Francisco Fedullo, mezzo sinistro, soprannominato "Piteta", fu il primo giocatore uruguagio del Bologna. I dirigenti petroniani lo acquistarono nel 1930-31. Fedullo ha venticinque anni: è nato nel 1905 a Montevideo, ma non si fa fatica a trovare fra i suoi antenati degli emigrati salernitani. Ha tirato i primi calci nella I.A.S.A (Institución Atlética Sud América di Montevideo), squadra dalla inconfondibile maglia arancione e nera, meglio conosciuta dalle parti della Banda Oriental semplicemente come Sud América. La tecnica, istintiva, è di primissimo ordine. Con lui, con Reguzzoni, con Sansone, che giungerà a Bologna l'anno successivo, si realizza la transizione del Bologna dei Genovesi, dei Baldi, dei Pitto allo squadrone imbottito di oriundi uruguagi degli anni trenta. Fedullo, nonostante i piedi sudamericani e la straordinaria facilità di palleggio, era tutt'altro che un divo. Lontano dagli atteggiamenti; personaggio serio, innamorato del suo lavoro di calciatore. Raccontava il giornalista Nino Oppio di averci giocato insieme, lui ragazzo in vacanza su una spiaggia della riviera romagnola, Fedullo asso in relax sotto l'ombrellone. Una partita fra amici sul mare, si raccolglievano i partecipanti, si facevano le scelte: c'era uno che giocava molto meglio degli altri, neanche fosse un professionista. Fedullo era fatto così. Ma come vennero a conoscenza di questo grande campione i dirigenti rossoblù? Tutto cominciò con la tournée del 1929 in Sud America, quando un Bologna fresco di scudetto venne invitato dalle più forti squadre argentine, uruguagie e brasiliane a misurarsi con queste sul campo di football. Crociera sul Conte Rosso, bella vita, ballerine e champagne, ma poi partite ogni due - tre giorni, grosse bagarre e risultati, vuoi per la stanchezza del viaggio, vuoi perché si giocava in casa delle più forti squadre del Sud America, non eccezionali. Però la tournée riservò un risultato di immenso prestigio: il Bologna sconfisse a Montevideo per 1-0, con gol di "motorino" Magnozzi, l'Uruguay 2 volte campione Olimpico nel '24 e nel '28, l'Uruguay di Mazzali, Nasazzi e Scarone, una nazionale leggendaria, che l'anno dopo si sarebbe laureata Campione del Mondo. E proprio a Montevideo fungeva da cicerone Ivo Fiorentini, faentino emigrato e giornalista competente (e in seguito futuro allenatore in Italia), al quale Sabattini (dirigente del Bologna) e Felsner chiesero se c'erano elementi di valore che valesse la pena ingaggiare. Da quando Julio Libonatti aveva sfondato nel Toro e Orsi nella Juve, la pista oriundi cominciava ad essere battuta. Il Bologna poi, trovandosi in loco, ovvio che si guardasse attorno. Ma a Montevideo si viveva bene, e dopo due Olimpiadi vinte la mecca non era ancora in Europa, ma laggiù... Fiorentini fece anche il nome di Francisco Fedullo, classe 1905, mezzala ambidestra, genitori originari di Salerno. Lavorava in un pantofolificio e giocava nell'Institución Atlética Sud América, la squadra di un rione della capitale, esattamente di Villa Muñóz. Era stato anche per cinque volte in Nazionale per sostituire l'idolo Scarone, stava bene, bisognava persuaderlo, ma come? Ci pensò lui stesso il giorno in cui, perse le staffe, colpì con un pugno l'arbitro. Automatica la squalifica a vita. In seguito al successo dell'Uruguay nella prima Coppa del Mondo, nel '30, Fedullo chiede la grazia che - previo perdono della parte lesa - gli viene accordata, ma ad una condizione: che non metta più piede su un campo di Montevideo. E' l'occasione per accettare l'offerta del Bologna. Sarà la grande novità rossoblù della stagione, assieme a Montesanto e Reguzzoni, venuti a rinforzare una squadra che l'anno prima ha lasciato un pochino a desiderare. I bolognesi all'inizio restano un tantino delusi. Fedullo, che intanto ha già italianizzato il nome in Francesco (con la e), ci mette un po' ad ambientarsi. Per