delle due Finaliste, e lo è solo fino ad un certo punto. Si tratta delle due migliori squadre italiane, le più in vista e le più note: quella che deteneva il titolo fino ad un mese fa e quella che lo detiene ora. Le due unità han ricevuto rinforzi quanti ne han voluto. Ogni comitiva è forte di diciassette o diciotto uomini. Ognuna di esse può mettere in campo un undici interamente composto di giuocatori che han vestito la maglia azzurra. Tutti i numeri son quindi presenti perchè un valore rappresentativo venga dato alle prove che attendono bolognesi e torinesi. Ma, quand'anche questo valore rappresentativo non esistesse, ci penserebbero gli americani a darlo all'attività dei calciatori nostri. Dirigenti e giornalisti sudamericani amano molto generalizzare in simili casi. Chiunque li visiti espone più che se stesso, il proprio paese e la propria razza a studio a giudizi ed a critica. Buenos Aires si è al riguardo specializzata. La visita di una squadra di professionisti britannici, che pensano più che altro a divertirsi e a non ferirsi, diventa un'occasione di confronto fra coloro che "scopersero" il giuoco del calcio, e coloro che "a più alta perfezione lo portarono". Il viaggio del Barcellona permise di constatare che la tempra della gioventù del continente nuovo è ben differente da quella dei rappresentanti della "vecchia decrepita Europa". Lo sport di un dato paese e le qualità di una data razza vengon portate alle stelle o condannate senza attenuanti né reticenze a seconda dell'esito di una partita di calcio. L'argentino figge gli occhi addosso al visitatore e non lo abbandona più dal giorno del'arrivo a quello della partenza. Lo studia, lo scruta, lo guarda sotto ogni aspetto, lo sottopone a prove e collaudi, vuol sapere di quale pasta morale e materiale sia composto. A questo riguardo, il giornalista bonearense è la persona più pericolosa che esista al mondo. Possiede il "tic nervoso" dell'intervista. S'intrufola dappertutto, si siede vicino a voi mentre siete a tavola, vi ferma per istrada, vi viene a trovare in camera con un pretesto qualunque. Vi cava quattro parole, ed il giorno dopo vi trovate conciato a modo in un articolo di due o tre colonne di giornale. Quello che non avete detto voi, lo ha inventato lui. L'esempio del Barcelona parla per tutti. Quando, la scorsa stagione, la squadra campione di Spagna arrivò a Buenos Aires, essa ricevette il solito attacco dell'esercito degli intervistatori. E, dapprincipio, la cosa non prese nessuna piega brutta né anormale. Quando i catalani persero, uno dopo l'altro, un paio d'incontri in modo semidisastroso, allora vennero i guai. Intervistati negli spogliatoi, mentre ancora erano sotto l'impressione del bruciore della sconfitta, gli ospiti parlarono con la solita impulsività del giocatore: imprecazioni, lamentele, espressioni violente, nessun senso della misura. I giornalisti si impadronirono di tutto quel po' po' di materia che l'occasione metteva loro sotto mano, e quello che ne uscì fu, per l'amatore della psicologia del giuoco, la cosa più amena ed istruttiva che si possa concepire. Ognuno aveva intervistato un giuocatore, ed ognuno aveva sviluppato gli elementi che aveva potuto raccogliere. E successe che i terzini dicevano corna degli avanti, che gli avanti inveivano contro quegli asini dei mediani, che i mediani riempivano di contumelie tutto il rimanente della squadra, che l'allenatore veniva classificato generosamente fra i quadrupedi, e che tutti quanti poi se la prendevano coi dirigenti, che bontà loro, non capivano nulla di nulla. Ognuno aveva detto quello che aveva sullo stomaco, ed ognuno, quando aprì i giornali, ebbe l'impressione di aver inforcato quel famoso paio di occhiali della favola che precorse i raggi "X", nel permettere di vedere l'interno affanno di ogni compagno della propria vita. Si era dato corpo alle ombre, evidentemente ed in misura notevole, ma si era messo un uomo di fronte all'altro, così a nudo, con la dichiarazione scritta in viso di quanto ognuno pensava. Ne successe che la squadra si sfasciò ed andò alla deriva. I dirigenti ebbero un bel proibire ai giuocatori di rivolgere una sola parola ai giornalisti, ed i giuocatori ebbero un bel tacere. Ognuno ormai conosceva il pensiero dell'altro su se stesso. La squadra passò di rotta in rotta, il divo Samitier, il "mago" del pallone come lo definiscono in Spagna tentò perfino di tornarsene a casa separatamente ed immediatamente, ed il Barcelona, nemmeno quando rientrò nei suoi quartieri, non fu mai più il Barcelona irresistibile di prima del viaggio in America. Dite ancora che l'ipocrisia non è un'amalgama necessaria fra gli uomini di una stessa squadra. Il contrario dell'ipocrisia, la sincerità, distrusse una delle migliori e delle più concordi compagini europee del dopoguerra. Morale. Il giornalista argentino è un uomo pericoloso. Fa troppo bene il suo mestiere. Andar guardinghi. Montevideo, Rio, San Paulo son molto meno evolute in materia giornalistica. Quindi vi si vive meglio, anche calcisticamente parlando. Ma è sempre un difficil vivere. In America le cose si aggiustano presto, ma il vivere vi è ancor più difficile che da noi. Scrupoli non ve ne son tanti. Non sarà quindi dei più facili il compito delle due squadre nostre. Guai se esse dovessero, specialmente a Buenos Aires, perdere l'uno dopo l'altro, un paio di incontri. Il fuoco di fila che ne risulterebbe, sarebbe così intenso, che la solidità delle due compagini verrebbe sottoposta a ben dura prova. Non è un viaggio di piacere, quello del Bologna e del Torino. È una impresa da affrontare con cautela ed accorgimento".
Dal "Littoriale" di sabato 27 luglio 1929
"La prima notturna dei campioni d'Italia in Brasile. "Onorevole prova del Bologna, contro la rappresentativa di Rio de Janeiro
RIO JANEIRO, 26 (A.A)
Enorme è stata l'affluenza di sportivi e di appassionati dalle città vicine per la partita giocata la notte scorsa, allo stadio del Club Fluminense, fra la squadra del Bologna e la rappresentativa carioca. Centinaia di italiani erano giunti nella giornata di ieri a San Paolo. Sebbene l'inizio della partita fosse fissato per le ore 22 locali (ora italiana 2 del 26) fino dalle 18 il pubblico ha cominciato ad affluire al campo. Rapidamente il grande stadio imbandierato con i colori italiani e brasiliani, ha assunto un aspetto imponente. All'ingresso, a cura del Fascio di Rio, sono state distribuite migliaia di bandierine con i colori italiani e brasiliani.
