Rafael Sansone nacque a Montevideo, Uruguay, il 20-9-1910, da una famiglia di immigrati italiani provenienti da Vallo della Lucania, in provincia di Salerno. La famiglia Sansone viveva bene in patria: il padre di Rafael, Pantaleone, lavorava in Borsa. Erano una famiglia benestante, anche se il giovane Sansone, già giovane promessa del Peñarol (fu selezionato tra i 30 calciatori che avrebbero partecipato ai Mondiali del 1930: il trio meraviglia Fedullo-Sansone-Petrone, era stato votato dai giornalisti uruguagi come il terzetto ideale di una ipotetica "Celeste"), per guadagnarsi la vita - oltre ai premi partita - aggiungeva lo stipendio di addetto al carico e scarico merci di un cantiere. A volere in Italia Sansone fu un suo connazionale e futuro rivale in campionato. Proprio così: Pedro "Perucho" Petrone, il famoso cannoniere uruguagio già in Italia alla Fiorentina, l'"artillero", come veniva soprannominato in patria, campione olimpico nel '24 e nel '28 e Campione del Mondo nel 1930, aveva posto come condizione ai dirigenti viola l'ingaggio di Sansone, il connazionale capace di passargli la palla come desiderava lui. La proposta della Fiorentina (25 mila lire per due anni, più 2.500 lire al mese, il quintuplo più di un impiegato) era impossibile da rifiutare e papà Pantaleone, dopo qualche resistenza, si decise a lasciarlo partire. Ma al momento dell'imbarco sul piroscafo, il console italiano lo prese da parte: "Niente Florencia, ma Bolonia: stessi soldi, stesso ingaggio, nessun problema". Il tecnico rossoblù Hermann Felsner, il mitico "mago" austriaco che fece grande il Bologna, da qualche mese si era trasferito ad allenare la Fiorentina e si era portato con sé Pitto e Busini III°. In cambio si erano accordati per lo scambio con Sansone, anche perchè l'austriaco era interessato all'ingaggio di una mezzala danubiana. A Bologna lo ricevette Fedullo, che tanto aveva parlato di lui ai dirigenti rossoblù. Quando andò in campo per il primo allenamento, provocò il mal di testa all'ottimo mediano Gastone Martelli a forza di finte ubriacanti.
La domenica il pubblico se ne innamorò in un istante: Sansone era una mezzala di tessitura, un raffinato campione che con Fedullo (il pubblico bolognese aveva simpaticamente soprannominato il duo uruguagio di centrocampo Sansullo e Fedone, quasi a volerli identificare come una cosa sola, dato il loro grande affiatamento e intesa sul campo di gioco) costituì una coppia leggendaria al servizio di Angelo Schiavio, non a caso divenuto immediatamente capocannoniere del campionato 1931-32. Tra il Bologna e Sansone fu subito amore a prima vista, anche se nella stagione 1933-34 ci fu una piccola incomprensione che rischiò di rovinare tutto. Infatti al momento di rinnovare il contratto, già accettato dal "gemello" Fedullo, rifiuta l'ingaggio di 32.000 lire per quattro anni, prendere o lasciare. Sansone a quel punto non accetta l'ultimatum, oltretutto dopo due anni di lontananza da casa viene sopraffatto dalla nostalgia e così ritorna a Montevideo, a giocare nel vecchio Peñarol presso il quale era ancora tesserato (il Bologna infatti aveva fatto giocare l'uruguagio senza il nullaosta, così il giocatore risultava ancora di proprietà degli "aurinegros"). Nel frattempo però a Sansone l'ambiente di Montevideo cominciò a non andare più tanto a genio e quindi Renato Dall'Ara si fece sotto per acquistare definitivamente il grande Rafael, offrì al giocatore 50.000 lire per due anni e una somma non indifferente al Peñarol di 500 pesos. Sansone, a cui Bologna era rimasta comunque nel cuore, accettò immediatamente e ritornò ad indossare, questa volta definitivamente, la maglia rossoblù, appena in tempo per scendere in campo e vincere la seconda Coppa Europa, nell'estate del 1934.
