lunedì 25 agosto 2008

Giuseppe Della Valle

Pozzi, Della Valle, Schiavio , Perin, Muzzioli. Era questo l'attacco turbo del Bologna nella metà degli anni venti, quello delle 5 finali famose con il Genoa e di altre stagioni campali. Un attacco che nobilitava il buon metodo antico, portandolo anzi al più alto grado di efficienza. Anche se poi, a ben vedere, rigorosamente metodista non era, svincolandosi da quella formula rigida (5 attaccanti in linea) per meglio valorizzare le doti tipiche di alcuni suoi uomini. L'accorgimento, in breve (un'anticipazione su quelle che sarebbero state le nuove concezioni) consisteva nel tenere una mezzala, Perin, leggermente più arretrata, diciamo di raccordo, e l'altra, Della Valle, più di punta a fare tandem con Schiavio, quasi un doppio centravanti con tutte le relative combinazioni e alternative di gioco. Sarà stato per quella felice intuizione di Felsner e un po' anche per la nuova regola del fuorigioco (a uno anziché due uomini), fatto è che l'incremento nelle segnature apparve subito sensibile. 65-70 gol per campionato, anche per allora erano indubbiamente un bel viaggiare! Di essi, una quarantina se li confezionava la premiata ditta Della Valle -Schiavio (Geppe una volta nel '22, ne aveva fatti da solo 5 al Milan, battuto in casa sua per 8-0!), 15 o 16 se li dividevano fra loro le ali (e quel Muzzioli così irrompente, che bell'ala da contropiede sarebbe stata anche oggi) e al resto provvedeva Perin, che pur operando più indietro (diciamo da mezzala di spola) aveva il guizzo facile per giungere all'occorrenza in zona tiro. Geppe Della Valle, nato il 25-11-1899, era il leader indiscusso. Di famiglia nobile, laureato, il suo rango - valore a parte - si faceva sentire. Ce lo raccontavano come un tipo strano, un po' distaccato e neanche troppo comunicativo. Con Genovesi, ad esempio, non si parlava né si salutava. Però in campo era straordinario: tenace, elegante, concreto. Gioco fluido, lineare, passaggi esatti, mai un dribbling di troppo. Aveva anche potenza fisica e risorse di fiato inesauribili, tipo quelle di Badini, dal quale aveva ereditato nel '21 i galloni di capitano. I suoi duetti con Schiavio e i gol al volo sui traversoni di Pozzi rimasero a lungo scolpiti nella memoria. Se Geppe - diceva Felsner - si mette in testa di fare gol, lo fa. Ne fece, solo in campionato, 103, quasi mezzo a partita, quinto cannoniere rossoblù di tutti i tempi dietro a Schiavio, Reguzzoni, Pascutti e Pivatelli. Ma soprattutto aveva di grande il senso del gioco e l'arte di semplificarlo. "Eravamo tutti nazionali, però se mancava lui...". L'apprezzamento appartiene proprio al suo "amico" Genovesi ed è quindi doppiamente significativo. In nazionale giocò 17 volte, esordendo per Capodanno nel 1923 a Milano, 3-1 con la Germania. Fra le 6 reti azzurre messe a segno, memorabile quella di testa inflitta all'imbattibile Ricardo Zamora, proprio a Bologna il giorno festoso (29 maggio 1927) in cui inaugurarono il Littoriale. Smise a 32 anni, ma alla società continuò a prestare la propria esperienza, sostituendo fra l'altro, nel 1933, l'allenatore Nagy, e anche dopo figurando come consigliere e anche vicepresidente durante il trentennio dallariano. Anzi, nei momenti difficili (e ce ne furono!) Dall'Ara soleva chiamare lui, Schiavio e anche Perin ad affiancare tecnicamente, ma soprattutto moralmente, l'allenatore. Il quale, con numi tutelari come quelli, finiva immancabilmente per tirarsi fuori dai guai. E' scomparso nel 1975, all'età di 76 anni, attraversando così gran parte del novecento bolognese, dai tempi dei Prati di Caprara a quelli del Comunale, e regalando alla storia rossoblù 104 gol in 208 partite.

Giuseppe Della Valle giocò nel Bologna dal 1916 al 1930-31, con 208 presenze e 104 gol (secondo fonti non controllabili si dice che, il realtà, le reti siano 131). Campione d'Italia nel 1925 e nel 1929. In Nazionale A (esordio l'1-1-1923 in Italia- Germania 3-1) 17 presenze e 6 reti. Ha partecipato alle Olimpiadi di Parigi nel 1924. Un grandissimo campione.

Allego uno scritto di Giuseppe Della Valle, tratto dal libro "Il mezzo secolo del Bologna" e intitolato "I ricordi del capitano".