40 mila spettatori
Alle 21,30 le autorità di polizia in considerazione dell'enorme affollamento, hanno ordinato la chiusura delle porte. Infatti oltre 40 mila persone gremivano ogni ordine di posti. Nelle tribune d'onore si notavano il comandante Velloso, in rappresentanza del presidente della repubblica, l'ambasciatore d'Italia barone Attolico, il presidente del senato, il presidente della camera, numerosi senatori e deputati, il presidente del club Fluminense, il presidente della confederazione brasiliana degli sports, il presidente della Mea e numerose altre personalità politiche e sportive. Alle 20,25 s'è iniziata una partita preliminare fra una squadra del club Fluminense e una del Botafogo, partita terminata alle 21,50 con la vittoria della Fluminense per 4-2. Alle 21,58 fra uno scoppio entusiastico di acclamazioni, entra in campo la squadra bolognese con Genovesi in testa, che reca una grande bandiera brasiliana. I giocatori, che indossano calzoncini bianchi e maglia a fondo blu e striscie verticali rosse con lo scudo tricolore, percorrono il campo fra un entusiasmo indescrivibile, salutati da applausi incessanti, cui essi rispondono con il saluto romano. Alle 22 entra, a sua volta accolta da grandissime acclamazioni, la rappresentativa carioca, il cui capitano sventola una bandiera italiana. Subito dopo, una commissione di marinai del sommergibile brasiliano "Humanità", che, come è noto, è stato costruito in Italia, ed ha compiuto ultimamente senza scalo la traversata da Spezia a Rio de Janeiro, ha fatto omaggio all'undici bolognese di una ricchissima corbeille di fiori freschi. Il simpaticissimo gesto, che conferma ancora una volta la fratellanza italo-brasiliana, suscita per la sua gentilezza e per il suo significato, ripetute salve di applausi da parte del pubblico: il calciatori bolognesi, vivamente commossi, ringraziano, per bocca del capitano Genovesi, la commissone di marinai brasiliani.
Le due squadre
Ecco la formazione delle due squadre: Bologna: Gianni; Monzeglio, Martelli; Genovesi, Baldi, Pitto; Costantino, Banchero, Schiavio, Magnozzi, Muzzioli. Rappresentativa carioca: Joel; Pennaforte, Ildegardo; Nascimento, Floriano, Fortes; Ripper, Osvaldo, Louis, Nilo, Teofilo. La partita si inizia alle 22,08. Il primo calcio d'angolo è tirato dai brasiliani. Il gioco si mantiene per qualche tempo in mezzo al campo. La linea attaccante italiana avanza e Muzzioli lancia il pallone che è arrestato dal portiere carioca, il quale passa a Teofilo. Un attacco carioca non da alcun risultato. La squadra carioca fa parecchie irruzioni nel campo bolognese, ma Gianni compie una formidabile parata e manda il pallone in corner, che è battuto senza risultato. Il Bologna ritorna all'attacco e migliora sensibilmente il proprio gioco costringendo Joel ad una difficile difesa. Ildegardo salva la porta brasiliana da una pericolosa situazione. I cariochi contrattaccano e Gianni si distingue, e si fa applaudire per alcune magnifiche parate. Al quindicesimo minuto dall'inizio, la partita continua combattutissima da entrambo le parti. Al 16° minuto, con una bellissima azione, Muzzioli lancia il pallone nella rete avversaria, segnando il primo gol. Frenetici applausi salutano il punto segnato dagli italiani nella loro prima partita notturna.
Gioco serrato
Al 27° minuto Floriano passa il pallone a Louis, che, con un tiro da breve distanza, viola la rete italiana, e marca il primo punto per i cariochi. La folla applaude vivamente. Il gioco riprende serrato: Gianni riesce a difendere la rete da un nuovo tiro avversario e Muzzioli storna un ulteriore attacco. Le azioni si incrociano rapidamente svolte con accanimento, ma con grande correttezza e cordialità da ambo le parti. La difesa italiana lavora instancabilmente, meritandosi il vivo elogio da parte del pubblico. Anche la linea degli attaccanti è infaticabile, ed al 32' Martelli, che accusa dei crampi ad una gamba, cade a terra, e il gioco è sospeso per un minuto, dopo di che Martelli ritorna in linea. I cariochi attaccano nuovamente e Genovesi manda in corner. Gli italiani hanno una nuova pericolosa avanzata e Magnozzi, che ha il pallone, tira un calcio potentissimo. Il pallone, però, urta contro il palo, e il Bologna perde così una eccellente occasione per segnare. Mancano quattro minuti alla fine del primo tempo, quando la squadra carioca muove nuovamente all'attacco ed obbliga Gianni ad una dura difesa. Al 44' un fallo di Martelli provoca un penalty contro il Bologna; ma il tiro va a lato. Così il primo tempo termina alla pari 1 a 1. L'impressione suscitata dal gioco dei bolognesi è ottima: specialmente notati sono stati la linea di attacco, il centro half Baldi, ed il portiere Gianni. La linea attaccante, oltre ad un eccellente gioco di passaggi, ha avuto tiri precisi; ammiratissimo è stato Muzzioli. Fra i cariochi si è dimostrato eccellente il centro-mediano Floriano. La linea attaccante ha svolto bellissime azioni e di essa solo Nilo si è mostrato alquanto fiacco, mentre Louis si è mostrato brilantissimo. Il portiere carioca Joel, che per 2 volte è apparso indeciso, nel resto del gioco è stato sempre pronto ed abilissimo. Alle 23,10 si è iniziato il secondo tempo con un deciso attacco del Bologna. Il gioco è sospeso per qualche minuto per una contusione riportata da Ildegardo. L'azione riprende poi da ambo le parti senza prevalenza dell'una o dell'altra squadra, ed il gioco per qualche minuto continua monotono. La difesa bolognese ha occasione di farsi ammirare, e Nilo perde l'opportunità per segnare per un tiro mal diretto. Gli avanti cariochi rinnovano però l'attacco con fortuna ed all'11' Nilo segna il secondo gol per i brasiliani. Il Bologna reagisce con accanimento ed il gioco si fa movimentatissimo. Muzzioli manda un potente pallone contro la rete avversaria. Il tiro magnifico del bolognese sembra debba violare la rete carioca ma Pennaforte riesce a salvare miracolosamente. I bolognesi insistono nei loro attacchi, mettendo a dura prova la difesa brasiliana. Il loro gioco serrato obbliga gli avversari ad un lavoro formidabile.