Rafael Sansone (poi italianizzato in Raffaele), dodici stagioni nel Bologna, dal 1931-32 al 1944, con un breve ritorno in patria, al Peñarol, nella stagione 1933-34, vincendo quattro scudetti nel 1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41, due Coppe Europa nel 1932 e nel 1934 e 1 torneo dell'Esposizione di Parigi nel 1937, con 314 presenze totali in maglia rossoblù e 47 gol. 3 presenze in Nazionale A (esordio il 20-3-1932 contro l'Austria di Sindelar), e 3 presenze in Nazionale B.
L'esperienza come allenatore
A fine carriera si stabilì a Bologna, avendo sposato nel '36 una bolognese da cui ebbe due figli, un maschio e una femmina. Al termine della sospensione bellica, accettò l'offerta del Napoli, nelle vesti di allenatore-giocatore. Giocò poco negli azzurri partenopei, quattro partite, ma fece una buona impressione come allenatore, guidando la squadra che raggiunse il girone finale del campionato di Divisione Nazionale 1945-46, chiudendo in quinta posizione, alle spalle del Grande Torino, Juventus, Milan e Inter. Si guadagnò così la conferma per la stagione 1946-47, nella quale condusse il Napoli a un onorevole ottavo posto. La terza stagione invece fu un mezzo disastro: dopo quattro sconfitte e un pareggio fu esonerato e sostituito da Attila Sallustro, ex grande centravanti paraguagio dei tempi eroici del Napoli. Poi, il primo ritorno al Bologna: Renato Dall'Ara, con i rossoblù penultimi in classifica, decise di esonerare l'inglese ex Liverpool Edmund "Ted" Crawford e di affidare la squadra al fido Sansone. Il Bologna incassò tre sconfitte, vinse due volte e una la pareggiò, rimanendo sempre in zona retrocessione. Sansone fu rimpiazzato da Giuseppe Galluzzi. L'uruguagio provò ancora a Bari, in IV serie, nella stagione 1952-53, ma i risultati furono deludenti. Tornò così nella sua Bologna, dove Dall'Ara lo ingaggiò come talent scout ("Il giudizio di Sansone su un giocatore" - diceva il presidente - "per me è come l'altare maggiore: è sacro!"), consigliere personale, e allenatore delle formazioni giovanili (una vittoria per lui al torneo di Viareggio con la Primavera del Bologna, nel 1967, e la Targa d'Oro come migliore tecnico delle giovanili). Fu lui infatti a segnalare al presidente Dall'Ara i vari Pascutti, Capra, Haller, Furlanis, Tumburus e Renna, un bel pezzo della grande squadra-paradiso che deliziò il pubblico bolognese negli anni '60. In pratica quasi mezzo secolo al servizio della causa rossoblù, una vita. Fu sicuramente uno degli stranieri più forti e amati dalla tifoseria bolognese e dal presidente Dall'Ara, che per lui stravedeva, umanamente una persona straordinaria per simpatia e gioia di vivere, il più "bolognese" degli uruguagi anni '30. Ci ha lasciati l'11-9-1994, a 84 anni.
Intervista rilasciata da Sansone in occasione degli 80 anni del Bologna, nel 1989.