quanto sia in gamba, per lui è un gioco nuovo da assimilare, ma poi le cose migliorano rapidamente. Il giocatore è forte, lo si vede, un po' lento magari, però passa il pallone divinamente a pelo d'erba, ha il senso della posizione e un ottimo tiro con tutti e due i piedi. La domenica che rifila una sberla al Milan, ogni perplessità è bella che superata. E' un discreto campionato, il Bologna finisce terzo dietro Juventus e Roma, Fedullo gioca 30 partite segnando 5 gol. E come s'inizia il nuovo campionato 1931-32 il Bologna infila 19 partite utili consecutive. Alle sue spalle, però, anche la Juventus perde pochi colpi e quando a sette giornate dalla fine, si gioca il match decisivo a Torino, in una domenica di pioggia e di fango, il Bologna, in vantaggio 2-1, sbanda purtroppo nella ripresa, complice l'intervento killer di Monti che mette fuori gioco Schiavio, che consente così ai bianconeri di rovesciare la situazione e mettere al sicuro lo scudetto. Una beffa, uno scudetto che meritavano i rossoblù, un campionato che venne sottratto ai rossoblù scorrettamente e con la violenza di Monti rimasta impunita. Intanto Fedullo s'è definitivamente affermato come cervello di gioco. A parte il carattere un po' difficile e permaloso (parla poco, è piuttosto distaccato), difetti è difficile trovargliene. Finisce nel mirino di Vittorio Pozzo che, venutigli a mancare Magnozzi e Ferrari, ne approfitta contro la Svizzera per schierare Fedullo, a fianco dei napoletani Vojak e Sallustro. Si gioca manco a dirlo a Napoli, stadio Ascarelli, e l'Italia vince 3-0, ma con gran delusione dei partenopei che si attendevano sfracelli dal loro Sallustro i gol sono tutti e tre di Fedullo. Dopo la partita Pozzo, che è anche giornalista e deve scrivere un servizio, intervista il nostro chiedendogli come ha fatto tre reti e quello, ombroso com'è, pensa che lo voglia prendere per i fondelli e lo manda al diavolo. Fine di un amore. Fedullo può accomodarsi nella squadra B e salvo una puntata isolata l'anno dopo a Bruxelles (3-2 col Belgio) non avrà altre chances. Per fortuna c'è da consolarsi col Bologna, che vince due Coppe Europa; però in campionato, per un motivo o per l'altro, non riesce più ad inserirsi nella lotta per il titolo. Nell'aprile del '35, quando mancano ancora nove domeniche al termine, Fedullo se ne scappa col Nettunia e torna in Uruguay, mentre anche lo juventino Orsi ha tagliato la corda. E' stata la malattia del padre a indurre Fedullo a fuggire, anche se non arriva in tempo a riabbracciare il vecchio genitore malato. Subito dopo Francisco scrive a Dall'Ara chiedendo di perdonarlo. Il presidente, che non aspettava altro, manda Pascucci, allenatore in seconda, a prelevarlo. Torneranno in tre, con un giovanotto un po' paffutello, quasi sconosciuto, di nome Andreolo... Morale, alla fine saranno, non uno, ma tre gli scudetti conquistati con Fedullo: '36, '37 e '39 con l'aggiunta in mezzo del trofeo dell'Expo di Parigi che equivale ad un altro europeo di club. Nel 1939 Fedullo ha ormai 34 anni, in Europa i lampi all'orizzonte preannunciano un grosso temporale, lui un po' fiuta l'aria, un po' sente gli anni e la nostalgia. Stavolta il congedo è definitivo, e secondo tutti i crismi. Tornato a Montevideo, Francisco Fedullo non scordò mai il suo Bologna, scrisse spesso al giornalista Nino Oppio della sua voglia di tornare in Italia e a Bologna. Fedullo non vivrà molto a lungo. Nel 1963 un male incurabile lo stroncherà a 58 anni. Francisco "Piteta" Fedullo giocò nel Bologna dal 1930-31 al 1938-39, con 276 presenze e 56 gol in rossoblù, tra campionato e coppe. Campione d'Italia nel 1936, 1937 e 1939. Vincitore di 2 Coppe Europa nel 1932 e nel 1934 e del Torneo dell'Expo di Parigi nel 1937. In Nazionale A 2 partite e 3 gol, in quella B 4 partite e 3 gol.
giovedì 4 settembre 2008
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