Il funambolico, estroso, carissimo Gino Cappello. Un mito per tutti i tifosi del Bologna. Genio del pallone, adorato dall'esigentissimo pubblico che affollava gli spalti del Comunale negli anni Quaranta e Cinquanta. Tifosi che talvolta faceva disperare per quei momenti di abulia nei quali pareva non essere in campo: distratto, assente, si narra che una volta si fermò in mezzo al campo, durante un'azione di gioco, a rimirare un aereo che sorvolava lo stadio. Per il resto, Gino Cappello era un mostro di bravura, un manuale di tecnica: dribbling, fantasia, visione di gioco. Un autentico fuoriclasse. Secondo l'opinione di Nils Liedholm e del famoso giornalista Sandro Ciotti, il migliore giocatore italiano mai visto. Purtroppo giocò in un Bologna non competitivo per lo scudetto, anzi, a volte mediocre e squinternato. Dopo lo scudetto del 1940-1941, l'epopea del grande Squadrone si era conclusa e i rossoblù stentavano a metà classifica. Fu in quel periodo che il presidente Renato Dall'Ara si innamorò calcisticamente di questo lungagnone dal grande talento, cresciuto nel Padova (la sua città, dove era nato nel 1920) e poi passato al Milan, dove giocò con Boffi e un Meazza a fine carriera. Dall'Ara propose al Milan (squadra dove Cappello non si era mai espresso al meglio) lo scambio con Héctor Puricelli, "testina d'oro", il bomber uruguagio pluriscudettato con il Bologna, erede di Schiavio, ma ormai inviso su piazza. L'affare si fece, e Gino Cappello a Bologna rimase dieci lunghissimi anni, dieci anni di prodezze da far spellare le mani ai tifosi rosso-blu. Prodezze, ma come già scritto anche "assenze" e pause di gioco irritanti, causa le quali Cappello non si consacrò a livello mondiale, come invece avrebbe meritato la sua enorme classe. A fine carriera aprì una tabaccheria-drogheria a Bologna (dove rimase a vivere), in pieno centro storico, esattamente in via Castiglione, dove fino a pochi anni fa campeggiava sopra al bancone la splendida foto che si può ammirare anche in questo post (l'azione contro la S.p.a.l. del 1954).
Gino Cappello nacque a Padova il 2 giugno 1920. Giocò nel Bologna dal 1945-46 al 1955-56, per un totale di 259 presenze e 101 reti tra campionato e coppe. 11 presenze in Nazionale (esordio il 22-5-1949 in Italia - Austria 3-1, con un suo gol). Col Bologna vinse la Coppa Alta Italia nel 1945-46, segnando la bellezza di 21 reti in quel torneo. È scomparso a Bologna il 28 marzo 1990.
Addio a Ciotti, la voce solista del calcio.
di Mario Gherarducci
Corriere della Sera, 19 luglio 2003
Sandro Ciotti [...] si era dedicato a raccontare la propria vita professionale e le proprie molteplici esperienze in una godibile autobiografia intitolata «Quarant’anni di parole», pubblicata sei anni fa dalla Rizzoli. Romano da generazioni, studi da violinista e passato da calciatore, scapolo incallito, una splendida vecchia casa sul Lungotevere, dove custodiva gelosamente migliaia di dischi ed esibiva orgoglioso un tavolo da biliardo, Ciotti era approdato alla Rai nel ’59, scelto per condurre una trasmissione che mescolava sport e musica, le sue due grandi passioni assieme al cinema. Era l’inizio di una carriera che avrebbe portato Sandro a raccogliere 14 Olimpiadi (sua la lunga e drammatica radiocronaca in diretta della strage ai Giochi del ’72 a Monaco), 40 Festival di Sanremo, 15 Giri d’Italia e oltre duemila partite di calcio, comprese quelle di otto campionati del mondo. Uno dei suoi vanti, oltre quello di aver conosciuto da vicino i maggiori esponenti della musica leggera, del cinema e dello sport, era una trasmissione di successo da lui ideata e condotta, «Trenta secondi con l’uomo del giorno», che andava in onda la domenica pomeriggio al termine delle partite. Nel suo libro Ciotti s’era divertito a offrire ai lettori alcune chicche. Una era la scelta di quello che lui considerava, «almeno dal punto di vista strettamente tecnico, il più grande calciatore italiano di tutti i tempi». Gino Cappello, centravanti del Bologna nella seconda metà degli anni ’40.
TANTO DI CAPPELLO.
Avevo quindici anni, portavo la mia bella sciarpettina rossoblù e per chi stravedevo? Stravedevo per Gino Cappello e per Glauco Vanz. Chi erano e furono Cappello e Vanz? Eccomi qui a raccontare una trancia della mia adolescenza e magari a ricordare agli immemori. Gino Cappello detto "Capeo" l'avevo visto esordire nel Bologna nell'anno di grazia millenovecentoquarantacinque. Mio padre mi aveva indirizzato: «Quel Cappello ha un magico tocco di palla», mi aveva detto. E in effetti quello strano tipo di soggetto, così lunatico e introverso, era capace in soli cinque minuti di illuminarsi e illuminare d'immenso tutto il circondario. Cose dell'altro mondo, credete. E «Capeo» regalava ai suoi fans (eravamo in parecchi) grandi gioie e anche grandissime delusioni. «Chissà se oggi "Capeo" sarà mai in giornata di luna pari», dicevamo in tanti. Vai a saperlo. Ma anche solo cinque minuti di quell'inarrivabile artista a me bastavano e avanzavano. E quando "Capeo" arrivò a toccare i trentacinque anni e andò a giocare a Novara, io con la mia Lambrettina volai a Modena per vederlo con quella maglia blu-crociata (Modena tre e Novara uno: ahimè, come ricordo ancora) e quando più tardi e in età veneranda "Capeo" venne a giocare a Bologna nella Tramvieri, io il sabato ero sempre là e mi ricordo un suo gran gol contro il Pesaro (o il Fano?), e dopo il match tutti noi fedelissimi eravamo intorno a lui e lui non apriva bocca perché quella sua vocettina nasale non la concedeva a nessuno, semmai se ne stava sempre così stralunato e incupito. E quando poi sono diventato giornalista ho sempre sognato di scrivere un bell'articolo su Cappello, ma lui era uscito dal mondo del calcio e così - si può dirlo? - ho pensato che avrei almeno potuto scrivere qualche bella cosa in morte di "Capeo", ma lui mi ha fatto anche questo dispetto perchè se n'è andato proprio quando io mi trovavo all'estero. E così nemmeno una riga sul mio idolo ho mai potuto scrivere in diretta.
"... Anche adesso che la TV, come maggiore occupazione ha quella di distruggere qualsiasi mito o leggenda, noi vorremmo aver conosciuto Marconi, Leopardi, Picasso o Leonardo. Ebbene io ho conosciuto Gino Cappello. Abulico filucone antiestetico, naso carenato e poca voglia di fare fatica. Baciato, però, dal Dio "Eupalla". Attraversato da genio che ha equilibrato i nostri sistemi solari, imprevedibile come Hitchcock, in possesso di finte di corpo che spostavano gli avversari e le auto di loro proprietà. "Capeo", dinoccolato fenomeno, in parte dimenticato da storici e giornalisti, rappresentò la tela rossoblù sulla quale scrivere i miei ricordi. Ebbi la fortuna suppletiva di godermelo come compagno di squadra quando, smessa la carriera, si lasciò convincere a non andare a giocare campionati minori".
un "Giallo" nella Bologna calcistica degli anni cinquanta
NELL'ESTATE DELL'ANNO 1952 SUCCESSE DI TUTTO. IN CAMPO GIUDIZIARIO TUTTA L'ATTENZIONE ERA RIVOLTA AL PROCESSO CASAROLI.
Estate del 1952. A Bologna si teneva l'occhio rivolto dalle parti dello Stadio Comunale, dove erano in corso le eliminatorie del "palio Calcistico Petroniano". Per chi non conoscesse questa sagra calcistica estiva, diremo che il "palio calcistico Petroniano" che poi si ramificò in parecchi rivoli come il Palio Cestistico, il palio di pallavolo maschile, e, udite udite, il palio di lotta greco-romana, era un torneo dei quartieri indetto nel 1950 dalla locale ECA (Ente Comunale Assistenza), una delle tante comunità d'assistenza che svolgevano attività di sostegno agli indigenti, che allora, a Bologna abbondavano. l'ECA si premuniva di sostenere i bisognosi con pasti caldi, vestiario e buoni per acquisti d'ogni genere. Poiché le casse comunali non abbondavano, qualcuno aveva pensato a questa specie di torneo calcistico, chiamato appunto "Palio", ad una gara di cavalli, ma invece di corse con equini, si giocava al pallone allo stadio Comunale. Il Palio era dunque una divagazione estiva per gli amanti del "gioco calciato" e vi è da dire che questi tornei, sostenuti dai bar più noti della città, facevano affluire al Comunale, una massa di folla, quale era raro vedere in partite di calcio vero. I quartieri, erano sostenuti dai bar più famosi che grazie al contributo dei clienti assodavano giocatori di nome ed anche giovani di primo pelo che cercavano di mettersi in mostra a una platea d'attenti spetttatori. I bar che rispecchiavano i rioni della città erano così denominati: Bar Otello - rione centro, Bar Mazzini - rione Mazzini, Bar Europa - rione Andrea Costa, Bar S. Mamolo - zona San Mamolo. Poi vi erano le variazioni come il rione San Vitale con le antiche squadre Bolognesi di calcio amatoriale ed altre. Per tornare a quella dannata estate del 1952, il Bar Otello, che era considerato, assieme al Bar Europa, il Bar S.Mamolo e il bar San Vitale, il meglio della "vetrina" calcistica di casa, aveva ingaggiato tra le proprie file il giocatore del Bologna e della Nazionale Gino Cappello, croce e delizia dei tanti tifosi del Bologna per le grandissime giocate, unitamente alle molte "dormite" che facevano andare in bestia gli stessi tifosi. Gino Cappello, "Capeo" per i tantissimi tifosi del calcio anni cinquanta, classe 1920, era padovano di nascita, un attaccante che quando era in "giornata" non lo teneva nessuno. Ricordo un Bologna - Fiorentina di quel tempo. Cappello era stato ingabbiato da cinque difensori viola, d'un tratto Capeo si svincolò con due mosse di piede e d'anca, roba da "Maradona" e con un guizzo lasciò i difensori con il sedere in terra andando a segnare nella porta semivuota. Ricordo che se non venne giù lo stadio per l'ovazione di quel gol poco ci mancava. Torniamo dunque a quel fine Giugno-Luglio di quell'anno.