Risultato 3-1
Tutta la squadra italiana opera ottimamente con mirabile fusione, suscitando viva ammirazione. I cariochi contrattaccano al ventesimo minuto dall'inizio del secondo tempo, e Genovesi salva brillantemente la porta italiana da un tiro avversario. La partita continua con varie alternative, sino al 30' quando Osvaldo, ricevendo il pallone da Ripper, che a sua volta l'ha ricevuto da Teofilo, segna, con un magnifico tiro, il terzo goal dei brasiliani. I bolognesi tentano diversi contrattacchi, durante i quali si hanno alcune sospensioni di gioco per contusioni riportate da giocatori di ambo le parti. Muzzioli tira, ma la difesa avversaria arresta il pallone. Sono gli ultimi momenti del match. Bolognesi e cariochi si accaniscono in una lotta, che però non da più alcun risultato. Alle 24, l'arbitro fischia la fine della partita, che è terminata con la vittoria carioca per 3-1. Al termine dell'incontro calcistico, gli sportivi affermavano di aver assistito ad una grande gara. Il pieno rendimento della squadra bolognese è stato contrastato dalla luce artificiale. I riflettori hanno disturbato gli uomini del Bologna non avvezzi a disputare partite notturne, tanto che la squadra bolognese è apparsa qualche volta abbarbagliata dalla luce".
Dal "Littoriale" di lunedì 29 luglio 1929
"Il Bologna si batte valorosamente ma senza fortuna, contro i più forti avversari del mondo"
Il Bologna vinto per 6 a 4 dalla selezione di San Paolo dopo aver segnato i primi tre goals. Il match dei rosso-bleu
San Paulo 28. (A.A.)
La seconda partita del Bologna in terra brasiliana era attesa qui con vivissimo interesse, più ancora, se pure è possibile, di quella che non sia stata la prima, combattuta a Rio de Janeiro. San Paulo, com'è noto, conta una colonia italiana imponentissima che costituisce una parte cospicua della popolazione della città. Era naturale quindi che qui, più ancora che a Rio, fosse viva la tensione di animi per l'odierna contesa sportiva. Effettivamente gli sportivi paulisti, nei quali grandi impressione aveva suscitato, malgrado la sconfitta, il debutto del Bologna a Rio, hanno vissuto due o tre giorni di ansietà e di nervosismo. L'Apea, data l'importanza annessa al combattimento di oggi, ha schierato in campo, la sua migliore squadra; da parte sua il Bologna è andato al nuovo incontro animato dal proposito di cancellare la sconfitta di tre giorni or sono. Le sue speranze purtroppo sono state frustrate: dopo un primo tempo nel quale i rosso-bleu hanno avuto una netta superiorità e hanno creduto di avere la vittoria assicurata, la situazione si è capovolta nel secondo tempo. Lo svolgimento della partita è stato tale da deludere tutti. Né gli italiani, né i brasiliani hanno saputo svolgere un gioco uniforme. La partita nel complesso è stata movimentatissima, sempre accanita, ma disordinata. Una folla di ben 40 mila persone gremiva lo stadio Parque Antarctica che era imbandierato con i colori italiani e brasiliani. Nella tribuna d'onore si notavano parecchi membri del Governo dello stato di San Paolo, le autorità cittadine, il console d'Italia on. Mazzolini, il vice console ed uno stuolo di notabilità della colonia. Il Bologna è sceso in campo nella seguente formazione: Gianni; Martelli, Monzeglio; Genovesi, Baldi, Pitto; Costantino, Schiavio, Banchero, Magnozzi, Muzzioli. La rappresentativa di San Paulo ha così allineati i suoi uomini: Tuffy; Granè, Del Debbio; Nerino, Amilcar, Serafini; Sernagiotti, Camerao, Petronilho, Feitiço, Evangelisti. Arbitra il sig. Sabattini. L'entrata delle due squadre è salutata da grandissime acclamazioni. La partita ha inizio alle 15, 50. I paulisti danno i primi calci e tentano alcune azioni prive di risultato, brillantemente contenute da Baldi e Gianni. La linea attaccante ed i mediani bolognesi svolgono una tattica ben combinata di spostamenti improvvisi e passaggi esatti e tempestivi che non tarda a dare i suoi frutti. A 5 minuti dall'inizio un potente calcio di Schiavio manda il pallone nella rete avversaria. Un'acclamazione entusiastica saluta il primo punto italiano. La squadra locale non contrappone nessuna azione efficace. Alle 16,3 su un preciso passaggio di Muzzioli, Banchero segna il secondo gol. I paulisti appaiono come storditi dalla precisione e velocità dei rosso-bleu. Della loro indecisione, del loro sbandamento approfittano gli italiani per incalzare con nuovi attacchi che alle 16,16 fruttano loro un nuovo punto, questa volta, segnato da Costantino. Il triplice scacco ha l'effetto di ridare compattezza ed energia alla squadra paulista; e tre minuti dopo, alle 16,19, il brasiliano Feitiço calcia brillantemente nella rete italiana fra calorosi applausi del pubblico. Il primo tempo termina con nettissimo vantaggio dei bolognesi: 3 a 1. I commenti del pubblico rilevano la superiorità indiscutibile del Bologna, e il gioco fiacco, inefficace e slegato dei paulisti. Il secondo tempo vede cadere inaspettatamente le previsioni di vittoria fatte per la squadra italiana. I calciatori paulisti attaccano ad andatura celerissima sferrando senza posa azioni su azioni. Il fuoco di fila brasiliano martella la difesa bolognese. Gianni si produce infaticabile, ma non riesce ad infrenare gli indiavolati assalti. Per cinque volte consecutive i paulisti mandano il pallone nella rete italiana. I cinque punti sono segnati successivamente da Feitiço, Camarao, ancora da Feitiço da Petronillo e da Evangelisti. I calciatori bolognesi, visibilmente amareggiati, hanno verso la fine una ripresa energica. Essi reagiscono, tornano all'offensiva, costringono la difesa paulista ad una dura lotta e finalmente qualche minuto prima del termine della partita segnano con un ben aggiustato tiro di Costantino il loro quarto punto della giornata. Segue ancora qualche azione movimentata e poi l'arbitro fischia la fine. La partita è terminata con la vittoria della rappresentativa di San Paolo per 6 a 4. Il pubblico cavallerescamente ha applaudito più volte le due squadre. L'intera partita è stata cinematografata ed una stazione radio installata sul campo ha diffuso in tutto il Brasile il resoconto dettagliato dell'incontro in tutte le sue fasi.