"L'illustre Preside del mio Ginnasio arricciò il naso. In una mattina di maggio del 1910, sul mezzogiorno, timidi ed impacciati ci recammo in Direzione. Erano con me il compianto Giannino Tonelli, ottimo medico che ci lasciò dopo pochi anni dalla laurea, e Gian Giuseppe Palmieri, il primo della classe, ma non altrettanto famoso calciatore quanto poi esimio Maestro di Radiologia. Non assentì il preside, che forse aveva visto qualche pallone in una embrionale vetrina di articoli sportivi, ma era completamente a digiuno dello sport che stava per assumere anche nella nostra città incremento e sviluppo e destare entusiasmo e passione. Nel pomeriggio di quel giorno, splendente di primavera e di sole, calava ai Prati di Caprara, nella vecchia Piazza d'Armi, uno squadrone di alto rango, proveniente da Milano: l'Internazionale, forte dei suoi Aebi, Peterly, Zeller ed altri, per misurarsi con un Bologna in via di formazione, ma pieno di speranze e di promesse, rafforzato dai classici vicentini Vallesella e Ghiselli, già compagni di squadra dei miei fratelli Guido e Mario che nella città palladiana erano alle loro prime armi. Non ricordo bene se marinammo la scuola tutti e tre, o in due, oppure io solo, ma nella memoria mi restò il ricordo di una partita stupenda, esemplare per tecnica e correttezza, incorniciata da una siepe umana e...portoghese formata da alcune centinaia di persone predestinate al tifo, ben poche in confronto a quelle 70mila che in un giorno parimenti feriale hanno ultimamente assistito a Colonia al confronto Germania - Olanda. Da allora ad oggi sono passati moltissimi anni, i migliori, quelli della giovinezza, dedicati allo sport prediletto, dopo lo studio di discipline sempre più impegnative e severe. Era un passatempo dilettantistico con sacrificio non indifferente di personali risorse economiche che non tutti potevano sostenere, ma l'entusiasmo era tanto, lo spirito di emulazione così elevato ed il prestigio di bandiera così sentito che in un modo o nell'altro riuscivamo a racimolare poche lire per un viaggio in terza classe per Modena, Reggio, Firenze e Verona. Da quest'ultima città era stato assunto qualche elemento di non scarso rilievo. Ricordo fra gli altri il portiere Orlandi, formidabile giocatore di pallone allo Sferisterio, allora in gran voga, svelto come un gatto tra i pali della porta, caratteristico per i folti baffoni e per i bianchi pantaloncini che si restringevano al ginocchio. Il gol che segnò il centravanti Peterly dell'Inter, l'unico di quella famosa giornata, non scosse la rete, perchè allora non esisteva, ma si infilò sotto l'incrocio dei pali come una saetta. E contro la sua vecchia Hellas contribuì a far capovolgere il pronostico che dava per scontata la nostra sconfitta; il Bologna colse allora uno dei primi e più ambiti successi con l'unico punto realizzato da Arrigo Gradi, dandy della vecchia Bologna. Il giovane sodalizio cominciò ad acquistare forma e consistenza con uno statuto suo proprio, per l'attività, l'interessamento e la passione dei primi soci fondatori. Si nominò un Consiglio, un Presidente, un Segretario e si raccolsero le firme per l'iscrizione dei soci che, ricordo, talora si effettuava durante le partite, ai bordi del campo, su un tavolino di fortuna. La prima divisa sociale consisteva in una "casacca" metà rossa e metà blu che, ritenuta poi poco pratica, venne sostituita dalla attuale maglia a striscioni degli stessi colori. Intanto questo sport, nella nostra Bologna, acquistava sempre più consistenza e destava sempre maggiore interesse, tanto che gli appassionati andavano rapidamente moltiplicandosi. Raggiunto un considerevole numero di soci e col concorso di sovvenzioni, si ebbe la possibilità di soddisfare una esigenza che si imponeva, passando in un campo di giuoco recintato da staccionata di legno e tendoni, dotato di una tribuna sia pure rudimentale, ove gli spettatori potevano più a loro agio assistere alle competizioni . L'ingresso era a pagamento per i soli uomini; e gentile consuetudine era quella di offrire fiori alle signore, durante gli intervalli delle partite, da parte dei giocatori stessi. Nacque così il campo della "Cesoia" fuori porta San Vitale. Contemporaneamente si potè disporre di una sede accogliente nella quale fraternizzavano dirigenti, giocatori e soci. Creatasi stabilmente una squadra di elementi di indubbia classe, si iniziò qualche partita di campanile, poi il "Bologna" partecipò al campionato