La squalifica del Palio
Ho detto un'estate maledetta, sì, perché in una serata dove giocavano alcuni giovani prometttenti e dove molti osservatori erano attenti alle loro esibizioni, il presidentissimo Dall'Ara svenne, colto da un collasso. Si pensò a qualcosa di veramente grave perché rimase inanimato per dieci minuti e si temettte il peggio. La settimana dopo, era un sabato e il calendario segnava il 5 luglio, capitò il "fattaccio" e per il "Giallo Sportivo" iniziò il primo capitolo con i protagonisti che si chiamavano Gino Cappello e Walter Palmieri. Andiamo dunque all'inizio. Era un sabato, la giornata era stata afosa, calda e appiccicosa e la sera una brezza calata dal Colle della Guardia, dava ristoro ai circa diecimila spettatori che assistevano al tanto atteso scontro tra il Bar Otello e il Bar S. Mamolo. Arbitrava un arbitro di Bologna, il ragioniere Walter Palmieri una perla d'uomo che abitava, se non vado errato nel Pratello. Era una persona così amabile e buona d'animo, e come capita a tutte queste persone, era "Manovrabile" nel senso che poi si scoprirà nel percorso della vicenda. Dunque, l'incontro tra le due squadre andava avanti alla meglio con una leggera supremazia del Bar Otello dove alla guida dell'attacco vi era appunto Gino Cappello. Palmieri fischiò un paio di falli di troppo, e forse innervosì qualche giocatore; fatto fu che verso la fine della partita, in una zona buia dello stadio, allora l'illuminazione non era come oggi giorno, si vide l'arbitro Palmieri cadere e dietro di lui Cappello che forse l'aveva spinto. Si pensava ad uno dei tanti episodi di gioco, ma quando l'arbitro non si rialzò e accorse subito in campo la barella, si capì che la cosa era più seria. Palmieri fu portato al Rizzoli e lì ricoverato per una distorsione al piede. Il sottufficiale di guardia al Rizzoli nel verbale d'accettazione su una dichiarazione dello stesso Palmieri scrisse. "In segno di protesta, improvvisamente, il giocatore Gino Cappello si lanciava di proposito sull'arbitro colpendolo alle spalle e facendolo cadere malamente a terra". Successivamente si disse che la "spinta volontaria, era stata accompagnata da "pugni" e quant'altro. Ecco che il primo capitolo del "Giallo" era già stato scritto: avanti con i successivi.
Intanto mancava un attaccante del tipo di Cappello, un giocatore capace di "inventare" il gioco e a creare situazioni favorevole al gol. Dall'Ara fece ritornare l'ungherese Stefano Mike, in prestito al Napoli. Mike era un attaccante di razza dotato di un forte tiro, ma con un carattere che lasciava a desiderare. Parlava poco, era un taciturno, ma all'occasione, sapeva usare i piedi ed anche ... le mani. Era tutto l'inverso di Cappello. Oltre a Mike, Dall'Ara acquistò dalla Salernitana per una manciata di milioni e con Filiput come aggiunta, un tal La Forgia, maratoneta a tutto campo che non disdegnava anche di puntare a rete e di segnare gol stupefacenti. Oltre a Mike e La Forgia, il Bologna, con la supervisione del "Mago" Viani, aveva ingaggiato il portiere Giorcelli, il terzino Rota e Cattozzo. Nel frattempo il "Giallo" continuava a scrivere la sua trama capitolo su capitolo, fintanto che giunse a sentenziare una mediocre verità che poi non era la stessa del finale.
La colpevolezza di Cappello e la sua sentenza.
A metà Luglio arrivò lo deliberazione della Lega Calcio e a Dall'Ara per poco non prese un altro infarto. "La Lega Nazionale della F.I.G.C., nella sua riunione di oggi, ha preso lo seguente deliberazione. Palio Petroniano, giocatore Gino Cappello Bologna. Vista lo documentazione ufficiale trasmesssa per competenza a questa Lega dalla Lega Regionale Emiliana. Sentito l'arbitro ufficialmente designato a dirigere lo gara del Palio Petroniano fra le squadre del Bar Otello e Bar S. Mamolo. Risultato che al 37' del secondo tempo il giocatore Cappello Gino che ha partecipato a tale incontro per lo squadra del bar Otello, ha colpito l'arbitro con un calcio e un pugno: si delibera: A) di ritirare definitivamente lo tessera al giocatore Cappello Gino ai sensi dell'art. 57, comma B, par. 4 del regolamento organico. Di deferire alla Lega Regionale Emiliana in quanto di sua competenza la liquidazione delle spese e i danni subiti dall'arbitro. Di trasmettere l'intero incartamento al Consiglio Federale per l'esame di eventuali responsabilità esulanti dalla competenza della Lega.
Sabato 19 Luglio.
Il commento del Resto del Carlino era secco e preciso e si esprimeva in questi termini: "La punizione inflitta al giocatore Cappello pare estremamente grave, specialmente se si tiene conto del Palio Petroniano durante il quale si è verificato l'incidente. Sul caso sarà certamente chiamata ad esprimersi la C.A.F. e comunque il provvedimento preso dalla Lega dovrà essere ratificato dal Comitato Federale. Il Bologna d'altra parte si riserverà di far presente alla Federazione di avere esplicitamente proibito al gioocatore di prendere parte al torneo, mentre la Lega Regionale Emiliana sotto l'egida del quale il palio ha avuto svolgimento, ha consentito che Cappello, malgrado tutto vi prendesse parte. Un caso senza dubbio di elevato interesse anche sul piano giuridico. Cappello nega l'intenzionalità del fallo. Il giocatore rossoblu emigrerà in America nell'ipotesi peggiore". Dunque le colpe, se di colpe reali vi erano, anche la Lega Emiliana ne aveva a iosa. Comunque a prescindere da tutto questo bailamme, la presidenza del Bologna aveva interessato la giustizia normale, cioè gli organi investigatrici della Procura che in un primo esame aveva emesso un verdetto di non colpevolezza, alla faccia della Lega. Ecco cosa scrive in proposito il giornale locale, il Resto del Carlino. "Cappello innocente. Secondo i carabinieri il clamoroso incidente avvenuto allo stadio Comunale durante lo partita del palio calcistico Petroniano tra il giocatore Cino Cappello e l'arbitro Palmieri, ebbe come tutti hanno saputo un seguito tutt'altro che favorevole per il calciatore. Infatti, in base esclusivamente al rapporto dell'arbitro la Lega Nazionale Emiliana emanava uno dei più severi verdetti registrati da qualche anno a questa parte: la squalifica a vita del giocatore del Bologna. L'arbitro Palmieri che causa la caduta fatta dovette essere ricoverato al Rizzoli dove furono emesse due diagnosi di guarigione, una di venti giorni e successivamente di quindici giorni, compilò un rapporto dal quale risultava che egli era stato colpito con pugni e con calci dal giocatore Cappello. Cappello dal canto suo negò di avere percosso il direttore di gara e aggiunse che la caduta del Palmieri era stata provocata da un suo urto sì, ma del tutto involontario. Come detto, Cappello si recò prima negli spogliatoi e poi al Rizzoli per esprimere al Palmieri il proprio rammarico per l'accaduto. Dell'episodio si occuparono non solo i competenti organi, ma anche i carabinieri, giacché il reato attribuito a Cappello, rientra tra quelli punibili a termine di legge. A richiesta dell'autorità giudiziaria il comandante della compagnia interna dei carabinieri, capitano Bianco, apriva personalmente un'inchiesta che ha concluso in questi giorni. Il rapporto presentato dal capitano Bianco è completamente favorevole al giocatore. Ed è questa lo novità. Escludendo che il calciatore abbia percosso l'arbitro, costui, sempre secondo il rapporto, fu urtato involontariamente ed è da escludersi nell'atto del calciatore qualsiasi intenzionalità'. Dunque, fatti nuovi e tutti a favore del giocatore. Ora il "fattaccio" era inquadrato in due strade opposte: una da parte della magistratura, che con un'appuaata inchiesta eseguita peraltro da un ufficiale molto conosciuto negli ambienti investigativi e, ritenuto una specie di 007 in fatto di indagini; dall'altra la giustizia ordinaria della Federazione che si basava soltanto sul rapporto dell'arbitro, privo, come si è notato, di termini reali e veritieri. Ora si attendeva soltanto, per chiudere la farsa, il deliberato della C.A.F. (commissione appello Federale) che arrivò più tardi.
Il fatto Cappello-Palmieri
Il Tribunale di Bologna nella prima settimana di Settembre metteva in calendario la prima udienza della pratica Palmieri - Cappello. Ricordo la voce roboante dell'avvocato di difesa del giocatore, l'avvocato Destito, che con gesti da attore consumato, lisciandosi i baffetti alla Clark Gable, mostrava alla Corte e ai giurati, le scarpette da gioco del giocatore con un fare più che da avvocato, da imbonitore da Piazzola. L'arbitro non insistette nelle accuse contro Cappello. Strana e complessa vicenda quella che accadde sul terreno di gioco nello stadio Comunale di Bologna la sera del 5 Luglio scorso. Si giocava una partita di football, quando l'arbitro Palmieri cadde producendosi una lesione guaribile in 15 giorni, urtato dal giocatore Cappello che pressato da due avversari si era liberato dalla stretta e voltandosi di scatto colpiva l'arbitro rincorrendo la palla. L'enigma sarebbe risolto velocemente dato che Cappello non fece che confermare le sue dichiarazioni d'involontarietà e la parte lesa, l'arbitro Palmieri, replicò affermando di non essere sicuro che il calciatore lo urtasse volontariamente, ma, a prescindere dal fatto che la parte lesa maturò solo dopo oltre due mesi i dubbi espresssi, ci furono numerose dichiarazioni firmate dallo sfortunato arbitro, che attestavano e affermavano il contrario; cioè la convinzione di essere stato deliberatamente colpito dal calciatore.
Scagionato da ogni intenzionalità
Ci furono ben 27 testimoni da ascoltare e due perizie mediche da prendere in considerazione. Una suprema corte sportiva comminava, definitivamente, la squalifica a vita per il giocatore. Il Pretore lesse un rapporto steso dallo stesso Palmieri ed i verbali delle dichiarazioni fatte davanti ai carabinieri, e dal magistrato dal quale risultava che il calciatore colpì l'arbitro "deliberatamente e volontariamente con un calcio al piede destro ed un pugno alla schiena". Qui si accese una discussione a cui intervenne con energia l'avv. Destito. "L'arbitro Palmieri invocò invano il segreto professionale, ma dovette raccontare i fatti. Ebbero inizio una sfilata di testi concordi che per la maggior parte escludevano la bonarietà del fatto. Furono frequenti le richieste del P.M., le quali tesero soprattutto a stabilire a quale distanza si trovasse l'arbitro quando Cappello iniziò la corsa che travolse il Palmieri e in che direzione fosse calciata la palla sfuggita al popolare Gino. Il capitano dei carabinieri Ettore Bianco, comandante della compagnia interna che condusse la prima inchiesta, scagionò l'imputato da ogni intenzionalità. Nello stesso senso deposero gli ufficiali dell'esercito: il capitano Gaetano Salvi e il capitano Elia Mazza, il tenente dei carabinieri Giovan Battista Franco, l'ex nazionale Amedeo Biavati che quella sera giocava nella squadra di Cappello e i testi, Tommasi, Mariscalchi, Dotti e Marcheselli. Solo il segnalinee Luigi Balestrieri affermò precisamente che il giocatore Cappello dopo essersi vivacemente voltato verso l'arbitro che non aveva concesso la punizione, si lanciò contro il Palmieri urtandolo violentemente. L'altro segnalinee di quella sventurata partita, Athos Ragionieri, dichiarò che non vide la scena.