Giudizi favorevoli al Bologna dopo la partita di giovedì
RIO JANEIRO, 28 (A.A.)
La prima partita del "Bologna" al Brasile non ha ottenuto quel successo che la squadra italiana giustamente si attendeva. Se gli uomini del "Bologna" hanno perduto nel risultato della contesa, si deve però riconoscere che essi hanno tenuto spesso le briglie del giuoco in virtù di uno stile dotato di tutte le prerogative di una altissima classe. Il "Bologna" è una squadra poderosa, classicamente impostata, ricca di giuoco, omogenea nell'unità di condotta. La superiorità dell'attacco italiano nella partita è stata palese, ed è dimostrata dal numero dei "corners" che sono stati 6 per gli italiani contro tre per i brasiliani. La squadra bolognese si è trovata però di fronte a giuocatori ben noti per la precisione del tiro e per l'eccezionale velocità del loro gioco; l'andatura imposta alla partita dalla squadra paulista è stata spesso addirittura infernale. Il "Bologna" ha tuttavia saputo sostenere brillantemente il gioco, conducendo il maggior numero di attacchi pericolosi, sfortunatamente senza risultato positivo. L'offensiva è stata guidata da Muzzioli con bravura e con vigore tali da meritargli la generale ammirazione, mentre nella difesa Martelli, che all'ultimo momento ha sostituito Gasperi ancora sofferente, ha fatto prodigi. L'incidente occorso a Martelli, benché di non rilevante importanza, ha avuto un contraccolpo nella compagine bolognese. Ciò che ha però contrastato in particolar modo lo svolgimento della pienezza sportiva della poderosa squadra italiana è stata la luce artificiale: i potenti fasci di luce dei riflettori collocati agli angoli dello stadio, hanno notevolmente disturbato gli uomini del "Bologna" non avvezzi a disputare partite notturne. Magnozzi, che nel primo tempo lancia il pallone contro il palo della rete brasiliana, e Muzzioli che poco prima della fine della partita non riesce a colpire giusto, dicono che la sfortuna ha perseguitato, nonostante la loro bravura, gli uomini del "Bologna" nella grande partita svoltasi in una tiepida temperatura serale, per quanto in pieno inverno, in mezzo ad una folla enorme, ma disciplinata, rispettosa, ospitalissima. Il "Bologna" non ha trovato in Brasile la via facile alla vittoria. La squadra che l'undici bolognese ha affrontato con così simpatica baldanza, è quella che recentemente ha vinto l'ungherese "Ferenczvaros" e l'inglese "Chelsea". L'arbitro signor Werneck ha condotto bene la bella gara, giocata da atleti sani e robusti, con volontà orgogliosa di giocare col massimo impegno le proprie "chances". I giornali della capitale, che recano amplissimi resoconti della partita, nel registrare con soddisfazione la vittoria dei brasiliani hanno avuto parole di viva ammirazione per la squadra bolognese, segnalandone i requisiti di coesione, di affiatamento e di precisione. "Il team del Bologna -- scrive il Rio Sportivo -- ha dato un bell'esempio di disciplina e di bravura: esso merita il più schietto elogio perchè si è battuto veramente bene e in alcuni momenti ha persino dominato. Fra i giocatori bolognesi, il giornale mette in particolare rilievo il portiere Gianni, osservando che certe sue magnifiche parate hanno prodotto grande sensazione. Notata da tutta la stampa la cavalleria che, pur nei momenti di maggior accanimento, ha da ambo le parti improntato la partita".
Da "Il Resto del Carlino" 11 agosto 1929
Bologna b. Uruguay 1 a 0. Montevideo, 10
L'esordio del Bologna nella capitale dell'Uruguay è stato preceduto dalla passione delle grandi attese. Nonostante le sfavorevoli partite giocate al Brasile, il Bologna è pure sempre ritenuto una squadra di fortissima attrezzatura. I trentamila posti, di cui dispone lo stadio uruguayano, sono tutti occupati. Le tribune ufficiali sono pure al completo; ci si distinguono signore e signorine in mezzo ad un'accolta di notabilità politiche e sportive della Capitale. Resa vana l'attesa di vedere rinforzata la propria compagine dall'arrivo di Schienoni, il solido terzino milanista, il Bologna è sceso in lizza con la seguente formazione: Gianni; Monzeglio e Gasperi; Genovesi, Pitto e Dugoni; Costantino, Banchero, Schiavio, Magnozzi e Muzzioli. La rappresentativa uruguayana era così composta: Mazzali; De Agustino I° e Tejera; Silva, Occhiussi e Magallanes; De Agustino II°, Sacco, Borias, Anselmo e Arremond. Gli uruguayani iniziano la partita a grande andatura costringendo la difesa italiana ad intervenire con decisione. All'infuriare dell'attacco i bolognesi rispondono con eguale energia tanto che le azioni uruguayane non hanno nessuna conclusione, malgrado che Borias cerchi di riordinare le proprie file per dare la classica impronta che permetta di giungere ad un risultato concreto. La difesa bolognese è a posto e Gianni in ottima giornata si fa applaudire più volte in classiche parate. Il primo tempo termina 0-0. Nel secondo tempo sono i bolognesi che prendono decisamente il sopravvento. Gli uruguayani tentano di svolgere il giuoco a loro vantaggio, ma non sanno impedire che Magnozzi passando attraverso le maglie della catena difensiva faccia partire il fulmine che viola la porta affidata al mago Mazzali. Il bellissimo prepotente punto è segnato al primo minuto. Con questo unico goal si è chiusa la prima partita del Bologna a Montevideo. La squadra vincitrice è fatta segno ad una vibrante manifestazione di simpatia.
