Da Dolores, piccolo paese appartenente al dipartimento di Soriano, situato a più di 270 km dalla capitale Montevideo, al Bologna e alla Nazionale di Vittorio Pozzo. Lunga la strada di Miguel Andriolo, in seguito italianizzato in Michele Andreolo. Nato a Dolores il 6 settembre 1912, figlio di due immigrati italiani originari di Valle dell'Angelo in provincia di Salerno, Ramón Barbatto Andriolo e donna Teresa Faustina Frodella, Miguel crebbe in una famiglia molto numerosa composta da ben 8 fratelli, di cui 5 maschi: Julio, Atilio, Raùl, Raymundo, Mariano, e 3 femmine: Amelia, Minuca e Nena. Imparò presto a tirare i primi calci al pallone nel Libertad Fùtbol Club, piccolo club di Dolores. Erano i tempi eroici, quelli dei trionfi del fútbol uruguagio campione olimpico e mondiale, fucina di fuoriclasse. Nel 1931 il giovane Andreolo viene notato in un'amichevole giocata a Dolores, precisamente da Carlos Riolfo, centrocampista del Peñarol, il quale, durante il lunch organizzato nel dopopartita dal Libertad, dichiarò che "el chivo" – come era soprannominato Andreolo in Uruguay – avrebbe avuto tutte le caratteristiche fisiche e tecniche per diventare un grande giocatore della massima divisione. Venne così chiamato in squadra dal Club Nacional de Fùtbol, il mitico "tricolor" di Montevideo, dove trovò in squadra degli assi celebrati: Domingos da Guia e Patesko, stelle brasiliane, Héctor "el Manco" Castro, Ciocca e il grande José Nasazzi, detto "el Mariscal" (il maresciallo), capitano e leader assoluto dell'Uruguay bicampione olimpico nel 1924 e 1928, e campione del mondo nel 1930. Il ragazzo giocava nel ruolo di centromediano metodista, all'epoca occupato da Faccio che era uno degli intoccabili della squadra. Ma Andreolo destò una tale impressione, che i dirigenti della società convinsero Faccio a spostarsi nei compiti di half per far posto al centro all'atletico giovanotto arrivato dalla provincia. Faccio, poco tempo dopo, se ne andò in Italia chiamato dall'Ambrosiana-Inter, e Andreolo divenne più che mai un punto di forza della squadra con la quale vinse il campionato del 1933. I tifosi di Montevideo, dirimpettai di quelli di Buenos Aires, si piccavano di avere trovato un giocatore più forte di Luis Monti, ormai protagonista della Serie A italiana. Nel Nacional Andreolo era l'anima e il sostegno della squadra, sapeva comandarla con l'esempio e con la voce, e in alcune partite che parevano compromesse accettava di spostarsi in attacco alla ricerca del goal. Ma il ruolo non gli piaceva: "L'area di rigore è troppo piccola per me, a centrocampo si respira meglio". Venne convocato in Nazionale, la mitica "Celeste", con cui vinse un Campeonato Sudamericano (l'attuale Coppa America) nel 1935 a Lima, in Perù – anche se non fu schierato per le ancora splendide condizioni del grande Lorenzo Fernandez –, battendo in finale gli eterni rivali dell'Argentina. Nel 1934, il futuro del ragazzo di Dolores venne deciso dal temporaneo rientro in patria di Francisco Fedullo, altro uruguagio in forza al Bologna, costretto a tornare a Montevideo per motivi familiari. Nel salutarlo, alla partenza, i dirigenti rosso-blu lo pregarono di dare un'occhiata al campionato, per vedere se c'era un giocatore in grado di rimpiazzare nel ruolo di centromediano l'altro oriundo uruguagio, Francesco Occhiuzzi, forte e sfortunato campione proveniente dai Montevideo Wanderers, che era rientrato definitivamente in patria. A Fedullo non fu difficile capire che l'uomo giusto era Miguel Andreolo, e scrisse al Bologna: "ho trovato il campione". La risposta fu un incarico con pieni poteri. Fedullo concluse anche le trattative con il Nacional e nell'estate del 1935 sbarcava a Genova il nuovo idolo dei supporters rosso-blu, l'uomo che doveva lasciare un ricordo profondo anche nella storia della Nazionale. Dopo i trionfi del quinquennio juventino, 1930-1935, il Bologna riuscì a prendere il testimone dell'ideale staffetta nella leadership del calcio italiano. Il club bolognese divenne campione d'Italia alla fine della stagione 1935-36, e Andreolo era allo zenit della propria carriera. Lo