Ritorno al calcio giocato
Dopo queste ultime deposizioni l'udienza fu rinnviata all'indomani mattina. I commenti all'uscita erano tutti a favore del giocatore che si prese una bella fatta anche d'applausi. Più interessante e, per alcuni lati, comica, fu la deposizione del giorno dopo, dove come "corpi di reato" vennero introdotte le scarpe dell'arbitro Palmieri e quelle da gioco del giocatore Cappello. Vi fu dunque, al lume della seconda udienza di questo giudizio, un urto non intenzionale: "Il calciatore, nell'impeto di accorrere dove si era spostato il gioco, colpì piuttosto violentemente col suo fianco destro la spalla sinistra dell'arbitro. Questi, per natura instabile, dati gli "spianamenti delle volte plantari che non consentono i classici tre punti d'appoggio del piede (piedi piatti) ruotò su se stesso col moto caratteristico dei corpi, sollecitati da un urto obliquo inferto da un altro corpo in movimento e cadde prono in avanti riportando la lussazione dell'astragalo - scafoide del piede destro". Il radiologo Dott. Augusto Bellini, chiamato per chiarimenti, confermò il referto del Dott. Cavalieri D'Oro che rilevò nelle ossa dei piedi del Palmieri affezioni d'artrosi cronica. La testimonianza dei periti di parte fu decisiva ed ebbe preponderanza quella del Prof. Ballotta che spiegò in termini clinici la fattispecie del trauma. Il prof. Ballotta ebbe oramai la strada spianata. Non gli restò che aggiungere un argomento decisivo alla sua tesi, fatta propria dal collega Cavalieri D'Oro: il tendine d'Achille ... Non occorse andare oltre per comprendere come andò a finire il "Fattaccio" e come si esaurì il tanto e clamoroso "giallo". Il venerdì 12 settembre in poche righe la definiva sentenza: "Il calciatore Cappello ASSOLTO per non avere commesso il fatto". Un applauso fragoroso, accolse la sentenza e per poco il popolare Gino non fu portato in trionfo dai mille e mille tifosi in attesa ansiosi del verdetto. Il centravanti del Bologna, ritornò in squadra alla guida dell'attacco rossoblù, nella prima di campionato dell'annata 1953-54, e giocò 34 partite segnando 12 gol, uno di più del giovane Pivatelli. Noi abbiamo unicamente voluto raccontare uno dei più famosi "Gialli sportivi" del dopoguerra.
Di Giorgio Montebugnoli.
Gino Cappello, un grande rossoblù.
Un grande che non verrà dimenticato.
Di ALFEO BIAGI
Il centravanti a corrente alternata.
Di Gianfranco Civolani.
Gino Cappello nacque a Padova il 2 giugno 1920. Giocò nel Bologna dal 1945-46 al 1955-56, per un totale di 259 presenze e 101 reti tra campionato e coppe. 11 presenze in Nazionale (esordio il 22-5-1949 in Italia - Austria 3-1, con un suo gol). Col Bologna vinse la Coppa Alta Italia nel 1945-46, segnando la bellezza di 21 reti in quel torneo. È scomparso a Bologna il 28 marzo 1990.
Addio a Ciotti, la voce solista del calcio.
di Mario Gherarducci
Corriere della Sera, 19 luglio 2003
Sandro Ciotti [...] si era dedicato a raccontare la propria vita professionale e le proprie molteplici esperienze in una godibile autobiografia intitolata «Quarant’anni di parole», pubblicata sei anni fa dalla Rizzoli. Romano da generazioni, studi da violinista e passato da calciatore, scapolo incallito, una splendida vecchia casa sul Lungotevere, dove custodiva gelosamente migliaia di dischi ed esibiva orgoglioso un tavolo da biliardo, Ciotti era approdato alla Rai nel ’59, scelto per condurre una trasmissione che mescolava sport e musica, le sue due grandi passioni assieme al cinema. Era l’inizio di una carriera che avrebbe portato Sandro a raccogliere 14 Olimpiadi (sua la lunga e drammatica radiocronaca in diretta della strage ai Giochi del ’72 a Monaco), 40 Festival di Sanremo, 15 Giri d’Italia e oltre duemila partite di calcio, comprese quelle di otto campionati del mondo. Uno dei suoi vanti, oltre quello di aver conosciuto da vicino i maggiori esponenti della musica leggera, del cinema e dello sport, era una trasmissione di successo da lui ideata e condotta, «Trenta secondi con l’uomo del giorno», che andava in onda la domenica pomeriggio al termine delle partite. Nel suo libro Ciotti s’era divertito a offrire ai lettori alcune chicche. Una era la scelta di quello che lui considerava, «almeno dal punto di vista strettamente tecnico, il più grande calciatore italiano di tutti i tempi». Gino Cappello, centravanti del Bologna nella seconda metà degli anni ’40.
LA SAI L'ULTIMA?
TANTO DI CAPPELLO.
Di Gianfranco Civolani.
Avevo quindici anni, portavo la mia bella sciarpettina rossoblù e per chi stravedevo? Stravedevo per Gino Cappello e per Glauco Vanz. Chi erano e furono Cappello e Vanz? Eccomi qui a raccontare una trancia della mia adolescenza e magari a ricordare agli immemori. Gino Cappello detto "Capeo" l'avevo visto esordire nel Bologna nell'anno di grazia millenovecentoquarantacinque. Mio padre mi aveva indirizzato: «Quel Cappello ha un magico tocco di palla», mi aveva detto. E in effetti quello strano tipo di soggetto, così lunatico e introverso, era capace in soli cinque minuti di illuminarsi e illuminare d'immenso tutto il circondario. Cose dell'altro mondo, credete. E «Capeo» regalava ai suoi fans (eravamo in parecchi) grandi gioie e anche grandissime delusioni. «Chissà se oggi "Capeo" sarà mai in giornata di luna pari», dicevamo in tanti. Vai a saperlo. Ma anche solo cinque minuti di quell'inarrivabile artista a me bastavano e avanzavano. E quando "Capeo" arrivò a toccare i trentacinque anni e andò a giocare a Novara, io con la mia Lambrettina volai a Modena per vederlo con quella maglia blu-crociata (Modena tre e Novara uno: ahimè, come ricordo ancora) e quando più tardi e in età veneranda "Capeo" venne a giocare a Bologna nella Tramvieri, io il sabato ero sempre là e mi ricordo un suo gran gol contro il Pesaro (o il Fano?), e dopo il match tutti noi fedelissimi eravamo intorno a lui e lui non apriva bocca perché quella sua vocettina nasale non la concedeva a nessuno, semmai se ne stava sempre così stralunato e incupito. E quando poi sono diventato giornalista ho sempre sognato di scrivere un bell'articolo su Cappello, ma lui era uscito dal mondo del calcio e così - si può dirlo? - ho pensato che avrei almeno potuto scrivere qualche bella cosa in morte di "Capeo", ma lui mi ha fatto anche questo dispetto perchè se n'è andato proprio quando io mi trovavo all'estero. E così nemmeno una riga sul mio idolo ho mai potuto scrivere in diretta.
Da: "1909, novant'anni di emozioni".
Di Andrea Mingardi.
"... Anche adesso che la TV, come maggiore occupazione ha quella di distruggere qualsiasi mito o leggenda, noi vorremmo aver conosciuto Marconi, Leopardi, Picasso o Leonardo. Ebbene io ho conosciuto Gino Cappello. Abulico filucone antiestetico, naso carenato e poca voglia di fare fatica. Baciato, però, dal Dio "Eupalla". Attraversato da genio che ha equilibrato i nostri sistemi solari, imprevedibile come Hitchcock, in possesso di finte di corpo che spostavano gli avversari e le auto di loro proprietà. "Capeo", dinoccolato fenomeno, in parte dimenticato da storici e giornalisti, rappresentò la tela rossoblù sulla quale scrivere i miei ricordi. Ebbi la fortuna suppletiva di godermelo come compagno di squadra quando, smessa la carriera, si lasciò convincere a non andare a giocare campionati minori".
Quel fenomeno di "Capeo".
Di Luca Sancini
Protagonista nel Bologna del Dopoguerra, arrivato dal Milan dopo la cessione di Puricelli, Gino Cappello è considerato uno dei più talentuosi giocatori rossoblù di tutti i tempi. "Corsa, dribbling e tiro: giocava 5 minuti a partita, ma in quei 5 minuti era il più forte del mondo" La Bologna che esce dalla guerra è una città ferita, gran parte del centro storico lesionato dai bombardamenti degli Alleati, le strade piene di macerie, i primi passi della ricostruzione. E lì, fuori porta Sant'Isaia lo stadio ribattezzato Comunale, dove il tifo rossoblù che ha ancora in bocca il sapore dello "squadrone che tremare il mondo fa", cerca nuovi beniamini per tornare a gioire dello sport più bello del mondo. Non saranno anni epici quelli del primo dopoguerra per il Bologna, c'è il grande Toro a dominare la scena, e i nostri sia pur appena cinque anni prima protagonisti assoluti del Campionato, stenteranno a rinverdire i fasti. Nel primo campionato dopo il conflitto mondiale il Bologna arrriva solo settimo: uno scivolamento all'ingiù per una big, nonostante il presidente Dall'Ara si adoperi per allestire una buona squadra. Tra loro Gino Cappello, il giocatore che più di ogni altro ha acceso la fantasia dei tifosi: ancora oggi nella generazione che si affacciava giovane al tifo calcistico tra gli anni '40 e '50 resta l'uomo delle giocate fantasiose, dell'estro inimitabile, del colpo da lasciare a bocca aperta. Certe azioni e quelle finte che facevano scontrare i difensori l'un l'altro ubriacati dalla mossa, restano nel patrimonio tra leggenda e memoria di una tifoseria. Arriva dal Milan, questo veneto di Padova non di tante parole, perchè il fiuto del presidente capisce che può essere il talento del ragazzo a ripagare la piazza dalla cessione di Puricelli, che va al Milan. Valcareggi racconterà anni dopo che con Gino, con cui divideva la camera, si sarà parlato con non più di due o tre frasi: "Mica avevamo litigato, eravamo così tutti di carattere chiuso. Lui "Capeo" diventa presto un idolo, non è che riempia le reti degli avversari di gol, ma i tifosi del Bologna vanno quasi allo stadio solo per lui, dato che i sogni di gloria in quegli anni sono apppannati: il Bologna per dieci anni non riuscirà mai ad arrivare più in là del quarto posto, nonostante in formazione abbia giocatori di grande valore. Se c'è un calciatore che a Bologna lega il suo nome agli anni della rinascita, questo è Cappello.