veneto-emiliano e furono lotte aspre col Modena, Vicenza, Venezia e Verona. Facevano parte del nostro sodalizio elementi di valore quali gli aristocratici Bernabeu e Rivas, allievi del Collegio di Spagna, formidabile centrattacco il primo, mezzala sinistra simpaticissimo giocoliere e goleador il secondo. L'ungherese Koch rimpiazzò il portiere Orlandi ed un suo connazionale Mentzer rafforzò l'attacco col veronese Bianchi allora qui universitario ed attualmente radiologo a Genova; il tecnico e velocissimo Nanni, già ala destra della Società svizzera "Grasshopper"; il fine Rauch, incisiva mezzala destra e lo stesso mio fratello maggiore Guido, classico ed inesauribile centro sostegno, che già aveva militato tra gli allievi del Vicenza, il primo a definitivamente lasciarci dopo aver conquistato le spalline di Ufficiale d'Artiglieria all'Accademia di Torino. Andavano pur affermandosi gli Alberti, i Sala, Donati, Arnstein, Pessarelli, Grazzi, Venzo, Chiara, Badini ed altri provenienti dalla Toscana quale Malfatti, Pera, Scotti, Guardigli, ecc. Ben presto col progressivo e rapido sviluppo raggiunto dal calcio nella nostra città, fu giocoforza abbandonare anche il piccolo campo della "Cesoia" per quello più pittoresco e più ampio dello "Sterlino" sotto la villa dei Principi Hercolani. Si era nel 1913. Il nuovo campo fu la fucina di tanti campioni sorti dalle competizioni fra le varie scuole cittadine, da squadre di altri sodalizi sportivi come la Virtus, la Sempre Avanti, la Fortitudo, ecc. ma, soprattutto dalle riserve dello stesso "Bologna". Noi giovanissimi che già facevamo parte degli allievi, costituivamo i nuclei di rinforzo ed andavamo man mano rimpiazzando qualche titolare che per l'incalzare degli anni e per necessità di lavoro doveva conseguentemente venire escluso dai ranghi. La Grande Guerra interruppe qualsiasi competizione della squadra maggiore e l'attività si ridusse a qualche confronto tra elementi più giovani con squadre militari od estere. Purtroppo essa lasciò larghi e dolorosi vuoti fra le nostre maglie, perchè sul campo di battaglia i migliori avevano profuso i tesori della loro fede e del loro entusiasmo fino al supremo olocausto, temperati com'erano alla lotta, sia pure incruenta, sui terreni erbosi. Ed a noi, reduci dalla prima linea, non restò che il cordoglio per averli perduti. Ultimate le ostilità, si formò il famoso squadrone...che tremare il mondo fa...che io ebbi la soddisfazione e la responsabilità di capitanare. Tanto famoso che in una delle memorande finali col Genoa, sul campo neutro del Milan, chiuso il primo tempo col passivo di due reti, potemmo nel secondo pareggiare segnando un secondo gol regolarissimo, ma discusso al punto da invalidare il risultato finale col conseguente rinvio della partita ad altra data e su altro campo. E rammento che quando il capitano De Vecchi, nell'intervallo di di quella partita, venne complimentato per la magnifica gara, fu facile profeta allorchè rispose che il "Bologna" possedeva qualità di recupero di prim'ordine. E' ovvio ch'io aggiunga che il titolo nazionale in palio fu nostro appannaggio. Quasi tutti bolognesi, lavoratori o studenti, giocavamo per l'emblema rossoblù sino allo stremo delle nostre forze e delle nostre possibilità anche se, come disse all'inaugurazione dello "Sterlino" - oggi "Campo Badini" - il poeta Giuseppe Lipparini, talora dovevamo presentarci zoppicanti, malconci e col viso segnato ed incerottato davanti alla fanciulla del cuore. Ma posso assicurare, che non vi fu campo, quello della famosa Pro Vercelli compreso, che non vide noi giovani passare invitti e trionfanti dopo la partita. Bei tempi allora, colmi di spensieratezza, di promesse, di fratellanza e di entusiasmo. Amici veramente intimi, giocavamo col fatidico motto : tutti per uno, uno per tutti, per tenere alto il prestigio della nostra squadra e per entusiasmare sempre più una folla che andava ingrossandosi col volger del tempo e col moltiplicarsi degli allori, peraltro tutti morali. Di solito una coppa, una medaglietta, una spilla da cravatta od un paio di gemelli da polso che qualche mecenate donava ai migliori, ma sempre immancabile era il banchetto che ci riuniva a tavola la sera dell'agognata vittoria. E mi sovviene che ai primordi di un regime nuovo, quando gli assembramenti erano proibiti, usciti in massa dopo un pranzo in un ristorante del centro, ci soffermammo a commentare le varie fasi della partita ben giocata e