Da "Il Resto del Carlino", 28 agosto 1929
Bella prova del Bologna contro il Boca Juniors
Buenos Aires, 27 (A.A.) – Allo stadio del Club Boca Juniors si è svolta oggi la partita fra la squadra di questo Club e il Bologna. Vi hanno assistito dodici mila persone. La formazione delle due squadre era la seguente: Bologna: Gianni; Monzeglio e Gasperi; Genovesi, Baldi e Pitto; Costantino, Busini, Schiavio, Magnozzi e Tansini. Boca Juniors: Merello; Bidoglio e Strada; Medici, Fleitas Solich e Moreyras; Penella, Kuko, Tarascone, Cherro e Evaristo. Arbitro era il signor Lorenzo Martinez. La partita inizia alle 15.15. La squadra del Boca prende subito la offensiva. Al 5.° minuto il gioco è arrestato per un incidente accaduto a Tarascone, per cui si rende necessario uno spostamento nella linea di attacco, Tarascone da centro avanti passa all'ala sinistra ed Evaristo passa al centro. Il gioco, che è vivacissimo, assume a tratti un andamento alquanto brusco. Ai rinnovati attacchi della squadra avversaria, il Bologna oppone dei contrattacchi altrettanto battaglieri. al 36.° minuto in conseguenza di corner battuto da Penella, si determina una mischia davanti alla porta del Bologna, Cherro riesce a impadronirsi della palla e con abilissimo tiro di precisione la manda nella rete italiana, segnando l'unico goal della giornata. Si rinnovano quindi gli attacchi degli argentini. Il Bologna effettua alcune discese pericolose e Schiavio obbliga il portiere argentino a tuffarsi per salvarsi da un preciso potentissimo tiro. Un successivo tiro di Magnozzi non riesce, il pallone urtando contro la traversa. Il primo tempo finisce con uno per l'Argentina e zero per il Bologna. La ripresa comincia alle 16.15. Il gioco si fa subito molto vivace. Al 5.° minuto un corner calciato da Penella rimane senza esito. Schiavio impegna subito Merello e quindi anche Baldi obbliga il portiere argentino a intervenire per parare un tiro sferrato da lontano. La difesa bolognese con abilissime trame di gioco riesce a impedire che Tarascone possa avvicinarsi alla porta italiana. Al 25.° minuto un incidente obbliga Busini a ritirarsi. Lo sostituisce Ferrari. Al 26.° minuto un nuovo incidente tocca a Tarascone che abbandona i campo senza essere sostituito. La squadra argentina combatte fino alla fine con 10 uomini. Alcune azioni condotte piuttosto duramente suscitano proteste da parte del pubblico. La partita termina con la vittoria de Boca Juniors per uno a zero. La squadra del Boca Juniors nella classifica del campionato argentino del 1928 è al secondo posto.
giovedì 6 novembre 2008
Miguel (Michele) Andreolo
Da Dolores, piccolo paese appartenente al dipartimento di Soriano, situato a più di 270 km dalla capitale Montevideo, al Bologna e alla Nazionale di Vittorio Pozzo. Lunga la strada di Miguel Andriolo, in seguito italianizzato in Michele Andreolo. Nato a Dolores il 6 settembre 1912, figlio di due immigrati italiani originari di Valle dell'Angelo in provincia di Salerno, Ramón Barbatto Andriolo e donna Teresa Faustina Frodella, Miguel crebbe in una famiglia molto numerosa composta da ben 8 fratelli, di cui 5 maschi: Julio, Atilio, Raùl, Raymundo, Mariano, e 3 femmine: Amelia, Minuca e Nena. Imparò presto a tirare i primi calci al pallone nel Libertad Fùtbol Club, piccolo club di Dolores. Erano i tempi eroici, quelli dei trionfi del fútbol uruguagio campione olimpico e mondiale, fucina di fuoriclasse. Nel 1931 il giovane Andreolo viene notato in un'amichevole giocata a Dolores, precisamente da Carlos Riolfo, centrocampista del Peñarol, il quale, durante il lunch organizzato nel dopopartita dal Libertad, dichiarò che "el chivo" – come era soprannominato Andreolo in Uruguay – avrebbe avuto tutte le caratteristiche fisiche e tecniche per diventare un grande giocatore della massima divisione. Venne così chiamato in squadra dal Club Nacional de Fùtbol, il mitico "tricolor" di Montevideo, dove trovò in squadra degli assi celebrati: Domingos da Guia e Patesko, stelle brasiliane, Héctor "el Manco" Castro, Ciocca e il grande José Nasazzi, detto "el Mariscal" (il maresciallo), capitano e leader assoluto dell'Uruguay bicampione olimpico nel 1924 e 1928, e campione del mondo nel 1930. Il ragazzo giocava nel ruolo di centromediano metodista, all'epoca occupato da Faccio che era uno degli intoccabili della squadra. Ma Andreolo destò una tale impressione, che i dirigenti della società convinsero Faccio a spostarsi nei compiti di half per far posto al centro all'atletico giovanotto arrivato dalla provincia. Faccio, poco tempo dopo, se ne andò in Italia chiamato dall'Ambrosiana-Inter, e Andreolo divenne più che mai un punto di forza della squadra con la quale vinse il campionato del 1933. I tifosi di Montevideo, dirimpettai di quelli di Buenos Aires, si piccavano di avere trovato un giocatore più forte di Luis Monti, ormai protagonista della Serie A italiana. Nel Nacional Andreolo era l'anima e il sostegno della squadra, sapeva comandarla con l'esempio e con la voce, e in alcune partite che parevano compromesse accettava di spostarsi in attacco alla ricerca del goal. Ma il ruolo non gli piaceva: "L'area di rigore è troppo piccola per me, a centrocampo si respira meglio". Venne convocato in Nazionale, la mitica "Celeste", con cui vinse un Campeonato Sudamericano (l'attuale Coppa America) nel 1935 a Lima, in Perù – anche se non fu schierato per le ancora splendide condizioni del grande Lorenzo Fernandez –, battendo in finale gli eterni rivali dell'Argentina. Nel 1934, il futuro del ragazzo di Dolores venne deciso dal temporaneo rientro in patria di Francisco Fedullo, altro uruguagio in forza al Bologna, costretto a tornare a Montevideo per motivi familiari. Nel salutarlo, alla