"Papà e mamma erano italianissimi di Salerno, in famiglia stavamo bene, papà lavorava in borsa. Io giocavo nel Peñarol e già ero stato selezionato fra i trenta che avrebbero poi partecipato ai mondiali del 1930. Mi arrivò l'offerta di un buon contratto con la Fiorentina, mi aveva contattato un romagnolo, si chiamava Ivo Fiorentini... Ma alla Fiorentina c'era appena andato Felsner e lui decise di prendere una mezzala danubiana. Io mi ritrovai a piedi e mi chiesero se poteva andarmi bene una società che si chiamava Bologna. Il contratto era molto buono e poi io volevo farmi un'esperienza in Europa. Dissi di sì senza pensarci tanto. Anche se è vero che la prima impressione di Bologna fu choccante e terrificante... Io me la ricordo ancora quella notte d'agosto del '31. Ma in che cavolo di posto sono capitato? Mi chiedevo. Era mezzanotte, il buio, il deserto. Fedullo mi accompagnò alla pensione di via San Vitale. Buio anche in quella strada e poi tutti quei portici che mi fecero pensare di essere capitato nel paese delle streghe. La pensione era al secondo piano, anche le scale erano buie. Fedullo mi disse di dormire e che alle dieci del mattino dopo mi avrebbe fatto conoscere un po' la città. Ma che città poteva mai essere? Io il nome di Bologna e del Bologna non li avevo mai sentiti. E presi sonno solo perchè ero stanco da morire. Ma il mattino dopo cominciai a passeggiare per via San Vitale e vidi che la gente vestiva benissimo e alle Due Torri fui come folgorato. Tutte persone elegantissime, mi pareva che la ricchezza colasse dai muri. Non avevo capito niente, non avevo capito che ero arrivato in paradiso. Fedullo mi portò al Pappagallo a fare una mangiata di quelle da ricordare, tortellini e gallina farcita con dolci vari. E subito feci la conoscenza del presidente Bonaveri, un autentico gentiluomo. Sul campo riuscii prestissimo ad ambientarmi. L'allenatore era Lelovich il quale mi spiegò che in Italia si doveva giocare così e così. Io gli dissi che avrei gradito giocare come mi avevano insegnato e lui mi rispose: va bene, facci vedere. Mi marcava nella partitella del giovedì un certo Martelli, uno bravissimo. Ogni finta che gli facevo lui gridava: socmel, mo socmel. Dissi a Fedullo: ma quello lì cosa vuole? Fedullo mi spiegò che era un modo come come un altro per essere ammirati di qualcosa...
Uno per tutti, tutti per uno
Uno per tutti, tutti per uno
Il Bologna di allora, fino a che durò quella squadra, era forte, era una delle migliori squadre in Italia, ma più che una squadra era un'amicizia, si era tutti molto uniti l'uno con l'altro, in questo caso sì che valeva il motto "uno per tutti e tutti per uno". Vincemmo quattro scudetti, e uno ci fu rubato nel 1932. Era la Juve del quinquennio, quella di Orsi e Cesarini, ma noi del Bologna eravamo a un punto da loro e a Torino stavamo vincendo per 2-1, ma un arbitro di Genova ce ne fece di tutti i colori e ci fece perdere per 3-2. Quell'arbitro da quel giorno sparì dalla circolazione, ma con quella storia ce lo misero comunque in saccoccia. Riuscimmo a vincere anche due Coppe Europa e il trofeo dell' Expo di Parigi, dove c'erano anche gli inglesi del Chelsea, che si ritenevano maestri del football... noi gli abbiamo fatto quattro gol e buonasera, è finita la musica. Allora il Bologna era una squadra che si faceva rispettare veramente, in casa e fuori, dappertutto. Credo che abbiamo vinto in quasi tutti i campi dove siamo andati a giocare, abbiamo perso anche noi qualche partita, però erano più quelle che vincevamo che quelle che perdevamo! Io ero un giocatore che stava in mezzo al campo e che correva da tutte le parti. Non facevamo la preparazione che fanno oggi, ma due volte alla settimana facevamo venti giri di campo di corsa ed eravamo sempre perfettamente allenati. Io ero negato al gioco di testa e non ero nemmeno un goleador, ma facevo marciare tutti i compagni e la palla non riusciva a togliermela nessuno. Avevo una finta che mandava tutti per terra. Ma non c'ero solo io. Eravamo unitissimi, eravamo gente con le palle durissime, potrei citare Gasperi e Monzeglio. I più bravi in assoluto erano Biavati, Schiavio, Fedullo, Reguzzoni e soprattutto Andreolo, un giocatore inarrivabile. Giocavamo il metodo, in difesa si faceva la diagonale e alternativamente c'era sempre un difensore che faceva il libero".