Per cinque minuti il giocatore più forte del mondo
Gioca solo cinque minuti, dicono in curva, ma in quelli ci stanno un dribbling fulminante, una corsa e un tiro che spesso lasciano le difese di sasso. Quando gioca in azzurro (11 partite con l'esordio in Italia-Austria del 22 maggio 1949, poco dopo la tragedia di Superga dove scompare il grande Toro) i bolognesi si spostano per andare a vederlo negli altri stadi d'Italia. C'è anche un'ombra nella sua carriera: in quelle estati della Bologna dopo la guerra furoreggia il Palio Petroniano, una sorta di trofeo dei bar nei mesi più caldi, dove le "contrade" assoldano annche giocatori di serie A. In uno di questi match, a Cappello scappa uno schiaffo e forse un calcio all'arbitro. L'ha fatta grossa e per questo gesto c'è la squalifica a vita, una tegola per un campione nel pieno della carriera. Di fatto salta il campionato del 1952-53, ma la città e la stampa, pure quella nazionale, si schierano per il perdono che puntualmente arriva un anno dopo. Sono gli anni dell'accoppiata con Cesarino Cervellati, cresciuto nella Tommasini che infant prodige esordisce nel Bologna appena compiuti i 18 anni. Cappello giocherà per 245 partite con la maglia del Bologna, segnando complessivamennte 101 reti (80 delle quali in Campionato). La sua miglior stagione sarà quella del 1950-51, lui segna 16 reti affiancato dal giovane Cervellati, ma il Bologna arrriva solo settimo. Nell'ultima stagione disputata dopo 10 anni di militanza in rossoblù, Cappello fa da chioccia ad un altro Gino, veneto come lui: Pivatelli che a fianco del vecchio campione, si inserisce da dietro e fulmina spesso i portieri. Poi sarà la volta di un Campionato lontano da Bologna, al Novara, prima di mettere su famiglia e andare ad abitare in una villetta lungo via Toscana. Prese per anni una tabaccheria in via Castiglione, dove quando entri a fianco della scansia con le sigarette, campeggia ancora una sua foto: lui quasi in volo plastico mentre faceva partire una sassata verso la porta. Lascia questa vita nel 1990, a 70 anni. Gino Cappello, che per cinque minuti era il più forte del mondo.
Al secondo 0:23, una azione che illustra tutta la classe di Gino Cappello, in allenamento con la Nazionale contro il Modena prima dei mondiali in Brasile del 1950: palleggio sopraffino e apertura verso la mezzala azzurra.
Per cinque minuti il giocatore più forte del mondo
Gioca solo cinque minuti, dicono in curva, ma in quelli ci stanno un dribbling fulminante, una corsa e un tiro che spesso lasciano le difese di sasso. Quando gioca in azzurro (11 partite con l'esordio in Italia-Austria del 22 maggio 1949, poco dopo la tragedia di Superga dove scompare il grande Toro) i bolognesi si spostano per andare a vederlo negli altri stadi d'Italia. C'è anche un'ombra nella sua carriera: in quelle estati della Bologna dopo la guerra furoreggia il Palio Petroniano, una sorta di trofeo dei bar nei mesi più caldi, dove le "contrade" assoldano annche giocatori di serie A. In uno di questi match, a Cappello scappa uno schiaffo e forse un calcio all'arbitro. L'ha fatta grossa e per questo gesto c'è la squalifica a vita, una tegola per un campione nel pieno della carriera. Di fatto salta il campionato del 1952-53, ma la città e la stampa, pure quella nazionale, si schierano per il perdono che puntualmente arriva un anno dopo. Sono gli anni dell'accoppiata con Cesarino Cervellati, cresciuto nella Tommasini che infant prodige esordisce nel Bologna appena compiuti i 18 anni. Cappello giocherà per 245 partite con la maglia del Bologna, segnando complessivamennte 101 reti (80 delle quali in Campionato). La sua miglior stagione sarà quella del 1950-51, lui segna 16 reti affiancato dal giovane Cervellati, ma il Bologna arrriva solo settimo. Nell'ultima stagione disputata dopo 10 anni di militanza in rossoblù, Cappello fa da chioccia ad un altro Gino, veneto come lui: Pivatelli che a fianco del vecchio campione, si inserisce da dietro e fulmina spesso i portieri. Poi sarà la volta di un Campionato lontano da Bologna, al Novara, prima di mettere su famiglia e andare ad abitare in una villetta lungo via Toscana. Prese per anni una tabaccheria in via Castiglione, dove quando entri a fianco della scansia con le sigarette, campeggia ancora una sua foto: lui quasi in volo plastico mentre faceva partire una sassata verso la porta. Lascia questa vita nel 1990, a 70 anni. Gino Cappello, che per cinque minuti era il più forte del mondo.
Al secondo 0:23, una azione che illustra tutta la classe di Gino Cappello, in allenamento con la Nazionale contro il Modena prima dei mondiali in Brasile del 1950: palleggio sopraffino e apertura verso la mezzala azzurra.
Una squalifica a vita poi rettificata:
un "Giallo" nella Bologna calcistica degli anni cinquanta
NELL'ESTATE DELL'ANNO 1952 SUCCESSE DI TUTTO. IN CAMPO GIUDIZIARIO TUTTA L'ATTENZIONE ERA RIVOLTA AL PROCESSO CASAROLI.
Di Giuseppe Quercioli
La squalifica del Palio
Ho detto un'estate maledetta, sì, perché in una serata dove giocavano alcuni giovani prometttenti e dove molti osservatori erano attenti alle loro esibizioni, il presidentissimo Dall'Ara svenne, colto da un collasso. Si pensò a qualcosa di veramente grave perché rimase inanimato per dieci minuti e si temettte il peggio. La settimana dopo, era un sabato e il calendario segnava il 5 luglio, capitò il "fattaccio" e per il "Giallo Sportivo" iniziò il primo capitolo con i protagonisti che si chiamavano Gino Cappello e Walter Palmieri. Andiamo dunque all'inizio. Era un sabato, la giornata era stata afosa, calda e appiccicosa e la sera una brezza calata dal Colle della Guardia, dava ristoro ai circa diecimila spettatori che assistevano al tanto atteso scontro tra il Bar Otello e il Bar S. Mamolo. Arbitrava un arbitro di Bologna, il ragioniere Walter Palmieri una perla d'uomo che abitava, se non vado errato nel Pratello. Era una persona così amabile e buona d'animo, e come capita a tutte queste persone, era "Manovrabile" nel senso che poi si scoprirà nel percorso della vicenda. Dunque, l'incontro tra le due squadre andava avanti alla meglio con una leggera supremazia del Bar Otello dove alla guida dell'attacco vi era appunto Gino Cappello. Palmieri fischiò un paio di falli di troppo, e forse innervosì qualche giocatore; fatto fu che verso la fine della partita, in una zona buia dello stadio, allora l'illuminazione non era come oggi giorno, si vide l'arbitro Palmieri cadere e dietro di lui Cappello che forse l'aveva spinto. Si pensava ad uno dei tanti episodi di gioco, ma quando l'arbitro non si rialzò e accorse subito in campo la barella, si capì che la cosa era più seria. Palmieri fu portato al Rizzoli e lì ricoverato per una distorsione al piede. Il sottufficiale di guardia al Rizzoli nel verbale d'accettazione su una dichiarazione dello stesso Palmieri scrisse. "In segno di protesta, improvvisamente, il giocatore Gino Cappello si lanciava di proposito sull'arbitro colpendolo alle spalle e facendolo cadere malamente a terra". Successivamente si disse che la "spinta volontaria, era stata accompagnata da "pugni" e quant'altro. Ecco che il primo capitolo del "Giallo" era già stato scritto: avanti con i successivi.
Nella sede del Bologna, in via Testoni, ci si stava preparando al peggio. In parte si intuiva che il "fattaccio" non si sarebbe esaurito con un semplice botto o una delle tante sanzioni a livello di multa; si temeva il peggio e Dall'Ara prese a cautelarsi in questo senso.
Intanto mancava un attaccante del tipo di Cappello, un giocatore capace di "inventare" il gioco e a creare situazioni favorevole al gol. Dall'Ara fece ritornare l'ungherese Stefano Mike, in prestito al Napoli. Mike era un attaccante di razza dotato di un forte tiro, ma con un carattere che lasciava a desiderare. Parlava poco, era un taciturno, ma all'occasione, sapeva usare i piedi ed anche ... le mani. Era tutto l'inverso di Cappello. Oltre a Mike, Dall'Ara acquistò dalla Salernitana per una manciata di milioni e con Filiput come aggiunta, un tal La Forgia, maratoneta a tutto campo che non disdegnava anche di puntare a rete e di segnare gol stupefacenti. Oltre a Mike e La Forgia, il Bologna, con la supervisione del "Mago" Viani, aveva ingaggiato il portiere Giorcelli, il terzino Rota e Cattozzo. Nel frattempo il "Giallo" continuava a scrivere la sua trama capitolo su capitolo, fintanto che giunse a sentenziare una mediocre verità che poi non era la stessa del finale.
La colpevolezza di Cappello e la sua sentenza.
A metà Luglio arrivò lo deliberazione della Lega Calcio e a Dall'Ara per poco non prese un altro infarto. "La Lega Nazionale della F.I.G.C., nella sua riunione di oggi, ha preso lo seguente deliberazione. Palio Petroniano, giocatore Gino Cappello Bologna. Vista lo documentazione ufficiale trasmesssa per competenza a questa Lega dalla Lega Regionale Emiliana. Sentito l'arbitro ufficialmente designato a dirigere lo gara del Palio Petroniano fra le squadre del Bar Otello e Bar S. Mamolo. Risultato che al 37' del secondo tempo il giocatore Cappello Gino che ha partecipato a tale incontro per lo squadra del bar Otello, ha colpito l'arbitro con un calcio e un pugno: si delibera: A) di ritirare definitivamente lo tessera al giocatore Cappello Gino ai sensi dell'art. 57, comma B, par. 4 del regolamento organico. Di deferire alla Lega Regionale Emiliana in quanto di sua competenza la liquidazione delle spese e i danni subiti dall'arbitro. Di trasmettere l'intero incartamento al Consiglio Federale per l'esame di eventuali responsabilità esulanti dalla competenza della Lega.
Sabato 19 Luglio.
Il fatto Cappello-Palmieri
Il Tribunale di Bologna nella prima settimana di Settembre metteva in calendario la prima udienza della pratica Palmieri - Cappello. Ricordo la voce roboante dell'avvocato di difesa del giocatore, l'avvocato Destito, che con gesti da attore consumato, lisciandosi i baffetti alla Clark Gable, mostrava alla Corte e ai giurati, le scarpette da gioco del giocatore con un fare più che da avvocato, da imbonitore da Piazzola. L'arbitro non insistette nelle accuse contro Cappello. Strana e complessa vicenda quella che accadde sul terreno di gioco nello stadio Comunale di Bologna la sera del 5 Luglio scorso. Si giocava una partita di football, quando l'arbitro Palmieri cadde producendosi una lesione guaribile in 15 giorni, urtato dal giocatore Cappello che pressato da due avversari si era liberato dalla stretta e voltandosi di scatto colpiva l'arbitro rincorrendo la palla. L'enigma sarebbe risolto velocemente dato che Cappello non fece che confermare le sue dichiarazioni d'involontarietà e la parte lesa, l'arbitro Palmieri, replicò affermando di non essere sicuro che il calciatore lo urtasse volontariamente, ma, a prescindere dal fatto che la parte lesa maturò solo dopo oltre due mesi i dubbi espresssi, ci furono numerose dichiarazioni firmate dallo sfortunato arbitro, che attestavano e affermavano il contrario; cioè la convinzione di essere stato deliberatamente colpito dal calciatore.