vinta. Fummo tosto avvicinati da un nucleo di poliziotti in borghese che, senza indugio, ci intimarono di "sciogliere il comizio". Uno di noi, urtato in maniera non troppo ortodossa, dovette lasciar cadere a terra una succulenta porzione di lasagnette che aveva gelosamente custodita sotto l'ascella, tra due piatti, anch'essi contrabbandati, tra la nostra ilarità e quella dei tutori dell'ordine pubblico che avevano compreso l'equivoco. L'avevamo battezzata "Signorina" tanto era graziosa e civettuola, tutto brio e spirito, flessuosa nell'andare, golosa nel prendere cioccolatini e biscotti. Era la nostra mascotte, ricevuta in dono da un ammiratore e ce la tiravamo dietro un po' dappertutto. Quando la chiamavamo per nome, sia in treno come nelle vie più affollate ed eleganti di questo o di quel centro, le signorine si voltavano di scatto e rimanevano più che sorprese indispettite per l'omonimia che non poteva, invero, avere alcun punto di riferimento. Era un fox-terrier di purissima razza, dal pelo raso e fitto, tutta bianca, chiazzata nel musetto e nel dorso da due larghe macchie nere. A Vienna, ove sostammo in tournée per tre settimane, accantonati in un quartiere periferico (Roetzergasse) ospitati dal W.S.K. (Wiener Sport Klub), decidemmo una sera di raggiungere il centro senza spese. Al fattorino che porgeva il biglietto, noi, dopo un lungo ed incompreso giro di parole, chiedevamo: Roetzergasse? e la risposta logicamente non poteva essere che: nein! nein! E noi...e intanto al va! Scendevamo in blocco e ripetevamo la scena col tram successivo fino a raggiungere soddisfatti la meta prefissa. Monellerie se si vuole, ma senza malizia e che servivano a farci fare schiette risate. Da Vienna, attraverso il Danubio, raggiungemmo Bratislava in Cecoslovacchia, per un incontro amichevole ultimato alla pari e, di là in Moravia a Brno. E' questa una città che conta ormai 300mila abitanti, ricca di industrie tessili, dominata dal colle dello Spielberg. La visita al duro carcere che vide nell'anno 1820 la prigionia di Maroncelli, del Conte Confalonieri, di Silvio Pellico e di altri italiani fu per noi causa di estrema commozione e con immensa tristezza osservammo gli svariati ed inumani mezzi di tortura e l'orrido squallore delle celle. A noi tutti per un attimo un nodo serrò la gola, poi sortimmo e come non mai si sentì la nostalgia dell'Italia. Peraltro rientrammo soddisfatti per le accoglienze ricevute sia in Cecoslovacchia, sia in Austria ove avemmo agio di apprezzare ed ammirare calciatori di gran classe e campi sportivi costruiti alla perfezione, mentre il nostro "Sterlino", pur possedendo ottimi requisiti dal lato panoramico, non ne aveva altrettanti per quanto concerne il terreno in forte dislivello e con un fondo inadatto. Inoltre aveva una così scarsa capienza da non poter più contenere gli spettatori in progressivo aumento. Fu in conseguenza costruito l'attuale Stadio che venne inaugurato nel 1927 in una memorabile partita internazionale con la Spagna, in una cornice foltissima di pubblico. E' appunto questo ammirevole Stadio, dominato dal colle di S. Luca, che si svolge tutta l'attività agonistica del nostro sodalizio, in alterne vicende. Prati di Caprara, Cesoia, Sterlino, Stadio Comunale: sono queste le tappe in cui si compendia tutta la storia gloriosa del calcio bolognese! E noi che abbiamo vissuto questa storia, ricordiamo commossi il lungo cammino percorso e le varie fasi susseguentisi nel campo dello sport preferito. Iniziammo giovani e poveri di esperienza e di mezzi, ma ricchi delle nostre speranze e del nostro entusiasmo. Ora, in virtù dell'evoluzione dei tempi e dell'incessante progresso, molto si è modificato: organizzazione, strutture, impostazione di gioco e tenore di vita. Non così la passione che persiste viva come una fiaccola in tutti noi, giovani e non più giovani, attaccati oggi come allora alle sorti della nostra squadra. Questo ormai "vecchio" Bologna, di cui si celebra il cinquantenario, Presidente il Comm. Dall'Ara, ha dato alla città delle due torri sei scudetti, due vittorie di Coppa Europa e di un torneo delle Nazioni, ed alla patria, in olocausto una schiera di eroi come contributo di sacrificio e di gloria. E se altri calciatori li hanno rimpiazzati negli incruenti confronti, il Loro ricordo ed il Loro spirito aleggia sempre su tutti ed è un incitamento, un monito, un grido fatidico: forza Bologna!!!".

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