Il ritorno al Bologna
Nel campionato 1929-30, il primo a girone unico, Bruno Maini fece ritorno al Bologna ed esplose in tutto il suo talento, collezionando 20 reti in 30 partite e diventando il miglior realizzatore del Bologna in quella stagione, davanti a mostri sacri come Schiavio e Della Valle. Da quel momento il "jolly" rossoblù non uscirà praticamente più di squadra, diventando un protagonista assoluto del campionato italiano. In quei primi anni Trenta, durante i quali il Bologna primeggiò a livello europeo vincendo per due volte la Coppa dell'Europa Centrale, nel 1932 e nel 1934, Bruno Maini fu un primattore della manifestazione continentale per club: con i suoi gol (soprattutto di testa, in grande elevazione) risultò spesso decisivo. Nel Bologna le sue annate migliori furono quelle giocate come ala, dove poteva sfruttare al meglio la sua grande velocità e il suo innato senso del gol. Con il ritiro di Schiavio e l'avvento di Amedeo Biavati, passò al ruolo di centravanti, alternandosi con il livornese Busoni e facendo sempre risaltare il suo opportunismo in area di rigore. Poi, dopo due scudetti vinti da attaccante, riuscì a conquistarne altri due giocando da mediano, avvicendato più spesso a Montesanto ma anche ad Andreolo e Corsi, con qualche apparizione pure da terzino. Con il Bologna ha vinto 4 scudetti, 1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41, 2 Coppe Europa 1932, 1934, e un trofeo dell'Expo di Parigi 1937. Conta 315 presenze e 102 reti tra campionato e coppe. Al Bologna dal 1926-27 al 1927-28 e dal 1929-30 al 1940-41, più il torneo di guerra del 1944.
Intervista a Bruno Maini
di Giuseppe Quercioli
"Ho incontrato Bruno Maini un pomeriggio di primavera di tanti anni fa. Fu un incontro strano, nato da un uncidente fra me e lui in bicicletta. Lei è Bruno Maini ex del Bologna? Giocava ala, sulla destra? dissi io. " Iniziai attorno al 1926-27, Perin stava tirando i remi in barca ed occorreva un sostituto. Giocavo in una squadretta di ragazzi, la "Vincente", mi pare, una compagnia di squinternati ragazzi che calciavano una palla tanto per fare qualcosa. Qualcuno mi vide e mi fece firmare per il Bologna. Misi la firma sul cartellino rimanendo fattorino di bottega da un mio parente che lavorava il legno in un bugigattolo dalle parti di via Solferino. Una mattina, era venerdì e Felsner il "Mago", l'allenatore che teneva sempre la sigaretta tra le labbra, venne dentro alla bottega e senza una parola, guardandomi negli occhi disse:" Ragazzo, domenica giochi". Il mio principale, che non capiva un accidente di calcio, sbottò duro come se dovesse fare a pugni. "Domenica Bruno deve lavorare capito?!". Felsner non fece una piega, tirò una boccata dalla sigaretta e concluse. "Si gioca contro il Padova, fatti onore". Girò la schiena e se ne andò. Era il 3 ottobre del 1926, io non avevo che diciotto anni. Nelle riserve giocavo mediano, ma poiché ero veloce e scattante, Felsner che di calcio ne sapeva una più del diavolo, mi mise sulla destra, ala d'attacco, sulla sinistra vi era Muzzioli "Teresina" altro attaccante con una velocità nelle gambe da sbalordire. Giocai con con il cuore che mi saltava dalla gola alle ginocchia e riuscii anche a segnare un gol. Vincemmo 5 a 1. Segnammo subito su rigore, poi fu una scorpacciata di reti. Martelli, su rigore, poi due da parte di Schiavio, una Pozzi ed infine il sottoscritto. Segnai ancora la domenica dopo contro il Livorno, una squadra di picchiatori che non andavano tanto per il sottile. O gamba o pallone, dicevano ed era più le volte che scagliavano il pallone e prendevano la gamba. Mi feci male, rientrai e per quell'annata segnai 5 reti, non male per un debuttante. Stetti fermo quasi un anno poi il mio principale mi mise con le spalle al muro, o il lavoro o il pallone, mi piacevano tutte e due e per fortuna intervenne il Presidente che contrattò con lui. "Quello che perdete nel lavoro ve lo compensiamo noi: fu un buon contratto. Così ripresi a giocare nel campionato 1929-30, segnai la bellezza di 20 reti e superai tutti, sia Della Valle che Schiavio. Era un periodo d'oro, nel senso che mi andava tutto per il verso giusto. Segnai due doppiette, prima con la Cremonese poi contro la Pro Vercelli. Quell'anno giocammo anche contro la Pro Patria dove allora faceva da padrone un'ala sinistra veloce come una saetta: Carletto Reguzzoni. Ricordo che in cuor mio dissi che chissà cosa avrei pagato per giocare con lui e il sogno si avverò l'anno dopo. Eravamo la coppia di ali più forti del campionato anche se non ci hanno mai chiamati in nazionale. Con Reguzzoni facemmo un terzo posto nel campionato 1930-31, un secondo nell'annata dopo, ripetendo i 20 gol, fino alla conquista dello scudetto nel 1935-36". Sorride e poi continua. "Ho giocato in tutti i ruoli del calcio, fuorché in porta, se mancava uno, mi chiamavano, e senza dirmi niente mi consegnavano la maglia con il numero dietro. Un "jolly" in definitiva. Ho fatto anche l'allenatore. Fu nel periodo critico della guerra, quando si giocò quel famoso campionato sotto le bombe. In tutto ho giocato circa trecento partite, per la verità 296 con 90 reti". E' vero quello che si dice, che non ha mai smesso di piallare il legno? "Certamente, un lavoro per il domani ci vuole: sempre ebanista, non falegname". C'era anche un Maini secondo? "Vero anche questo, ma durò poco: altra minestra". Finimmo di parlare che cominciava a fare buio. Se ne andò con la bicicletta messa a posto alla meglio. E' campato, bontà sua, a lungo, fino agli ottanta: lo vedevo spesso con la pedalata agile, sulla vecchia bicicletta da viaggio e se mi vedeva non mancava un saluto. Grande giocatore. Grandissimo".
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