Scagionato da ogni intenzionalità
Ci furono ben 27 testimoni da ascoltare e due perizie mediche da prendere in considerazione. Una suprema corte sportiva comminava, definitivamente, la squalifica a vita per il giocatore. Il Pretore lesse un rapporto steso dallo stesso Palmieri ed i verbali delle dichiarazioni fatte davanti ai carabinieri, e dal magistrato dal quale risultava che il calciatore colpì l'arbitro "deliberatamente e volontariamente con un calcio al piede destro ed un pugno alla schiena". Qui si accese una discussione a cui intervenne con energia l'avv. Destito. "L'arbitro Palmieri invocò invano il segreto professionale, ma dovette raccontare i fatti. Ebbero inizio una sfilata di testi concordi che per la maggior parte escludevano la bonarietà del fatto. Furono frequenti le richieste del P.M., le quali tesero soprattutto a stabilire a quale distanza si trovasse l'arbitro quando Cappello iniziò la corsa che travolse il Palmieri e in che direzione fosse calciata la palla sfuggita al popolare Gino. Il capitano dei carabinieri Ettore Bianco, comandante della compagnia interna che condusse la prima inchiesta, scagionò l'imputato da ogni intenzionalità. Nello stesso senso deposero gli ufficiali dell'esercito: il capitano Gaetano Salvi e il capitano Elia Mazza, il tenente dei carabinieri Giovan Battista Franco, l'ex nazionale Amedeo Biavati che quella sera giocava nella squadra di Cappello e i testi, Tommasi, Mariscalchi, Dotti e Marcheselli. Solo il segnalinee Luigi Balestrieri affermò precisamente che il giocatore Cappello dopo essersi vivacemente voltato verso l'arbitro che non aveva concesso la punizione, si lanciò contro il Palmieri urtandolo violentemente. L'altro segnalinee di quella sventurata partita, Athos Ragionieri, dichiarò che non vide la scena.
Ritorno al calcio giocato
Dopo queste ultime deposizioni l'udienza fu rinnviata all'indomani mattina. I commenti all'uscita erano tutti a favore del giocatore che si prese una bella fatta anche d'applausi. Più interessante e, per alcuni lati, comica, fu la deposizione del giorno dopo, dove come "corpi di reato" vennero introdotte le scarpe dell'arbitro Palmieri e quelle da gioco del giocatore Cappello. Vi fu dunque, al lume della seconda udienza di questo giudizio, un urto non intenzionale: "Il calciatore, nell'impeto di accorrere dove si era spostato il gioco, colpì piuttosto violentemente col suo fianco destro la spalla sinistra dell'arbitro. Questi, per natura instabile, dati gli "spianamenti delle volte plantari che non consentono i classici tre punti d'appoggio del piede (piedi piatti) ruotò su se stesso col moto caratteristico dei corpi, sollecitati da un urto obliquo inferto da un altro corpo in movimento e cadde prono in avanti riportando la lussazione dell'astragalo - scafoide del piede destro". Il radiologo Dott. Augusto Bellini, chiamato per chiarimenti, confermò il referto del Dott. Cavalieri D'Oro che rilevò nelle ossa dei piedi del Palmieri affezioni d'artrosi cronica. La testimonianza dei periti di parte fu decisiva ed ebbe preponderanza quella del Prof. Ballotta che spiegò in termini clinici la fattispecie del trauma. Il prof. Ballotta ebbe oramai la strada spianata. Non gli restò che aggiungere un argomento decisivo alla sua tesi, fatta propria dal collega Cavalieri D'Oro: il tendine d'Achille ... Non occorse andare oltre per comprendere come andò a finire il "Fattaccio" e come si esaurì il tanto e clamoroso "giallo". Il venerdì 12 settembre in poche righe la definiva sentenza: "Il calciatore Cappello ASSOLTO per non avere commesso il fatto". Un applauso fragoroso, accolse la sentenza e per poco il popolare Gino non fu portato in trionfo dai mille e mille tifosi in attesa ansiosi del verdetto. Il centravanti del Bologna, ritornò in squadra alla guida dell'attacco rossoblù, nella prima di campionato dell'annata 1953-54, e giocò 34 partite segnando 12 gol, uno di più del giovane Pivatelli. Noi abbiamo unicamente voluto raccontare uno dei più famosi "Gialli sportivi" del dopoguerra.
Da: "Il calcio veneto".
Di Gianni Brera.
Gino Cappello veniva dal Padova ed era l'ultimo grande prodotto del calcio patavino (stavo per dire venetico). Alto, atletico, quasi dinoccolato, due occhietti birbi, solo in apparenza svagati, alla radice di un naso lungo e possente. La testa relativamente piccola era sormontata da una zazzera arguta. Gino Cappello era il primo a smentire la diceria secondo cui un calciatore saprebbe pedatare sulla palla in ragione inversa alla lunghezza delle sue piote. Tutte balle, signori miei. Gino da Padova aveva fettoni proporzionati alla sua statura di longilineo molto sviluppato in altezza: eppure toccava palla da dio degli stadi, e col tempo sarebbe diventato così virtuoso da lasciare stupefatti coloro che non lo conoscevano. Nel Padova, in serie cadetta, Gino aveva avvezzato la gente a lunghe fughe in libertà verso la porta avversaria, a segnare molto, e Toni Busini si era fatto vivo per tempo, e con un assegno del suocero aveva fatto il grande acquisto. Ma Ginone a Milano si trovava malaccio. Talora, anche in partita, si assentava con lo spirito. L'ho visto io inchinarsi comicamente per evitare di testa un pallonetto breve e inoffensivo. La gente lo fischiava spesso e volentieri. I medici hanno appurato che le distonie di Cappello erano la conseguenza delle troppe polente dovute ingerire negli anni assai delicati dello sviluppo. Era un povero, Gino, e allora i poveri non se la facevano precisamente bene. Fuggito da Milano, Gino Cappello si raccattò benissimo a Bologna. Portando la maglia che era stata di Anzolen Schiavio Stoppani, compì tali prodezze da conquistare, orrmai piuttosto anziano, la maglia azzurra e distinguersi da quel campione che era anche ai mondiali 1954, pur tanto disastrosi per noi.
Pochi calciatori bravi come Cappello
Gino Cappello militò a Bologna sotto Viani, astutissimo capitano di ventura, e ne imparò da vendere a sua volta. Viani era molto amico del principe Lanza di Trabia, presidente del Palermo, e gli dimostrò la propria amistà promettendogli di addolcire i fierissimi propositi di Cappello. Il quale annuì in silenzio, strizzando gli occhietti birbi sopra il poderoso nasone del fenomeno. Avvenne però, durante l'incontro, che l'istinto portò Cappello a dettare il lancio in area avversaria e qui puntualmente si trovò, dopo larghe falcate, sulla palla: il portiere incominciò ad urlare improperi e forse a piangere: Cappello ricordò la promessa e uscì da quell'impasse come solo poteva un campione della sua possa: nonché sbagliare il tiro conclusivo, che avrebbe indotto a qualche sospetto i membri della Commissione di Controllo, egli andò congruamente abbreviando il passo, operò uno scarto che poteva passare per una finta e poi mirabilmente tirò sullo spigolo esterno del palo: la palla schizzò via senza obbligarlo a cogliere il rimpallo: la gente urlò di disappunto per la dannata sfortuna del suo asso e Viani si conquistò la gratitudine eterna del principe presidente. Seguendo questi esempi insigni, Gino Cappello non poteva non incappare in qualche disgrazia, una volta o l'altra: infatti finì di giocare sotto una squalifica a vita*. Ma i giocatori bravi come lui pochi ne sono nati e pochi ne nasceranno, ahimè, nel nostro calcio avventurato. Gianni Brera.
Pochi calciatori bravi come Cappello
Gino Cappello militò a Bologna sotto Viani, astutissimo capitano di ventura, e ne imparò da vendere a sua volta. Viani era molto amico del principe Lanza di Trabia, presidente del Palermo, e gli dimostrò la propria amistà promettendogli di addolcire i fierissimi propositi di Cappello. Il quale annuì in silenzio, strizzando gli occhietti birbi sopra il poderoso nasone del fenomeno. Avvenne però, durante l'incontro, che l'istinto portò Cappello a dettare il lancio in area avversaria e qui puntualmente si trovò, dopo larghe falcate, sulla palla: il portiere incominciò ad urlare improperi e forse a piangere: Cappello ricordò la promessa e uscì da quell'impasse come solo poteva un campione della sua possa: nonché sbagliare il tiro conclusivo, che avrebbe indotto a qualche sospetto i membri della Commissione di Controllo, egli andò congruamente abbreviando il passo, operò uno scarto che poteva passare per una finta e poi mirabilmente tirò sullo spigolo esterno del palo: la palla schizzò via senza obbligarlo a cogliere il rimpallo: la gente urlò di disappunto per la dannata sfortuna del suo asso e Viani si conquistò la gratitudine eterna del principe presidente. Seguendo questi esempi insigni, Gino Cappello non poteva non incappare in qualche disgrazia, una volta o l'altra: infatti finì di giocare sotto una squalifica a vita*. Ma i giocatori bravi come lui pochi ne sono nati e pochi ne nasceranno, ahimè, nel nostro calcio avventurato. Gianni Brera.
*Nota: Gino Cappello non fu squalificato a vita, ma solo per un anno, nel 1952-53. Tornò infatti a giocare regolarmente in serie A nel Bologna l'anno successivo, con tanto di convocazione in Nazionale ai Mondiali del 1954 in Svizzera. Solo in seguito, al termine della sua carriera di calciatore, come dirigente del Genoa, fu squalificato a vita per tentata corruzione.
GINO CAPPELLO GENIO DEL CALCIO
Da: "60 anni di eroi, 30 grandi del Bologna del dopoguerra".
Di Giorgio Montebugnoli.