scudetto coincideva quasi con la prima convocazione in azzurro, per la partita Italia-Austria (2-2) a Roma, il 17 maggio 1936. Fu la consacrazione, e dopo una sola stagione in Italia. Si era presentato con due goal, sul finire dell'estate del 1935, nell'amichevole sostenuta dal Bologna a Verona contro l'Hellas. Chiese di chiedergli qualsiasi sacrificio ma non di calciare i rigori. Nel primo campionato nei nostri stadi, Andreolo fece sensazione per la sua autorità. Il paragone con Luisito Monti era un tema delle già rilevanti cronache sportive. Avevano avuto ragione gli aficionados di Montevideo. Fisico potente, deciso negli scontri, capace di lunghe aperture alle ali, di lanci profondi al centravanti. Michele Andreolo amava cogliere il momento giusto per portarsi avanti ed andare al tiro. Il suo destro era micidiale con la palla in movimento e nei calci di punizione, ma dal dischetto no, si bloccava, sentiva troppo l'emozione. Si fece tentare una volta sola in campionato, e sbagliò clamorosamente. Bologna-Fiorentina del 2 gennaio 1936, arbitro Barlassina all'epoca principe incontrastato del fischietto. Alla concessione del rigore, il pubblico cominciò a gridare "Andreolo, Andreolo!", e i compagni di squadra lo convinsero. Breve rincorsa, e palla abbondantemente fuori bersaglio. Doveva spiegare, dopo:"Non so cosa dirvi, ma quando mi trovo di fronte al portiere testa a testa mi cedono le gambe. È così. Sapete che ho coraggio, ma al momento del tiro provo una sensazione di impotenza. Vi prego di non costringermi a brutte figure". Nel Bologna, Andreolo vinceva altri due scudetti, nel 1937 e nel 1939. Sempre nel 1937, anche un successo di prestigio nel Torneo dell'Esposizione di Parigi, sconfiggendo in finale gli inglesi del Chelsea. In Nazionale legava il suo nome alla vittoria mondiale del 1938, con un bilancio azzurro importante a fine carriera: 25 partite, 19 vittorie, 5 pareggi, una sola sconfitta, una rete all'attivo (quella segnata contro il Belgio a Milano, 6-1 il 15 maggio del 1938). Si concretizzava, in Nazionale, quel passaggio di consegne fra Monti ed Andreolo che faceva rivivere paragoni lontani fra i due campioni: stesso ruolo, entrambi con nome e sangue italiani, nati così lontano dall'Italia della quale hanno ritrovato la strada, per diventare famosi, attraverso il calcio". Michele Andreolo è scomparso il 14 maggio del 1981, a 69 anni.
Miguel "Michele" Andreolo giocò nel Bologna dal 1935-36, al campionato 1942-43, con 223 presenze e 26 gol tra campionato e coppe. Con il Bologna vince 4 scudetti 1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41, 1 Torneo dell'Esposizione di Parigi nel 1937. In Nazionale 25 partite e 1 gol, è campione del mondo a Parigi nel 1938.
Dal lontano Uruguay ancora un campione
di Renato Lemmi Gigli
"Ebbero tutti coraggio. Michele Andreolo a venire senza contratto, Renato Dall'Ara a puntare su un mediocentro praticamente sconosciuto, il Bologna a farlo giocare senza cartellino per via dei documenti che non arrivavano. C'era così il rischio di ritrovarsi in mezzo al campionato con zero punti e fare un bel buco nell'acqua. Ma valeva la pena correrlo. Con quell'unico ritocco, infatti, i rossoblù si erano già scoperti squadra da scudetto. Ma come fu, dunque, che Andreolo sbarcò da queste parti? Il merito fu tutto di Fedullo, che nell'estate del 1935 il Bologna si accingeva a far tornare, dopo averlo graziosamente perdonato per la romanzesca fuga di alcuni mesi prima. I problemi di Dall'Ara però non finivano con lui. Alla quadratura del cerchio rossoblù mancava sempre il pezzo più importante, quello numero 5. Donati Aldo da Budrio in Coppa Europa era stato bravissimo, ma era un laterale adattato. Occhiuzzi magari, ma in Uruguay s'era dato alla bella vita, neanche parlarne. L'idea buona di Dall'Ara fu allora quella di far scegliere a Fedullo, di cui si fidava ciecamente avendogli a suo tempo consigliato Sansone. E quello scelse il futuro campione del mondo. Non male. Quando però arrivarono con l'Oceania, il nome di Andreolo – nato a Dolores, nel 1912, da una famiglia originaria di Valle dell'Angelo, nel