Angelo Schiavio lo descriveva così:
"Andavamo tutti in gol, Andreolo su punizione, Fedullo, Maini, soprattutto Sansone, che dribblava al ritmo degli applausi e quando aveva smesso di dribblare, era gol".
Sansone, mezzo secolo col Bologna
L'uruguagio più amato dal presidentissimo
di Renato Lemmi Gigli
Erano tutti suoi figli, ma lui lo era più degli altri. Per Raffaele Sansone, Dall'Ara aveva un debole e non lo nascondeva. Gli piaceva il tipo e si fidava del tecnico. Anzi si fidava solo di lui, oltre che di Gipo Viani. Quando c'era un giocatore da acquistare, se i due pareri non coincidevano erano discussioni a non finire. Anche quando, anno per anno, pezzo su pezzo, venne costruita la squadra-paradiso del '64, i "sì" che Sansone dette per Haller e Furlanis, per Pascutti e Tumburus, per Renna e Capra risultarono alfine decisivi. Nove volte su dieci l'occhio vispo di "Faele" vedeva giusto. E per questo l'ultima parola - sì o no - alla fine doveva essere la sua. Mezzo secolo al servizio del Bologna, praticamente una vita. Il Sansone giovincello che nel 1931 si accingeva a varcare l'Oceano era lungi dall'immaginarlo. Anche perché lui era convintissimo di andare alla Fiorentina. Era stata infatti la società viola a trattarlo perché Petrone, il famoso "artillero", ad un certo punto aveva puntato i piedi: vengo solo - aveva detto - se viene anche Sansone che sa passarmi il pallone... Petrone giocava nel Nacional e Sansone nel Peñarol (proveniente dal Central) ma parlavano lo stesso raffinato linguaggio tecnico. In una Nazionale votata dai giornalisti il trio centrale era stato Fedullo - Petrone - Sansone, sì proprio così. Fedullo a destra e Sansone a sinistra, l'esatto contrario di come avrebbero giocato dopo, e in quell'occasione i tre se l'erano intesa e meraviglia. Sansone dunque si sentiva già fiorentino. Ci aveva messo tre mesi per convincere il padre Pantaleone, nativo di Vallo della Lucania, provincia di Salerno, a lasciarlo partire. Aveva solo vent'anni. Poi, al momento di salpare, la svolta romanzesca. Il console italiano lo prende da parte e gli annuncia che anziché Florencia la sua destinazione è Bolonia. "Ma io ho firmato per Florencia!" protesta Faele piuttosto sconcertato. "Fa niente" replica l'altro "le condizioni rimangono le stesse, cambiamo il nome della società e il resto va bene... ".
Niente Florencia, ma Bolonia
Niente Florencia, ma Bolonia
Era accaduto questo, che trasferendosi Felsner a Firenze con Pitto e Busini III al seguito, le due società si erano accordate per smistare a Bologna Sansone, di cui Fedullo, da un anno qui, non si stancava di tessere le lodi. Ora, 25.000 per due anni più 2500 lire al mese (gli stessi soldi che prendeva il grande Petrone) rappresentavano un signor contratto, in tempi in cui un buon impiegato faticava ad arrivare alle 500 mensili. Per cui Sansone, che nel Peñarol prendeva solo i premi partita e lo stipendio doveva guadagnarselo tenendo il carico - scarico d'un cantiere, non ci stette molto a pensare. In Italia si trovò bene subito, avendo tra l'altro il vantaggio (che Fedullo non aveva avuto) di disporre subito di un partner affiatato. Insieme Sansone e Fedullo, che i bolognesi si divertivano ad anagrammare in Sansullo e Fedone, quasi a sottolineare la perfetta fusione di questo straordinario tandem di mezzali, avrebbero scritto le pagine più gloriose del Bologna. Due tessitori finissimi, da spettacolo e da rendimento, che se la intendevano a occhi chiusi nel fare da trampolino ad Angelo Schiavio. Il primo anno di Sansone, il Bologna dominò per tre quarti il campionato, finì secondo, vinse la Coppa Europa e Schiavio fu capocannoniere con 25 gol alla pari proprio col viola Petrone. L'anno dopo Bologna terzo, Sansone ancora bravissimo e già due volte azzurro (alla fine, 3 presenze in Nazionale A e 3 nella B), ma al momennto di rinnovare il contratto lo gela l'ingaggio (già acccettato da Fedullo) di 32.000 lire per quattro annni, prendere o lasciare.