Il padovano Gino Cappello (1920-1990) arrivò a Bologna nel 1945, in cambio dell'uruguaiano Héctor (Ettore) Puricelli, detto "Testina d'oro", che per vari motivi, anche politici, a Bologna non poteva restare. Cappello rimase in rossoblù sino al '56 e concluse la sua lunga carriera con un biennio a Novara in Serie B e qualche partita nella squadra dei tranvieri di Bologna negli ultimi scampoli degli anni '50. Gino era un uomo mite, molto alto e robusto, l'inflessione veneta nella cadenza ne ingentiliva la stazza imponente (1,84 per oltre 80 kg). Fatte le debite proporzioni, c'è chi (l'illustre Sandro Ciotti) l'ha paragonato all'olandese Johan Cruijff come tipo di gioco: punta e rifinitore, regista (quei lanci a Pivatelli, a Bonafin, a Mike ... ) e finalizzatore. Memorabile, in questo senso, un'azione personale che lo portò - in un Fiorentina-Bologna 1-3 - a dribblare l'intera difesa viola, che, tra l'altro, era anche la difesa della Nazionale. Non era continuo, il nostro e lui stesso mi disse che non era per mancanza di volontà ma a causa di una congenita incapacità di restare concentrato per 90 minuti. «Ogni tanto il mio fisico o la mia testa o entrambi avevano bisogno di staccare la spina» rispose a una mia precisa domanda. Disputò due Mondiali, Brasile '50 Svizzera '54. Il primo si giocò l'anno successivo alla tragedia di Superga, dalla quale nacque la psicosi dell' aereo che portò la spedizione azzurra in Sud America via nave, con i giocatori che si allenavano sul ponte e miriadi di palloni che finivano nell'oceano; oggi una cosa inconcepibile. Possiamo immaginare in quale condizione arrivarono a destinazione gli azzurri, non a caso subito eliminati dalla Svezia di Skoglund e di Jeppson. Il Mondiale successivo (vinto a sorpresa dalla Germania Ovest sulla strafavorita Ungheria del Colonnello Puskas) Cappello lo giocò 34enne, chiamato in Nazionale a furor di popolo dopo il suo più bel campionato in rossoblù, chiuso con 12 gol in 34 partite. Nel Bologna le sue presenze totali furono 245 e 80 le reti realizzate, tutte in Serie A. Prima di quello straordinario torneo che lo avrebbe riportato in Nazionale, Cappello era stato squalificato per una stagione (in un primo tempo era stata richiesta la radiazione) a causa di un "incidente" risalente all'estate '52 quando, durante il cosiddetto "Palio Petroniano", nel quale molti bar di quartiere (tra cui il famoso Bar Otello) si disputavano la supremazia cittadina schierando, spesso sotto falso nome, campioni di Serie A, l'attaccante padovano avrebbe spintonato l'arbitro, tale Palmieri, provocando un mezzo pandemonio sfociato in un duplice processo, sportivo e penale, in seguito alla denuncia sporta dallo stesso direttore di gara. Ma il presidente del Bologna, Commendator Dall'Ara, contava parecchio a livello federale e in Lega e così la squalifica fu ridotta.
Cappello gol a Bacigalupo
Dopo quell'anno di riposo forzato, Cappello si ripresentò "ringiovanito", riposato e, soprattutto, molto motivato all'allenatore del Bologna, lo Sceriffo di Nervesa, Gipo Viani. In quel Bologna che terminò al 6° posto il campionato (oggi avrebbe conquistato la partecipazione alla Coppa UEFA), Viani aveva lanciato tanti giovani interessanti, tutti veneti come lui e Cappello: Gino Pivatelli e il duo dai capelli color fiamma Giulio Bonafin e Giorgio Valentinuzzi. Gino segnava e faceva segnare, dettava i tempi, avviava il contropiede e i tre ragazzi venivano valorizzati dall'intelligenza e dallo scibile calcistico del Maestro che giocava loro accanto. Il padovano, forte di testa, era formidabile anche sui calci piazzati, celebre un suo gol, con palla ad effetto, al portiere granata Bacigalupo nel novembre '47. Insomma, in termini di tecnica e di tattica calcistiche, Cappello non era secondo a nesssuno. Era un uomo timido, molto educato e imparai ad apprezzarlo parlando con lui parecchie volte nella tabaccheria che gestì per quasi trent'anni anni in via Castiglione, insieme con la moglie Iva, il cognato Luigi e, più tardi, il figlio Stefano. Fino agli ultimi tempi, prima di ammalarsi gravemente, frequentò spesso lo stadio, in compagnia di un ex compagno di squadra in rossoblù, il portiere Glauco Vanz, a fare il tifo per il Bologna. Un grandissimo giocatore che avrebbe ben figurato in qualsiasi grandissima squadra e che a tutt'oggi gli ex atleti della sua generazione ricordano come un autentico fuoriclasse spesso vittima del suo stesso carattere.
Cappello gol a Bacigalupo
Dopo quell'anno di riposo forzato, Cappello si ripresentò "ringiovanito", riposato e, soprattutto, molto motivato all'allenatore del Bologna, lo Sceriffo di Nervesa, Gipo Viani. In quel Bologna che terminò al 6° posto il campionato (oggi avrebbe conquistato la partecipazione alla Coppa UEFA), Viani aveva lanciato tanti giovani interessanti, tutti veneti come lui e Cappello: Gino Pivatelli e il duo dai capelli color fiamma Giulio Bonafin e Giorgio Valentinuzzi. Gino segnava e faceva segnare, dettava i tempi, avviava il contropiede e i tre ragazzi venivano valorizzati dall'intelligenza e dallo scibile calcistico del Maestro che giocava loro accanto. Il padovano, forte di testa, era formidabile anche sui calci piazzati, celebre un suo gol, con palla ad effetto, al portiere granata Bacigalupo nel novembre '47. Insomma, in termini di tecnica e di tattica calcistiche, Cappello non era secondo a nesssuno. Era un uomo timido, molto educato e imparai ad apprezzarlo parlando con lui parecchie volte nella tabaccheria che gestì per quasi trent'anni anni in via Castiglione, insieme con la moglie Iva, il cognato Luigi e, più tardi, il figlio Stefano. Fino agli ultimi tempi, prima di ammalarsi gravemente, frequentò spesso lo stadio, in compagnia di un ex compagno di squadra in rossoblù, il portiere Glauco Vanz, a fare il tifo per il Bologna. Un grandissimo giocatore che avrebbe ben figurato in qualsiasi grandissima squadra e che a tutt'oggi gli ex atleti della sua generazione ricordano come un autentico fuoriclasse spesso vittima del suo stesso carattere.
Gino Cappello, un grande rossoblù.
A quasi un mese dalla morte di Cappello, ricordiamo questo grande campione che con la maglia del Bologna ha disputato ben 259 partite e 101 gol tra campionato e coppe.
Un grande che non verrà dimenticato.
Di ALFEO BIAGI
Ero molto amico di Gino Cappello. Lo conobbi nel lontano 1945 quando, dopo tre stagioni nel Milan (27 gol, tanto per gradire ... ) il padovano approdò al Bologna, nel cambio con Ettorazzo Puricelli. Nel Padova prima, nel Milan poi, Cappello aveva giocato con un bolognese puro sangue, Amedeo Degli Esposti, detto "Tom Mix", il reuccio del rione "Cirenaica" dove, sciaguratamente, anch'io avevo cercato di praticare il nobile gioco del calcio. Così, quando andai ad intervistare Cappello, finimmo per parlare molto di "Tom Mix": e fummo subito amici. Cappello era strano e difficile da capire anche lontano dal campo: oggi allegro, estroverso, brillantissimo; domani chiuso e silenzioso, avvolto in chissà quali pensieri. Ma quando la luna girava per il verso giusto, era un giocatore immenso. Fuorchè sul campo del Padova. All"Appiani", Gino si bloccava prima di entrare sul terreno di gioco. Svagato, assente, un fantasma. Non riusciva a vincere il complesso della sua città, del campetto dove aveva tirato i primi calci, dove aveva raccolto i primi applausi. E, dopo, mi diceva sempre: "Oggi ho giocato male, vero? Ma mi dici con che faccia avrei guardato negli occhi i padovani se mi fosse scappato di segnare un gol?". E di segnare dei gol, gli scapppava molto spesso.
Cappello fa impazzire l'Inghilterra a San Siro
In un Bologna piuttosto squinternato, brillava di luce vivida. Un fuoriclasse. Potente, tecnico, in anticipo sui tempi tatticamente. Pochi come lui nel dopoguerra. Ricordo il suo capolavoro, la partita più bella. È il 10 magggio del 1950, Cappello (anni 30...) viene inopinatamente inserito nella Nazionale B che, a San Siro, deve battersi con la spocchiosa Inghilterra. La prima linea azzurra schiera Burini, Boniperti, Cappello, Lorenzi, Caprile. Gino si scatena, sbriciola il suo avversario diretto, il famoso Crossland (John Crosland, difensore del Blackpool FC dal 1946 al 1954, n.d.R.) infila per due volte Middleton il portiere britannico. Due reti, su assist di Gino, le segna anche Boniperti, chiude la cinquina Burini. E tutti impazziscono per questo Gino Cappello che, a furor di popolo, viene spedito in fretta e furia in Brasile, per il mondiale del 1950. A San Paolo, contro la Svezia di Jeppson e Skoglund, Cappello non tocca palla, all'infuori di un bolide scagliato verso la rete di Svensson da Boniperti ... e deviato da Gino con le parti molli. Al rientro a Bologna, Cappello mi disse: "Sai, io non riesco a ricordare bene se in Brasile ho giocato, oppure no. Ho la testa tanto confusa". Cappello torna in Nazionale il 20 giugno del '54, mondiali svizzeri, e contribuisce a battere il Belgio per 4 a 1. Poi Czeizler, il CT, lo lascia fuori a Basilea e la Svizzera fa fuori l'Italia per 4 a 1. Gino, il giorno dopo, tornando in Italia, mi dice: "Se giocavo io, quelli là li avremmo fatti a pezzetti. Perchè il più forte sono io". Fu la prima, ed ultima volta, che sentii Gino parlare bene di se stesso. Come giocava Cappello? Come un dio. lo l'ho sempre paragonato a Cruijff: stessa figura atletica; stesso palleggio; stessa potenza e precisione di tiro. Perchè Gino è stato un fuoriclasse mondiale, nei momenti bui del Bologna degli anni cinquanta, ha più volte salvato, da solo, i rossoblù dalla retrocessione. Al Bologna ha regalato 245 partite e 80 gol. Ottanta gol chiamati "salvezza". Grazie, Gino.
Cappello fa impazzire l'Inghilterra a San Siro
In un Bologna piuttosto squinternato, brillava di luce vivida. Un fuoriclasse. Potente, tecnico, in anticipo sui tempi tatticamente. Pochi come lui nel dopoguerra. Ricordo il suo capolavoro, la partita più bella. È il 10 magggio del 1950, Cappello (anni 30...) viene inopinatamente inserito nella Nazionale B che, a San Siro, deve battersi con la spocchiosa Inghilterra. La prima linea azzurra schiera Burini, Boniperti, Cappello, Lorenzi, Caprile. Gino si scatena, sbriciola il suo avversario diretto, il famoso Crossland (John Crosland, difensore del Blackpool FC dal 1946 al 1954, n.d.R.) infila per due volte Middleton il portiere britannico. Due reti, su assist di Gino, le segna anche Boniperti, chiude la cinquina Burini. E tutti impazziscono per questo Gino Cappello che, a furor di popolo, viene spedito in fretta e furia in Brasile, per il mondiale del 1950. A San Paolo, contro la Svezia di Jeppson e Skoglund, Cappello non tocca palla, all'infuori di un bolide scagliato verso la rete di Svensson da Boniperti ... e deviato da Gino con le parti molli. Al rientro a Bologna, Cappello mi disse: "Sai, io non riesco a ricordare bene se in Brasile ho giocato, oppure no. Ho la testa tanto confusa". Cappello torna in Nazionale il 20 giugno del '54, mondiali svizzeri, e contribuisce a battere il Belgio per 4 a 1. Poi Czeizler, il CT, lo lascia fuori a Basilea e la Svizzera fa fuori l'Italia per 4 a 1. Gino, il giorno dopo, tornando in Italia, mi dice: "Se giocavo io, quelli là li avremmo fatti a pezzetti. Perchè il più forte sono io". Fu la prima, ed ultima volta, che sentii Gino parlare bene di se stesso. Come giocava Cappello? Come un dio. lo l'ho sempre paragonato a Cruijff: stessa figura atletica; stesso palleggio; stessa potenza e precisione di tiro. Perchè Gino è stato un fuoriclasse mondiale, nei momenti bui del Bologna degli anni cinquanta, ha più volte salvato, da solo, i rossoblù dalla retrocessione. Al Bologna ha regalato 245 partite e 80 gol. Ottanta gol chiamati "salvezza". Grazie, Gino.