Salernitano – nessuno l'aveva mai sentito nominare. Anche perchè qui le conoscenze del calcio uruguagio non andavano oltre i nominativi che giocavano in Nazionale e Andreolo ci aveva avuto a che fare solo come riserva del grande Lorenzo Fernandez. Anche nella sua squadra, il Nacional di Montevideo, era diventato titolare solo da pochissimo tempo, da quando Faccio se ne era venuto all'Ambrosiana Inter. Comunque bastarono due gol-bomba a Verona, e un altro paio di gagliarde partite, per rendersi conto che ci si trovava di fronte ad un vero campione. Struttura atletica di prim'ordine, slancio gladiatorio a ridosso degli attaccanti come in difesa, grande elevazione, gioco di testa perfetto, lanci di 40-50 metri sulle ali, questo Andreolo valeva veramente oro. Per non dire poi dei suoi violenti tiri a rete, vere cannonate al tritolo con cui faceva saltare le difese più munite. In quel primo anno ne mise a segno cinque, di cui tre su punizione. E furono le sue bordate a scardinare Palermo e Triestina, ultimi ostacoli sulla via dello scudetto. C'era solo una cosa che "Micheolo" (la mania dei nomignoli non aveva risparmiato neppure lui) non sapeva fare: tirare i rigori. Diceva di trovarsi a disagio da così vicino, così a disagio da sbagliare sicuramente. Una volta contro la Fiorentina che resisteva accanitamente sullo 0-0 i compagni insistettero tanto che lui alla fine dovette rassegnarsi. Ma come volevasi dimostrare sbagliò nettamente. Un giocatore così ovviamente non poteva sfuggire alla Nazionale, che lo fece esordire il 17 maggio 1936 a Roma in una difficile partita con l'Austria (2-2) e incoronare campione del mondo il 19 giugno 1938 a Parigi, con un totale di 26 presenze da lì al 1942. La stessa Parigi già l'aveva salutato vincitore l'anno prima nel Torneo dell'Esposizione subito dopo il secondo scudetto. Nel suo carnet due altri appuntamenti prestigiosi: nel '37 con l'Europa Centrale contro quella Occidentale ad Amsterdam, e l'anno dopo, noblesse oblige, col Resto d'Europa selezionato per il match celebrativo della Football Association di Londra. Il 1938 insomma sembra il culmine della carriera di Andreolo. E non sorprende che in giro ci si dia da fare per accaparrarselo. Si fanno avanti il Sochaux francese (respinto), la Lazio e il Milan. Andreolo che ha avuto con Dall'Ara qualche scaramuccia per certe scappatelle regolarmente multate, sceglie i rossoneri. E qui scoppia un caso che mette piuttosto a rumore l'ambiente. Il Milan fa un'offerta robusta 400.000 lire (giusto quanto prevede il contratto di Andreolo per lo svincolo) più 80.000 al giocatore e inoltre si dichiara disponibile per passare ai felsinei Pisano e Gabardo. Dall'Ara sta quasi per cedere, ma poi si pente ed escogita un machiavello che ha del diabolico. Com'è come non è, Andreolo si ritrova nel contratto una clausola aggiunta (ma da chi e quando?) secondo cui l'anno dopo il Bologna ha diritto a riprendersi il giocatore per la metà della somma percepita. Avete capito che razza di volpone? Succede il finimondo, il Milan si appella al Direttorio federale ma non c'è niente da fare. Il Direttorio può solo lanciare qualche monito e multare Andreolo (perchè ha taciuto il particolare: e ti credo!) di 5000 lire, da devolvere ad opere assistenziali. Ormai il giocatore ha capito che resterà rossoblù a vita. Non avrà a dolersene, perchè a Bologna vivrà ancora bellissime stagioni che porteranno a quattro gli scudetti della sua collezione. Se ne andrà soltanto negli ultimi anni di guerra, sistemandosi prima alla Lazio e poi, a conflitto ultimato, nel Napoli allenato da Sansone. Lo attende un lungo e mesto dopo - carriera, triste per uno come lui che, con la grande ribalta, aveva conosciuto la vita brillante, che aveva la macchina ultimo modello ed era stato lì lì per sposare la figlia d'un grande industriale milanese. E ora invece la realtà gli impone i problemi del tirare avanti, allenatore in piccoli centri (tra questi anche Forlì) poi tecnico al centro giovanile di Potenza, dove prende moglie e da dove, un triste giorno del 1981, giunge la notizia della sua scomparsa".