partenza, i dirigenti rosso-blu lo pregarono di dare un'occhiata al campionato, per vedere se c'era un giocatore in grado di rimpiazzare nel ruolo di centromediano l'altro oriundo uruguagio, Francesco Occhiuzzi, forte e sfortunato campione proveniente dai Montevideo Wanderers, che era rientrato definitivamente in patria. A Fedullo non fu difficile capire che l'uomo giusto era Miguel Andreolo, e scrisse al Bologna: "ho trovato il campione". La risposta fu un incarico con pieni poteri. Fedullo concluse anche le trattative con il Nacional e nell'estate del 1935 sbarcava a Genova il nuovo idolo dei supporters rosso-blu, l'uomo che doveva lasciare un ricordo profondo anche nella storia della Nazionale. Dopo i trionfi del quinquennio juventino, 1930-1935, il Bologna riuscì a prendere il testimone dell'ideale staffetta nella leadership del calcio italiano. Il club bolognese divenne campione d'Italia alla fine della stagione 1935-36, e Andreolo era allo zenit della propria carriera. Lo scudetto coincideva quasi con la prima convocazione in azzurro, per la partita Italia-Austria (2-2) a Roma, il 17 maggio 1936. Fu la consacrazione, e dopo una sola stagione in Italia. Si era presentato con due goal, sul finire dell'estate del 1935, nell'amichevole sostenuta dal Bologna a Verona contro l'Hellas. Chiese di chiedergli qualsiasi sacrificio ma non di calciare i rigori. Nel primo campionato nei nostri stadi, Andreolo fece sensazione per la sua autorità. Il paragone con Luisito Monti era un tema delle già rilevanti cronache sportive. Avevano avuto ragione gli aficionados di Montevideo. Fisico potente, deciso negli scontri, capace di lunghe aperture alle ali, di lanci profondi al centravanti. Michele Andreolo amava cogliere il momento giusto per portarsi avanti ed andare al tiro. Il suo destro era micidiale con la palla in movimento e nei calci di punizione, ma dal dischetto no, si bloccava, sentiva troppo l'emozione. Si fece tentare una volta sola in campionato, e sbagliò clamorosamente. Bologna-Fiorentina del 2 gennaio 1936, arbitro Barlassina all'epoca principe incontrastato del fischietto. Alla concessione del rigore, il pubblico cominciò a gridare "Andreolo, Andreolo!", e i compagni di squadra lo convinsero. Breve rincorsa, e palla abbondantemente fuori bersaglio. Doveva spiegare, dopo:"Non so cosa dirvi, ma quando mi trovo di fronte al portiere testa a testa mi cedono le gambe. È così. Sapete che ho coraggio, ma al momento del tiro provo una sensazione di impotenza. Vi prego di non costringermi a brutte figure". Nel Bologna, Andreolo vinceva altri due scudetti, nel 1937 e nel 1939. Sempre nel 1937, anche un successo di prestigio nel Torneo dell'Esposizione di Parigi, sconfiggendo in finale gli inglesi del Chelsea. In Nazionale legava il suo nome alla vittoria mondiale del 1938, con un bilancio azzurro importante a fine carriera: 25 partite, 19 vittorie, 5 pareggi, una sola sconfitta, una rete all'attivo (quella segnata contro il Belgio a Milano, 6-1 il 15 maggio del 1938). Si concretizzava, in Nazionale, quel passaggio di consegne fra Monti ed Andreolo che faceva rivivere paragoni lontani fra i due campioni: stesso ruolo, entrambi con nome e sangue italiani, nati così lontano dall'Italia della quale hanno ritrovato la strada, per diventare famosi, attraverso il calcio". Michele Andreolo è scomparso il 14 maggio del 1981, a 69 anni.
Miguel "Michele" Andreolo giocò nel Bologna dal 1935-36, al campionato 1942-43, con 223 presenze e 26 gol tra campionato e coppe. Con il Bologna vince 4 scudetti 1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41, 1 Torneo dell'Esposizione di Parigi nel 1937. In Nazionale 25 partite e 1 gol, è campione del mondo a Parigi nel 1938.
Dal lontano Uruguay ancora un campione
di Renato Lemmi Gigli
"Ebbero tutti coraggio. Michele Andreolo a venire senza contratto, Renato Dall'Ara a puntare su un mediocentro praticamente sconosciuto, il Bologna a farlo giocare senza cartellino per via dei documenti che non arrivavano. C'era così il rischio di ritrovarsi in mezzo al campionato con zero punti e fare un bel buco nell'acqua. Ma valeva la pena correrlo. Con quell'unico ritocco, infatti, i rossoblù si erano già scoperti squadra da scudetto. Ma come fu, dunque, che Andreolo sbarcò da queste parti? Il merito fu tutto di Fedullo, che nell'estate del 1935 il Bologna si accingeva a far tornare, dopo averlo graziosamente perdonato per la romanzesca fuga di alcuni mesi prima. I problemi di Dall'Ara però non finivano con lui. Alla quadratura del cerchio rossoblù mancava sempre il pezzo più importante, quello numero 5. Donati Aldo da Budrio in Coppa Europa era stato bravissimo, ma era un laterale adattato. Occhiuzzi magari, ma in Uruguay s'era dato alla bella vita, neanche parlarne. L'idea buona di Dall'Ara fu allora quella di far scegliere a Fedullo, di cui si fidava ciecamente avendogli a suo tempo consigliato Sansone. E quello scelse il futuro campione del mondo. Non male. Quando però arrivarono con l'Oceania, il nome di Andreolo – nato a Dolores, nel 1912, da una famiglia originaria di Valle dell'Angelo, nel Salernitano – nessuno l'aveva mai sentito nominare. Anche perchè qui le conoscenze del calcio uruguagio non andavano oltre i nominativi che giocavano in Nazionale e Andreolo ci aveva avuto a che fare solo come riserva del grande Lorenzo Fernandez. Anche nella sua squadra, il Nacional di Montevideo, era diventato titolare solo da pochissimo tempo, da quando Faccio se ne era venuto all'Ambrosiana Inter. Comunque bastarono due gol-bomba a Verona, e un altro paio di gagliarde partite, per rendersi conto che ci si trovava di fronte ad un vero campione. Struttura atletica di prim'ordine, slancio gladiatorio