CAPPELLO, formidabile talento naturale.
Il centravanti a corrente alternata.
Di Gianfranco Civolani.
Una vampata. Si acccendeva d'improvviso e quasi si muoveva secondo impulsi elettrici. Aveva un naso più smisurato di quello di Cleopatra e una vocetta da educanda. Veniva da Padova, classe 1920, aveva già discretamente furoreggiato nel Milan d'anteguerra accanto a Boffi e Meazza. Dall'Ara lo aveva ingaggiato nel '45 senza nemmeno spendere tanto. Gino Cappello non poteva cambiar pelle. Lunatico e stralunato al tempo stesso, ma capace di mettere insieme cinque minuti di fuoco. Dribbling imperscrutabile, progressione vincente e anche un tiraccio niente male. Giocava centravanti, era giunto a Bologna quando stava nel cosiddetto fiore degli anni. Ma gli toccava giocare in un Bolognaccio da zone basse, e meno male che alla fine degli Anni '50 l'avvento di Cesarino Cervellati, insieme a qualche altro elemento di un certo spessore, gli avevano consentito di esprimersi come le sue preclare virtù reclamavano. Nel maggio del '49 il grande Torino si era polverizzato sul colle di Superga. E allora, in azzurrro, sotto con le seconde linee e dunque sotto anche con Gino Cappello. Ma era sempre la solita storia. Un memorabile match con l'Inghilterra, una sublime replica con l' Austria, qualche "stecca" in ordine sparso, poi quei mondiali di Svizzera che avevano finito per mortificare un po' tutti. In tutto, 11 presenze in Nazionale e tre gol. Gino Cappello, negli ultimi anni della sua lunga carriera, era riuscito a spendersi, e a spandersi assai più di prima. Ma aveva pure combinato un guaio grosso. In una partituccia di scarso rilievo (si giocava il Palio petroniano) aveva preso a spintoni e a calcioni un arbitro e ovviamente era stato squalificato a vita. Ma, sull'onda di una campagna di stampa tutta a suo favore, era poi riapparso all'onor del mondo dopo un anno di sosta e facendo balenare le ultime scintille di una milizia per tanti versi da album dei ricordi: 245 partite giocò col Bologna condendole con 80 gol.
Un superasso
Poi aveva concluso a Novara e in altri piccoli club, e a un certo punto si era lasciato invischiare in un brutto affare di partite arrangiate, un affare al quale, per la verità, si è sempre dichiarato estraneo, e per il quale comunque si era buscato un altro "ergastolo". Gino Cappello non si sarebbe più mosso da Bologna. Giochicchiava a livello amatoriale, e con una passione a lui sconosciuta negli anni della scapigliatura. È scomparso il 28 marzo 1990 colpito dal morbo di Alzheimer. È stato, probabilmente, uno dei giocatori più ricchi di talento che mai il Bologna abbia avuto. Un satanasso, un superasso, un rifinitore e finalizzatore, un uomo dotato di tanto estro creativo in campo, quanto permeato di una certa apatia di fondo, quando il personaggio pubblico rinculava nel privato. Gino Cappello giocò a Bologna negli anni cupi e anche un po' calamitosi. Qualche salvezza arraffata allo spasimo, l'amarezza di dover dividere i tanti oneri e i pochi onori con gente che non gli arrivava nemmeno alla cintola. E la consapevolezza di aver raccolto, a causa di quel maledetto carattere, quasi nulla in rapporto alle potenzialità del campione che era. Dedicato agli over cinquanta: ripensando a quel lievitare di sogni e di speranze in un dopoguerra che preludeva al boom, mi torna a ballare davanti agli occhi la sagoma inconfondibile di questo splendido airone, che è stato davvero croce e delizia per chi lo attendeva sempre lassù e quaggiù, con quel volare alto, con quel volare basso.
GIU’ IL CAPPELLO PER GINO.
Un superasso
Poi aveva concluso a Novara e in altri piccoli club, e a un certo punto si era lasciato invischiare in un brutto affare di partite arrangiate, un affare al quale, per la verità, si è sempre dichiarato estraneo, e per il quale comunque si era buscato un altro "ergastolo". Gino Cappello non si sarebbe più mosso da Bologna. Giochicchiava a livello amatoriale, e con una passione a lui sconosciuta negli anni della scapigliatura. È scomparso il 28 marzo 1990 colpito dal morbo di Alzheimer. È stato, probabilmente, uno dei giocatori più ricchi di talento che mai il Bologna abbia avuto. Un satanasso, un superasso, un rifinitore e finalizzatore, un uomo dotato di tanto estro creativo in campo, quanto permeato di una certa apatia di fondo, quando il personaggio pubblico rinculava nel privato. Gino Cappello giocò a Bologna negli anni cupi e anche un po' calamitosi. Qualche salvezza arraffata allo spasimo, l'amarezza di dover dividere i tanti oneri e i pochi onori con gente che non gli arrivava nemmeno alla cintola. E la consapevolezza di aver raccolto, a causa di quel maledetto carattere, quasi nulla in rapporto alle potenzialità del campione che era. Dedicato agli over cinquanta: ripensando a quel lievitare di sogni e di speranze in un dopoguerra che preludeva al boom, mi torna a ballare davanti agli occhi la sagoma inconfondibile di questo splendido airone, che è stato davvero croce e delizia per chi lo attendeva sempre lassù e quaggiù, con quel volare alto, con quel volare basso.
GIU’ IL CAPPELLO PER GINO.
di Pierangelo Rubin.
Da: "Comitato Gigi Meroni".
Ne ha visti di giocatori il vecchio Nils Liedholm, detto il Barone. Ne ha visti di fuoriclasse, ci ha giocato insieme e contro, li ha anche allenati. Restando dentro i confini nazionali pensiamo a Rivera, a Conti, a Di Bartolomei, ma anche a Baresi e Paolo Rossi. Eppure nessuno di questi splendidi giocatori ha fatto mai dimenticare nella mente aristocratica svedese Gino Cappello. Nacque a Padova nel 1920, iniziò con la squadra della sua città, vi giocò due anni in serie B quando lui di anni ne aveva ancora 18. Il secondo anno fu letteralmente devastante 28 presenze e 29 reti. Approdò al Milan dove Boffi faceva impazzire i tifosi e dove c’ era anche il grande Meazza. Tre anni giocati con l’angoscia dentro per un regime che imperseverava e una guerra che incombeva. Dopo la guerra il Milan lo cedette al Bologna per "Testina d’oro" Puricelli. 11 anni in rossoblu, 11 anni da protagonista, nel bene (80 reti in tutto, fra i primi 10 cannonieri rossoblù di sempre) e nel male, dopo vedremo come. Chiude nel Novara il patavino dove gioca per due anni, in serie B. Detta così non pare proprio che Cappello sia stato un personaggio degno di nota o il miglior italiano di tutti i tempi, come sentenziò Liedholm. Ma la vita e la storia di un uomo prescindono numeri e statistiche, di cui per altro sono particolarmente ghiotto. Il fatto è che Cappello era un lunatico al limite della perversione. Talmente lunatico da sconfinare nell’ autolesionismo. Un autolesionismo troppo marcato per essere solo sincero. Aveva una tecnica sopraffina e un fisico incredibile che gli permettevano di giocare da centravanti di sfondamento ma anche da mezzala, di toccare il pallone con infinita estasi, di dribblare con un movimento d’anca mortifero per gli avversari, di pennellare assist illuminanti, di battere le punizioni a "foglia morta" quando Corso era ancora in fasce. Ma spesso e volentieri di sbattersi in campo e di uscire dal rettangolo verde con la lingua a penzoloni non ne aveva proprio voglia. Irritante, apatico, assente quando non era in giornata, autentica forza della natura quando se la sentiva. E il guaio era che nemmeno lui sapeva quando era in giornata. Da mettersi le mani nei capelli.
Croce e delizia
Se poi aggiungiamo a questo suo essere ondivago al limite fra la grazia divina e lo storpio reduce di guerra il suo caratteraccio, abbiamo veramente da che preoccuparci. Il buon Gino, a guardar la sua storia a 16 anni dalla morte, ci pare anche un uomo capace di mettersi nei guai anche senza il suo essere svogliato in campo. Nell’estate del 1952 giocava per il Bologna un torneo estivo quando aggredì l’arbitro Palmieri. Squalifica a vita poi commutata in un anno di stop, il periodo nero sotto le Due Torri di cui abbiamo accennato sopra. Verso la fine della carriera è stato poi coinvolto in uno scandalo di partite truccate. Il suo nome venne fatto da un compagno. Inutile dire che in entrambe le occasioni Cappello si è sempre proclamato innocente. Con la maglia azzurra 11 presenze e tre reti, parteciperà ai Mondiali del 1950 e del 1954 senza mai segnare. Esordì in nazionale il 22 maggio del 1949, la prima partita azzurra senza il Grande Torino quando aveva 29 anni, e questo ci fa capire quanto, anche allora, fosse considerato inaffidabile. Eppure lui in una partita di Nazionale B contro i maestri inglesi lasciò i giornalisti d’Oltremanica a bocca aperta, da solo aveva demolito il loro squadrone. Insomma croce e delizia, olio santo e pan bagnato. Adalberto Bortolotti, a cui ho fatto un intervista, andate a cercarla nell’ archivio, scrisse di lui "Gino Cappello era un autentico genio del calcio, dotato da madre natura di tutte le qualità per risultare un fuoriclasse epocale. Le sfruttò al quaranta per cento, a essere larghi".