Articolo tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna"
di Leone Boccali
Andreolo succedette a Baldi tre anni dopo l'interregno di un altro italo-uruguaiano, Occhiuzzi, e le sporadiche apparizioni di quel Donati che tra l'altro aveva tenuto magnificamente il posto negli incontri decisivi della seconda Coppa Europa di marca bolognese, nel 1934. Piccolo, tarchiato, aggressivo come i suoi occhi neri, Andreolo fece, nella Nazionale, un cammino-lampo, offrendo a Pozzo, per il secondo titolo mondiale del 1938, la migliore soluzione per la successione di Monti. Andreolo vestì la prima maglia azzurra contro l'Austria, a Roma, al termine della sua prima stagione nel Bologna , che gli fruttò il titolo del 1935-36, il primo della quaterna: drammatico 2-2, e Meazza con la testa rotta. Di botto venne a trovarsi, lui appena 24enne, a tu per tu con Sindelar, e successivamente, a Budapest, con Sarosi: due collaudi eccezionali, evidentemente, e ottimamente superati (e con Sarosi si ritrovò nella finale mondiale del '38). Fu l'inizio di una lunga carriera azzurra (caratterizzata da 26 presenze, le più numerose per un oriundo dopo le 35 di Orsi) trionfalmente conclusa durante la guerra con i 4-0 alla Croazia e alla Spagna. Lottatore formidabile e stoccatore eccezionale in quei calci di punizione che spaccavano i paletti. Andreolo aveva... accompagnato con quattro reti il suo primo scudetto e con sei il secondo, e tra lui e il centravanti, anch'egli di Montevideo, Puricelli, il Bologna poté vantare le due migliori teste del Campionato. Era anche un giocatore scaltro il nostro Michele, e che sapeva tenere le consegne, per esempio quella di reprimere lo slancio offensivo, di rinunziare ad avanzare troppo, per mantenersi piazzato e vigilante nelle posizioni di difesa. Non occorre essere anziani, del resto, per ricordarselo, piccolo gladiatore delle arene verdi".
Miguel "Michele" Andreolo giocò nel Bologna dal 1935-36, al campionato 1942-43, con 223 presenze e 26 gol tra campionato e coppe. Con il Bologna vince 4 scudetti 1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41, 1 Torneo dell'Esposizione di Parigi nel 1937. In Nazionale 25 partite e 1 gol, è campione del mondo a Parigi nel 1938.
Dal lontano Uruguay ancora un campione
di Renato Lemmi Gigli
"Ebbero tutti coraggio. Michele Andreolo a venire senza contratto, Renato Dall'Ara a puntare su un mediocentro praticamente sconosciuto, il Bologna a farlo giocare senza cartellino per via dei documenti che non arrivavano. C'era così il rischio di ritrovarsi in mezzo al campionato con zero punti e fare un bel buco nell'acqua. Ma valeva la pena correrlo. Con quell'unico ritocco, infatti, i rossoblù si erano già scoperti squadra da scudetto. Ma come fu, dunque, che Andreolo sbarcò da queste parti? Il merito fu tutto di Fedullo, che nell'estate del 1935 il Bologna si accingeva a far tornare, dopo averlo graziosamente perdonato per la romanzesca fuga di alcuni mesi prima. I problemi di Dall'Ara però non finivano con lui. Alla quadratura del cerchio rossoblù mancava sempre il pezzo più importante, quello numero 5. Donati Aldo da Budrio in Coppa Europa era stato bravissimo, ma era un laterale adattato. Occhiuzzi magari, ma in Uruguay s'era dato alla bella vita, neanche parlarne. L'idea buona di Dall'Ara fu allora quella di far scegliere a Fedullo, di cui si fidava ciecamente avendogli a suo tempo consigliato Sansone. E quello scelse il futuro campione del mondo. Non male. Quando però arrivarono con l'Oceania, il nome di Andreolo – nato a Dolores, nel 1912, da una famiglia originaria di Valle dell'Angelo, nel Salernitano – nessuno l'aveva mai sentito nominare. Anche perchè qui le conoscenze del calcio uruguagio non andavano oltre i nominativi che giocavano in Nazionale e Andreolo ci aveva avuto a che fare solo come riserva del grande Lorenzo