a ridosso degli attaccanti come in difesa, grande elevazione, gioco di testa perfetto, lanci di 40-50 metri sulle ali, questo Andreolo valeva veramente oro. Per non dire poi dei suoi violenti tiri a rete, vere cannonate al tritolo con cui faceva saltare le difese più munite. In quel primo anno ne mise a segno cinque, di cui tre su punizione. E furono le sue bordate a scardinare Palermo e Triestina, ultimi ostacoli sulla via dello scudetto. C'era solo una cosa che "Micheolo" (la mania dei nomignoli non aveva risparmiato neppure lui) non sapeva fare: tirare i rigori. Diceva di trovarsi a disagio da così vicino, così a disagio da sbagliare sicuramente. Una volta contro la Fiorentina che resisteva accanitamente sullo 0-0 i compagni insistettero tanto che lui alla fine dovette rassegnarsi. Ma come volevasi dimostrare sbagliò nettamente. Un giocatore così ovviamente non poteva sfuggire alla Nazionale, che lo fece esordire il 17 maggio 1936 a Roma in una difficile partita con l'Austria (2-2) e incoronare campione del mondo il 19 giugno 1938 a Parigi, con un totale di 26 presenze da lì al 1942. La stessa Parigi già l'aveva salutato vincitore l'anno prima nel Torneo dell'Esposizione subito dopo il secondo scudetto. Nel suo carnet due altri appuntamenti prestigiosi: nel '37 con l'Europa Centrale contro quella Occidentale ad Amsterdam, e l'anno dopo, noblesse oblige, col Resto d'Europa selezionato per il match celebrativo della Football Association di Londra. Il 1938 insomma sembra il culmine della carriera di Andreolo. E non sorprende che in giro ci si dia da fare per accaparrarselo. Si fanno avanti il Sochaux francese (respinto), la Lazio e il Milan. Andreolo che ha avuto con Dall'Ara qualche scaramuccia per certe scappatelle regolarmente multate, sceglie i rossoneri. E qui scoppia un caso che mette piuttosto a rumore l'ambiente. Il Milan fa un'offerta robusta 400.000 lire (giusto quanto prevede il contratto di Andreolo per lo svincolo) più 80.000 al giocatore e inoltre si dichiara disponibile per passare ai felsinei Pisano e Gabardo. Dall'Ara sta quasi per cedere, ma poi si pente ed escogita un machiavello che ha del diabolico. Com'è come non è, Andreolo si ritrova nel contratto una clausola aggiunta (ma da chi e quando?) secondo cui l'anno dopo il Bologna ha diritto a riprendersi il giocatore per la metà della somma percepita. Avete capito che razza di volpone? Succede il finimondo, il Milan si appella al Direttorio federale ma non c'è niente da fare. Il Direttorio può solo lanciare qualche monito e multare Andreolo (perchè ha taciuto il particolare: e ti credo!) di 5000 lire, da devolvere ad opere assistenziali. Ormai il giocatore ha capito che resterà rossoblù a vita. Non avrà a dolersene, perchè a Bologna vivrà ancora bellissime stagioni che porteranno a quattro gli scudetti della sua collezione. Se ne andrà soltanto negli ultimi anni di guerra, sistemandosi prima alla Lazio e poi, a conflitto ultimato, nel Napoli allenato da Sansone. Lo attende un lungo e mesto dopo - carriera, triste per uno come lui che, con la grande ribalta, aveva conosciuto la vita brillante, che aveva la macchina ultimo modello ed era stato lì lì per sposare la figlia d'un grande industriale milanese. E ora invece la realtà gli impone i problemi del tirare avanti, allenatore in piccoli centri (tra questi anche Forlì) poi tecnico al centro giovanile di Potenza, dove prende moglie e da dove, un triste giorno del 1981, giunge la notizia della sua scomparsa".
Articolo tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna"
di Leone Boccali
Andreolo succedette a Baldi tre anni dopo l'interregno di un altro italo-uruguaiano, Occhiuzzi, e le sporadiche apparizioni di quel Donati che tra l'altro aveva tenuto magnificamente il posto negli incontri decisivi della seconda Coppa Europa di marca bolognese, nel 1934. Piccolo, tarchiato, aggressivo come i suoi occhi neri, Andreolo fece, nella Nazionale, un cammino-lampo, offrendo a Pozzo, per il secondo titolo mondiale del 1938, la migliore soluzione per la successione di Monti. Andreolo vestì la prima maglia azzurra contro l'Austria, a Roma, al termine della sua prima stagione nel Bologna , che gli fruttò il titolo del 1935-36, il primo della quaterna: drammatico 2-2, e Meazza con la testa rotta. Di botto venne a trovarsi, lui appena 24enne, a tu per tu con Sindelar, e successivamente, a Budapest, con Sarosi: due collaudi eccezionali, evidentemente, e ottimamente superati (e con Sarosi si ritrovò nella finale mondiale del '38). Fu l'inizio di una lunga carriera azzurra (caratterizzata da 26 presenze, le più numerose per un oriundo dopo le 35 di Orsi) trionfalmente conclusa durante la guerra con i 4-0 alla Croazia e alla Spagna. Lottatore formidabile e stoccatore eccezionale in quei calci di punizione che spaccavano i paletti. Andreolo aveva... accompagnato con quattro reti il suo primo scudetto e con sei il secondo, e tra lui e il centravanti, anch'egli di Montevideo, Puricelli, il Bologna poté vantare le due migliori teste del Campionato. Era anche un giocatore scaltro il nostro Michele, e che sapeva tenere le consegne, per esempio quella di reprimere lo slancio offensivo, di rinunziare ad avanzare troppo, per mantenersi piazzato e vigilante nelle posizioni di difesa. Non occorre essere anziani, del resto, per ricordarselo, piccolo gladiatore delle arene verdi".
Miguel "Michele" Andreolo giocò nel Bologna dal 1935-36, al campionato 1942-43, con 223 presenze e 26 gol tra campionato e coppe. Con il Bologna vince 4 scudetti 1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41, 1 Torneo dell'Esposizione di Parigi nel 1937. In Nazionale 25 partite e 1 gol, è campione del mondo a Parigi nel 1938.