Ritorno al Peñarol
Ritorno al Peñarol
Sansone lascia, oltretutto dopo due anni di lontananza ha una gran nostalgia di casa e così se ne torna in Uruguay a giocare, nel Peñarol, presso il quale figurava ancora in forza. Sì perché, con l'Italia allora fuori dalla FIFA, il Bologna aveva potuto prenderlo senza nullaosta. Nel frattempo però le cose si erano normalizzate. E quando nell'estate del '34 il neopresidente Dall'Ara tornava alla carica per riaverlo, oltre a fargli ponti d'oro (50.000 per due anni) doveva riconoscere anche una somma consistente (500 pesos) al Peñarol. Sansone, cui l'ambiente locale non andava più tanto (avendo apprezzato tanti lati del nostro calcio), era lesto a reimbarcarsi, in tempo per giocare e vincere la doppia finale di Coppa Europa. Ormai già sentiva che qui avrebbe piantato le radici. Due anni dopo avrebbe sposato una bolognese, un matrimonio allietato da due bei bimbi, e in totale avrebbe vinto quattro scudetti tra il '36 ed il '41. Giocò nel Bologna fino al '44 (12 campionati, 289 partite, 41 gol), per emigrare, a guerra finita, nel Napoli ed allenarlo per un triennio. Un anno anche al Bari precipitato in quarta serie. Ma a questo punto la vita nomade e gli incerti del mestiere non erano più fatti per lui, dal momento anche che Dall'Ara intendeva affidargli il settore giovanile e altri incarichi di fiducia. Morale, Raffaele Sansone (un Torneo di Viareggio vinto con i boys bolognesi nel suo palmarès) si ristabilì a Bologna. Alla domenica lo si trovava immancabilmente in tribuna, cuore rossoblu, allegro e vivace come sempre, la voce perennemente rauca, l'eterna cravatta a farfalla, lo stesso occhio vispo di quando, da ragazzo, si accingeva a scoprire il pianeta calcio in Italia. Ci ha lasciati nel 1994, a 84 anni.
FAELE
Di Gianfranco Civolani
Giocava nel Peñarol di Montevideo e gli avevano già preparato un buon contratto a Firenze. E quando nel '31 il ventenne Raffaele Sansone arriva in Italia lo portano a Bologna e gli dicono che è cambiato tutto, ma che i soldi restano quelli già pattuiti. E Sansone ha un tuffo al cuore quando a notte fonda lo sbarcano in una pensioncina di via San Vitale e lui si fa subito il segno della croce. Ma la mattina dopo è tutto un altro vedere e scoprire e ammirare la città, Raffaele detto Faele percorre via Rizzoli, vede gente elegante e belle donne e gli pare di sognare. E progetta subito di mettere le tende qui per qualche anno anche perché già nel Bologna gioca il connazionale Fedullo e insomma Faele ha in partenza un bel punto di riferimento. Una buona stagione e però un rapido ritorno in patria perché l'offerta di Dall'Ara per la stagione successiva non lo soddisfa. Ma la nostalgia di Bologna è tanta e un anno dopo Faele torna per conquistare tutto [quattro scudetti e due Coppe Europa] e per sposare una ragazza di Bologna e per comporre con l'amico Fedullo una coppia di mezze ali da urlo. Che tipo di giocatore era Sansone: un palleggiatore squisito, elegante nel porgere e discretamente pungente quando magari occorreva anche un qualche gol. Poi negli anni Quaranta fu allenatore a Napoli e a Bari prima di riaccostarsi al Bologna perché Dall'Ara pretendeva sempre il parere del fido Faele prima di acquistare qualcuno. Raffaele Sansone via via diventò una istituzione cittadina. Allenava i giovani [e un paio di volte gli toccò pure di guidare la prima squadra], aveva amici dappertutto e la mattina lo trovavi puntualmente nei pressi del mercato delle Erbe di via Ugo Bassi con quel solito cappelluccio garrulo e con l'immancabile farfallino mentre con la sua voce roca emetteva sentenze per un uditorio che pendeva dalle sue labbra. Passò i suoi ultimi anni a organizzare tornei e a dirigere le operazioni per la squadra dei gloriosi veterani. E io negli anni Cinquanta mi facevo i miei trecento passi fra Andreolo spaparanzato al bar Nettuno e Sansone gracidante davanti al mercato. Si godeva tutti insieme. un vero spasso e belle lezioni di calcio.