Fernandez. Anche nella sua squadra, il Nacional di Montevideo, era diventato titolare solo da pochissimo tempo, da quando Faccio se ne era venuto all'Ambrosiana Inter. Comunque bastarono due gol-bomba a Verona, e un altro paio di gagliarde partite, per rendersi conto che ci si trovava di fronte ad un vero campione. Struttura atletica di prim'ordine, slancio gladiatorio a ridosso degli attaccanti come in difesa, grande elevazione, gioco di testa perfetto, lanci di 40-50 metri sulle ali, questo Andreolo valeva veramente oro. Per non dire poi dei suoi violenti tiri a rete, vere cannonate al tritolo con cui faceva saltare le difese più munite. In quel primo anno ne mise a segno cinque, di cui tre su punizione. E furono le sue bordate a scardinare Palermo e Triestina, ultimi ostacoli sulla via dello scudetto. C'era solo una cosa che "Micheolo" (la mania dei nomignoli non aveva risparmiato neppure lui) non sapeva fare: tirare i rigori. Diceva di trovarsi a disagio da così vicino, così a disagio da sbagliare sicuramente. Una volta contro la Fiorentina che resisteva accanitamente sullo 0-0 i compagni insistettero tanto che lui alla fine dovette rassegnarsi. Ma come volevasi dimostrare sbagliò nettamente. Un giocatore così ovviamente non poteva sfuggire alla Nazionale, che lo fece esordire il 17 maggio 1936 a Roma in una difficile partita con l'Austria (2-2) e incoronare campione del mondo il 19 giugno 1938 a Parigi, con un totale di 26 presenze da lì al 1942. La stessa Parigi già l'aveva salutato vincitore l'anno prima nel Torneo dell'Esposizione subito dopo il secondo scudetto. Nel suo carnet due altri appuntamenti prestigiosi: nel '37 con l'Europa Centrale contro quella Occidentale ad Amsterdam, e l'anno dopo, noblesse oblige, col Resto d'Europa selezionato per il match celebrativo della Football Association di Londra. Il 1938 insomma sembra il culmine della carriera di Andreolo. E non sorprende che in giro ci si dia da fare per accaparrarselo. Si fanno avanti il Sochaux francese (respinto), la Lazio e il Milan. Andreolo che ha avuto con Dall'Ara qualche scaramuccia per certe scappatelle regolarmente multate, sceglie i rossoneri. E qui scoppia un caso che mette piuttosto a rumore l'ambiente. Il Milan fa un'offerta robusta 400.000 lire (giusto quanto prevede il contratto di Andreolo per lo svincolo) più 80.000 al giocatore e inoltre si dichiara disponibile per passare ai felsinei Pisano e Gabardo. Dall'Ara sta quasi per cedere, ma poi si pente ed escogita un machiavello che ha del diabolico. Com'è come non è, Andreolo si ritrova nel contratto una clausola aggiunta (ma da chi e quando?) secondo cui l'anno dopo il Bologna ha diritto a riprendersi il giocatore per la metà della somma percepita. Avete capito che razza di volpone? Succede il finimondo, il Milan si appella al Direttorio federale ma non c'è niente da fare. Il Direttorio può solo lanciare qualche monito e multare Andreolo (perchè ha taciuto il particolare: e ti credo!) di 5000 lire, da devolvere ad opere assistenziali. Ormai il giocatore ha capito che resterà rossoblù a vita. Non avrà a dolersene, perchè a Bologna vivrà ancora bellissime stagioni che porteranno a quattro gli scudetti della sua collezione. Se ne andrà soltanto negli ultimi anni di guerra, sistemandosi prima alla Lazio e poi, a conflitto ultimato, nel Napoli allenato da Sansone. Lo attende un lungo e mesto dopo - carriera, triste per uno come lui che, con la grande ribalta, aveva conosciuto la vita brillante, che aveva la macchina ultimo modello ed era stato lì lì per sposare la figlia d'un grande industriale milanese. E ora invece la realtà gli impone i problemi del tirare avanti, allenatore in piccoli centri (tra questi anche Forlì) poi tecnico al centro giovanile di Potenza, dove prende moglie e da dove, un triste giorno del 1981, giunge la notizia della sua scomparsa".