Dal lontano Uruguay ancora un campione
di Renato Lemmi Gigli
"Ebbero tutti coraggio. Michele Andreolo a venire senza contratto, Renato Dall'Ara a puntare su un mediocentro praticamente sconosciuto, il Bologna a farlo giocare senza cartellino per via dei documenti che non arrivavano. C'era così il rischio di ritrovarsi in mezzo al campionato con zero punti e fare un bel buco nell'acqua. Ma valeva la pena correrlo. Con quell'unico ritocco, infatti, i rossoblù si erano già scoperti squadra da scudetto. Ma come fu, dunque, che Andreolo sbarcò da queste parti? Il merito fu tutto di Fedullo, che nell'estate del 1935 il Bologna si accingeva a far tornare, dopo averlo graziosamente perdonato per la romanzesca fuga di alcuni mesi prima. I problemi di Dall'Ara però non finivano con lui. Alla quadratura del cerchio rossoblù mancava sempre il pezzo più importante, quello numero 5. Donati Aldo da Budrio in Coppa Europa era stato bravissimo, ma era un laterale adattato. Occhiuzzi magari, ma in Uruguay s'era dato alla bella vita, neanche parlarne. L'idea buona di Dall'Ara fu allora quella di far scegliere a Fedullo, di cui si fidava ciecamente avendogli a suo tempo consigliato Sansone. E quello scelse il futuro campione del mondo. Non male. Quando però arrivarono con l'Oceania, il nome di Andreolo – nato a Dolores, nel 1912, da una famiglia originaria di Valle dell'Angelo, nel Salernitano – nessuno l'aveva mai sentito nominare. Anche perchè qui le conoscenze del calcio uruguagio non andavano oltre i nominativi che giocavano in Nazionale e Andreolo ci aveva avuto a che fare solo come riserva del grande Lorenzo Fernandez. Anche nella sua squadra, il Nacional di Montevideo, era diventato titolare solo da pochissimo tempo, da quando Faccio se ne era venuto all'Ambrosiana Inter. Comunque bastarono due gol-bomba a Verona, e un altro paio di gagliarde partite, per rendersi conto che ci si trovava di fronte ad un vero campione. Struttura atletica di prim'ordine, slancio gladiatorio a ridosso degli attaccanti come in difesa, grande elevazione, gioco di testa perfetto, lanci di 40-50 metri sulle ali, questo Andreolo valeva veramente oro. Per non dire poi dei suoi violenti tiri a rete, vere cannonate al tritolo con cui faceva saltare le difese più munite. In quel primo anno ne mise a segno cinque, di cui tre su punizione. E furono le sue bordate a scardinare Palermo e Triestina, ultimi ostacoli sulla via dello scudetto. C'era solo una cosa che "Micheolo" (la mania dei nomignoli non aveva risparmiato neppure lui) non sapeva fare: tirare i rigori. Diceva di trovarsi a disagio da così vicino, così a disagio da sbagliare sicuramente. Una volta contro la Fiorentina che resisteva accanitamente sullo 0-0 i compagni insistettero tanto che lui alla fine dovette rassegnarsi. Ma come volevasi dimostrare sbagliò nettamente. Un giocatore così ovviamente non poteva sfuggire alla Nazionale, che lo fece esordire il 17 maggio 1936 a Roma in una difficile partita con l'Austria (2-2) e incoronare campione del mondo il 19 giugno 1938 a Parigi, con un totale di 26 presenze da lì al 1942. La stessa Parigi già l'aveva salutato vincitore l'anno prima nel Torneo dell'Esposizione subito dopo il secondo scudetto. Nel suo carnet due altri appuntamenti prestigiosi: nel '37 con l'Europa Centrale contro quella Occidentale ad Amsterdam, e l'anno dopo, noblesse oblige, col Resto d'Europa selezionato per il match celebrativo della Football Association di Londra. Il 1938 insomma sembra il culmine della carriera di Andreolo. E non sorprende che in giro ci si dia da fare per accaparrarselo. Si fanno avanti il Sochaux francese (respinto), la Lazio e il Milan. Andreolo che ha avuto con Dall'Ara qualche scaramuccia per certe scappatelle regolarmente multate, sceglie i rossoneri. E qui scoppia un caso che mette piuttosto a rumore l'ambiente. Il Milan fa un'offerta robusta 400.000 lire (giusto quanto prevede il contratto di Andreolo per lo svincolo) più 80.000 al giocatore e inoltre si dichiara disponibile per passare ai felsinei Pisano e Gabardo. Dall'Ara sta quasi per cedere, ma poi si pente ed escogita un machiavello che ha del diabolico. Com'è come non è, Andreolo si ritrova nel contratto una clausola aggiunta (ma da chi e quando?) secondo cui l'anno dopo il Bologna ha diritto a riprendersi il giocatore per la metà della somma percepita. Avete capito che razza di volpone? Succede il finimondo, il Milan si appella al Direttorio federale ma non c'è niente da fare. Il Direttorio può solo lanciare qualche monito e multare Andreolo (perchè ha taciuto il particolare: e ti credo!) di 5000 lire, da devolvere ad opere assistenziali. Ormai il giocatore ha capito che resterà rossoblù a vita. Non avrà a dolersene, perchè a Bologna vivrà ancora bellissime stagioni che porteranno a quattro gli scudetti della sua collezione. Se ne andrà soltanto negli ultimi anni di guerra, sistemandosi prima alla Lazio e poi, a conflitto ultimato, nel Napoli allenato da Sansone. Lo attende un lungo e mesto dopo - carriera, triste per uno come lui che, con la grande ribalta, aveva conosciuto la vita brillante, che aveva la macchina ultimo modello ed era stato lì lì per sposare la figlia d'un grande industriale milanese. E ora invece la realtà gli impone i problemi del tirare avanti, allenatore in piccoli centri (tra questi anche Forlì) poi tecnico al centro giovanile di Potenza, dove prende moglie e da dove, un triste giorno del 1981, giunge la notizia della sua scomparsa".
Articolo tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna"
di Leone Boccali
Andreolo succedette a Baldi tre anni dopo l'interregno di un altro italo-uruguaiano, Occhiuzzi, e le sporadiche apparizioni di quel Donati che tra l'altro aveva tenuto magnificamente il posto negli incontri decisivi della seconda Coppa Europa di marca bolognese, nel 1934. Piccolo, tarchiato, aggressivo come i suoi occhi neri, Andreolo fece, nella Nazionale, un cammino-lampo, offrendo a Pozzo, per il secondo titolo mondiale del 1938, la migliore soluzione per la successione di Monti. Andreolo vestì la prima maglia azzurra contro l'Austria, a Roma, al termine della sua prima stagione nel Bologna , che gli fruttò il titolo del 1935-36, il primo della quaterna: drammatico 2-2, e Meazza con la testa rotta. Di botto venne a trovarsi, lui appena 24enne, a tu per tu con Sindelar, e successivamente, a Budapest, con Sarosi: due collaudi eccezionali, evidentemente, e ottimamente superati (e con Sarosi si ritrovò nella finale mondiale del '38). Fu l'inizio di una lunga carriera azzurra (caratterizzata da 26 presenze, le più numerose per un oriundo dopo le 35 di Orsi) trionfalmente conclusa durante la guerra con i 4-0 alla Croazia e alla Spagna. Lottatore formidabile e stoccatore eccezionale in quei calci di punizione che spaccavano i paletti. Andreolo aveva... accompagnato con quattro reti il suo primo scudetto e con sei il secondo, e tra lui e il centravanti, anch'egli di Montevideo, Puricelli, il Bologna poté vantare le due migliori teste del Campionato. Era anche un giocatore scaltro il nostro Michele, e che sapeva tenere le consegne, per esempio quella di reprimere lo slancio offensivo, di rinunziare ad avanzare troppo, per mantenersi piazzato e vigilante nelle posizioni di difesa. Non occorre essere anziani, del resto, per ricordarselo, piccolo gladiatore delle arene verdi".
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