Rafael Sansone
A volere in Italia Raffaele Sansone fu un suo... rivale. Proprio così: Pedro Petrone, bomber uruguaiano della Fiorentina, aveva posto come condizione l'ingaggio di Sansone, il connazionale capace di passargli la sfera come voleva lui. Raffaele Sansone viveva bene a Montevideo: il padre Pantaleone, originario di Vallo della Lucania, in provincia d Salerno, lavorava in Borsa, lui giocava a calcio nel Peñarol ma per guadagnarsi la vita ai premi partita aggiungeva le stipendio di addetto al carico e scarico merci di un cantiere La proposta della Fiorentina (25 mila lire per due anni, più 2500 lire al mese, il quintuplo di un impiegato) era impos sibile da rifiutare e papà, dopo qualche resistenza, lo lasciò partire. Mentre Faele si imbarcava sul piroscafo, però, il console italiano lo prese da parte: "Niente Florencia, ma "Bolonia": stessi soldi, nessun problema". Il tecnico rossoblù Felsner, da qualche mese a Firenze, aveva preso Pitto e Busini III dal Bologna e in cambio aveva concesso Sansone. A Bologna lo ricevette il connazionale Fedullo, che tanto aveva parlato di lui ai dirigenti. Quando andò in campo per il primo allenamento, provocò il mal di testa al difensore Martelli a forza di finte ubriacanti. La domenica il pubblico se ne innamorò in un istante.
Intelligenza calcistica
Intelligenza calcistica
Sansone era una mezzala di tessitura, un raffinato campione che con Fedullo costituì una coppia leggendaria al servizio di Schiavio, non per niente subito capocannoniere. La sua intelligenza calcistica, i ricami mai fini a se stessi, quella finta che mandava per terra i difensori, l'abilità nel lanciare gli attaccanti come nel concludere in proprio furono colonne portanti del Bologna che dominò il campo nel periodo aureo, vincendo 2 Coppe dell'Europa Centrale (1932 e 1934), 4 scudetti (1935-36, 1936-37, 1938-39, 1940-41) e il Torneo dell'Esposizione di Parigi nel 1937. Un lungo discorso con una parentesi che rischiò di guastare tutto, quando, nel 1933, al momento del rinnovo del contratto, non gradendo il "prendere o lasciare" del presidente Bonaveri, decise di tornare in patria a curare quel pizzico di nostalgia che un poco gli rosicchiava i giorni. Tornò a giocare nel Peñarol, il presidente pensò addirittura di smuoverlo inviandogli un telegramma a firma della fidanzata del campione, Diga, riimasta in Italia; che però rifiutò sdegnata. Nell'estate 1934 il nuovo presidente Dall'Ara offriva un robusto aumento di ingaggio e Sansone, ottenuto ciò che voleva, riprendeva senz'altro il mare tornando ai suoi colori e alla sua bella, che sposava felicemente due anni più tardi. L'Italia da quel momento sarebbe stata definitivamente la sua patria. Dopo la guerra si accasò a. Napoli, a chiudere la carriera come allenatore-giocatore. E morto l'11 settembre 1994.
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