Articolo tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna"
di Leone Boccali
Andreolo succedette a Baldi tre anni dopo l'interregno di un altro italo-uruguaiano, Occhiuzzi, e le sporadiche apparizioni di quel Donati che tra l'altro aveva tenuto magnificamente il posto negli incontri decisivi della seconda Coppa Europa di marca bolognese, nel 1934. Piccolo, tarchiato, aggressivo come i suoi occhi neri, Andreolo fece, nella Nazionale, un cammino-lampo, offrendo a Pozzo, per il secondo titolo mondiale del 1938, la migliore soluzione per la successione di Monti. Andreolo vestì la prima maglia azzurra contro l'Austria, a Roma, al termine della sua prima stagione nel Bologna , che gli fruttò il titolo del 1935-36, il primo della quaterna: drammatico 2-2, e Meazza con la testa rotta. Di botto venne a trovarsi, lui appena 24enne, a tu per tu con Sindelar, e successivamente, a Budapest, con Sarosi: due collaudi eccezionali, evidentemente, e ottimamente superati (e con Sarosi si ritrovò nella finale mondiale del '38). Fu l'inizio di una lunga carriera azzurra (caratterizzata da 26 presenze, le più numerose per un oriundo dopo le 35 di Orsi) trionfalmente conclusa durante la guerra con i 4-0 alla Croazia e alla Spagna. Lottatore formidabile e stoccatore eccezionale in quei calci di punizione che spaccavano i paletti. Andreolo aveva... accompagnato con quattro reti il suo primo scudetto e con sei il secondo, e tra lui e il centravanti, anch'egli di Montevideo, Puricelli, il Bologna poté vantare le due migliori teste del Campionato. Era anche un giocatore scaltro il nostro Michele, e che sapeva tenere le consegne, per esempio quella di reprimere lo slancio offensivo, di rinunziare ad avanzare troppo, per mantenersi piazzato e vigilante nelle posizioni di difesa. Non occorre essere anziani, del resto, per ricordarselo, piccolo gladiatore delle arene verdi".
Zio Michele, resterai sempre nei nostri cuori!!!
RispondiEliminaVittorio Merito
Ho avuto l'onore e l'emozione di conoscerlo a Potenza, nei primi anni Settanta. Ero un giovanissimo calciatore del vivaio potentino, e il grande Andreolo ogni tanto veniva, al campo dell'ENAOLI o al Viviani, a vederci giocare e a darci entusiasmo.
RispondiEliminaUn ricordo indelebile.
Attilio Coco
Grazie per i vostri contributi. Una curiosità: i suoi familiari abitano ancora a Potenza?
RispondiEliminaCerto, mia zia e i miei cugini vivono ancora a Potenza tranne mio cugino Claudio, lui vive a Bologna.
RispondiEliminaVittorio Merito
Let me first start by saying I do not speak Italian but hopefully this gets through to the right person/people.
RispondiEliminaMiguel was my grandfather's brother(Raymundo) and although I grew up with him grandfather, I didn't understand him many times (I do not speak spanish either). It was always interesting to hear about both of their professional soccer careers. It's great to have articles like this for our family to have since both of them are gone now.
If there are any Andriolo/Andreolo families that want to contact me from Italy or anywhere else, please feel free to: terencialdownpour@gmail.com
-Terence Andriolo
Sono Claudio Andreolo,secondogenito di Michele, vorrei avere contatti con parenti e persone che vogliono avere informazioni su mio padre.
RispondiEliminaCome disse Gianni Brera uno deipiù grandi storici del calcio italiano e mondiale, Michele Andreolo fu uno dei più grandi centromediani che ha avuto la nazionale azzurra, pilastro con grande elevazione e micidiale dalle punizioni oltre i 40 metri. Lo stesso Brera disse che secondo lui avrebbe meritato senz'altro il posto nella nazionale italiana di tutti i tempi. GRANDE ANDREOLO PER SEMPRE NEI NOSTRI CUORI:
RispondiEliminaVORREI TANTO CHE IL BOLOGNA SPORT CLUB ORGANIZZASSE UNA PARTITA DA DARE IN BENEFICENZA ALLE FAMIGLIE DEI CALCIATORI ROSSOBLU' CADUTE IN DIFFICOLTA' ECONOMICHE TRA CUI FAMIGLIA ANDREOLO, DA COME HO LETTO DA GIORNALE FEDE ROSSOBLU' SPERO CHE QUESTO MIO SOGNO SI AVVERI E CHE QUALCHE DIRIGENTE ROSSOBLU' ACCOLGA QUESTO ACCORATO MESSAGGIO.
RispondiEliminaPapà vorrei tanto che tu fossi qui con me.....sono molto stanco e tu mi capisci vero?
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