DIMENTICATE A SAN SIRO LE OMBRE DI LONDRA
In un entusiasmante incontro a Milano l'Italia B batte l'Inghilterra B: 5-0
di Vittorio Pozzo
(Dal nostro inviato speciale) Milano, 11 maggio. Battere la squadra che l'Inghilterra ci ha mandato in quest'occasione sotto il nome di squadra B è stato per i cadetti d'Italia la cosa più facile di questo mondo. Cinque reti a zero parlano di per sè, ma non dicono abbastanza. Tendendo un po' di più l'arco delle loro forze e facendo uso di maggior precisione nel tiro in porta gli italiani avrebbero potuto con facilità arrotondare maggiormente il bottino. Praticamente non c'è stata opposizione al loro successo. Prima ancora che Cappello aprisse la serie del punti, già era apparso chiaro ed evidente a quale dei due contendenti sarebbe spettata la vittoria. A parte il fatto che già in due occasioni gli attaccanti italiani s'erano presentati tutti soli e liberi davanti al portiere Middleton e che questi s'era salvato dalla capitolazione solo gettandosi loro disperatamente nei piedi, gli inglesi davano prova di una lentezza impressionante in ogni loro movimento. Si muovevano sul campo senza prontezza di riflessi, impacciati, incerti in tutto quello che facevano o che tentavano di fare, arrivavano regolarmente in ritardo sull'avversario in ogni duello per la palla. Gli italiani passavano loro accanto o guizzavano attraverso le loro file cosi lestamente da trovarsi sempre in vantaggio sia nelle azioni offensive come in quelle difensive. Dopo ventidue minuti di gioco, in cui il reparto arretrato azzurro non aveva avuto il minimo problema intricato da risolvere, Cappello filava via sulla destra, resisteva alla carica di Watson, nel senso che l'avversario perdeva l'equilibrio mentre lui rimaneva in piedi, entrava in area e faceva partire dal suo piede destro una tremenda legnata: la palla andava a insaccarsi nel lontano angolo alto della rete sulla destra del portiere. Passavano sei minuti e il padovano tornava a sfondare questa volta sulla sinistra e questa volta colpendo con il suo tiro la sbarra trasversale. Sul rimbalzo,. dopo un tocco di un italiano, entrava improvvisamente Boniperti che segnava con una mezza rovesciata. Nella mischia Middleton si feriva alla testa urtando contro Boniperti stesso, e si seppe in seguito che aveva riportato una contusione da menomargli notevolmente la prontezza dei riflessi. L'Inghilterra, non avendo altro portiere a disposizione, tirava avanti senza cambiamenti, e dopo altri cinque minuti l'Italia segnava per la terza volta. Era Burini che, ricevuto un passaggio dalla destra, compariva tutto solo davanti a rete, e da pochi passi non aveva difficoltà, a sospingere in rete. Tutto questo, con semplicità, come cosa facile. Non era che qualche istante prima della fine che Casari veniva chiamato a una parata 'impegnativa su un tentativo del centravanti Pye. Al minuto finale di questo primo tempo le due teste di Remondini e di Lewis venivano aspramente a contatto e il centromediano italiano usciva dall'urto con una larga ferita alla fronte. Se qualche dubbio poteva ancora sussistere sul risultato o se qualche speranza ancora si poteva nutrire per una più onorevole esibizione da parte degli ospiti i primi minuti della ripresa si incaricavano subito di fugare l'uno e l'altra. Al terzo minuto dal nuovo inizio delle ostilità Cappello scattava nuovamente avanti, lanciato da un passaggio in profondità di Magli. Duello a spalla a spalla con Crosland, in cui il centromediano britannico ha la peggio. Tiro violento, a breve altezza da terra: la palla va a colpire il lontano montante sulla sinistra del portiere e di lì rimbalza inesorabilmente in rete. E quattro. Passavano due minuti e, su una rimessa laterale, Lorenzi allungava la palla verso il centro: su di essa piombava come una catapulta Boniperti e il secco tiro basso che ne risultò non dava mercè a Middleton. E cinque. E basta, bisogna anche dire, come punteggio. Basta, un po' perchè gli italiani rallentano alquanto il ritmo delle loro azioni, un po' perchè i loro tiri perdono di precisione, un po' perchè gli inglesi giocano una sfumatura meglio. Casari viene chiamato a toccare due volte la palla, una per un rinvio col piede su una incursione di Pye. Remondini deve lasciare ogni tanto il campo per farsi medicare della ferita che s'apre ad ogni colpo di testa. E l'incontro termina su un paio di tentativi individuali di Lorenzi che il portiere neutralizza. Per chi non conosce la mentalità del giocatore inglese, vi è da trasecolare. Che in squadra v'erano elementi dell Arsenal, del Liverpool, del Tottenham e di altre unità di grido. V'è che il professionista inglese, quando nessun stimolo particolare lo sospinge, smobilita spiritualmente, fisicamente, tecnicamente, non appena la stagione — la sua stagione — è finita. Lo spirito suo, principalmente, è quello che si allontana dal gioco con immediatezza. Per questa ragione, di batoste del tipo di quella di Milano ne ha già prese parecchie andando in giro per il mondo a maggio o a giugno. Ieri fu battuto in velocità: velocità di pensare e velocità di agire, e questa fu la causa più impressionante della sua sconfitta. Ma altre ve ne sono che hanno solenne importanza, quando si ricorda che l'attacco degli ospiti non ha saputo inscenare una sola avanzata degna di menzione, che non ha sferrato un solo tiro meritevole di successo, che l'intera squadra si è trovata in difficoltà nel controllo del pallone, del gioco di testa, nell'intesa fra uomo e uomo, in tutto. No, quello non era il gioco inglese. Quanto abbiamo visto non ne è stato che una pallida imitazione. Se non vi fosse l'incertezza di questa base di giudizio che dà a pensare, bisognerebbe portare sugli scudi quasi tutti componenti della squadra italiana che ha ottenuto questo cinque a zero. In velocità, bisogna dire che si sono portati bene tutti. Tecnicamente occorre aggiungere che la prova di Boniperti, di Cappello, di Magli, di Caprile è stata egregia, che il primo tempo di Fattori merita rilievo, che Antonazzi, Furiassi e Remondini sono stati all'altezza della situazione. Come già a Como contro gli svizzeri, è risultato in questa prova che la nostra squadra B possiede maggior freschezza e miglior senso d'intraprendenza della sua consorella maggiore. Sulla prova di ieri — presa a sè cioè questa, senza studio delle circostanze — vi sarebbe da prelevarla quasi al completo e portarla a Rio. 11 maggio 1950 - Italia - Inghilterra 5-0 [3-0], Stadio San Siro, Milano (45,000). ITALIA B: Casari; Antonazzi, Furiassi; Fattori, Remondini, Magli; Burini, Boniperti, Cappello, Lorenzi, Caprile. INGHILTERRA : R.Middleton, Laurie Scott, Bill Eckersley, Bill Nicholson, J.Crosland, Willie Watson, J.Payne, R.Lewis, Jesse Pye, Eddie Baily, Bobby Langton. ARBITRO.: Josef Schürch (Svizzera); Guardialinee: Guidi e Polli (Svizzera). RETI: Cappello 22', Boniperti 29', Burini 35' del 1.o tempo; Cappello al 3', e Boniperti al 6' della ripresa. SPETTATORI : 45 mila. Incasso 25 milioni circa.
Croce e delizia
DIMENTICATE A SAN SIRO LE OMBRE DI LONDRA
In un entusiasmante incontro a Milano l'Italia B batte l'Inghilterra B: 5-0
di Vittorio Pozzo
(Dal nostro inviato speciale) Milano, 11 maggio. Battere la squadra che l'Inghilterra ci ha mandato in quest'occasione sotto il nome di squadra B è stato per i cadetti d'Italia la cosa più facile di questo mondo. Cinque reti a zero parlano di per sè, ma non dicono abbastanza. Tendendo un po' di più l'arco delle loro forze e facendo uso di maggior precisione nel tiro in porta gli italiani avrebbero potuto con facilità arrotondare maggiormente il bottino. Praticamente non c'è stata opposizione al loro successo. Prima ancora che Cappello aprisse la serie del punti, già era apparso chiaro ed evidente a quale dei due contendenti sarebbe spettata la vittoria. A parte il fatto che già in due occasioni gli attaccanti italiani s'erano presentati tutti soli e liberi davanti al portiere Middleton e che questi s'era salvato dalla capitolazione solo gettandosi loro disperatamente nei piedi, gli inglesi davano prova di una lentezza impressionante in ogni loro movimento. Si muovevano sul campo senza prontezza di riflessi, impacciati, incerti in tutto quello che facevano o che tentavano di fare, arrivavano regolarmente in ritardo sull'avversario in ogni duello per la palla. Gli italiani passavano loro accanto o guizzavano attraverso le loro file cosi lestamente da trovarsi sempre in vantaggio sia nelle azioni offensive come in quelle difensive. Dopo ventidue minuti di gioco, in cui il reparto arretrato azzurro non aveva avuto il minimo problema intricato da risolvere, Cappello filava via sulla destra, resisteva alla carica di Watson, nel senso che l'avversario perdeva l'equilibrio mentre lui rimaneva in piedi, entrava in area e faceva partire dal suo piede destro una tremenda legnata: la palla andava a insaccarsi nel lontano angolo alto della rete sulla destra del portiere. Passavano sei minuti e il padovano tornava a sfondare questa volta sulla sinistra e questa volta colpendo con il suo tiro la sbarra trasversale. Sul rimbalzo,. dopo un tocco di un italiano, entrava improvvisamente Boniperti che segnava con una mezza rovesciata. Nella mischia Middleton si feriva alla testa urtando contro Boniperti stesso, e si seppe in seguito che aveva riportato una contusione da menomargli notevolmente la prontezza dei riflessi. L'Inghilterra, non avendo altro portiere a disposizione, tirava avanti senza cambiamenti, e dopo altri cinque minuti l'Italia segnava per la terza volta. Era Burini che, ricevuto un passaggio dalla destra, compariva tutto solo davanti a rete, e da pochi passi non aveva difficoltà, a sospingere in rete. Tutto questo, con semplicità, come cosa facile. Non era che qualche istante prima della fine che Casari veniva chiamato a una parata 'impegnativa su un tentativo del centravanti Pye. Al minuto finale di questo primo tempo le due teste di Remondini e di Lewis venivano aspramente a contatto e il centromediano italiano usciva dall'urto con una larga ferita alla fronte. Se qualche dubbio poteva ancora sussistere sul risultato o se qualche speranza ancora si poteva nutrire per una più onorevole esibizione da parte degli ospiti i primi minuti della ripresa si incaricavano subito di fugare l'uno e l'altra. Al terzo minuto dal nuovo inizio delle ostilità Cappello scattava nuovamente avanti, lanciato da un passaggio in profondità di Magli. Duello a spalla a spalla con Crosland, in cui il centromediano britannico ha la peggio. Tiro violento, a breve altezza da terra: la palla va a colpire il lontano montante sulla sinistra del portiere e di lì rimbalza inesorabilmente in rete. E quattro. Passavano due minuti e, su una rimessa laterale, Lorenzi allungava la palla verso il centro: su di essa piombava come una catapulta Boniperti e il secco tiro basso che ne risultò non dava mercè a Middleton. E cinque. E basta, bisogna anche dire, come punteggio. Basta, un po' perchè gli italiani rallentano alquanto il ritmo delle loro azioni, un po' perchè i loro tiri perdono di precisione, un po' perchè gli inglesi giocano una sfumatura meglio. Casari viene chiamato a toccare due volte la palla, una per un rinvio col piede su una incursione di Pye. Remondini deve lasciare ogni tanto il campo per farsi medicare della ferita che s'apre ad ogni colpo di testa. E l'incontro termina su un paio di tentativi individuali di Lorenzi che il portiere neutralizza. Per chi non conosce la mentalità del giocatore inglese, vi è da trasecolare. Che in squadra v'erano elementi dell Arsenal, del Liverpool, del Tottenham e di altre unità di grido. V'è che il professionista inglese, quando nessun stimolo particolare lo sospinge, smobilita spiritualmente, fisicamente, tecnicamente, non appena la stagione — la sua stagione — è finita. Lo spirito suo, principalmente, è quello che si allontana dal gioco con immediatezza. Per questa ragione, di batoste del tipo di quella di Milano ne ha già prese parecchie andando in giro per il mondo a maggio o a giugno. Ieri fu battuto in velocità: velocità di pensare e velocità di agire, e questa fu la causa più impressionante della sua sconfitta. Ma altre ve ne sono che hanno solenne importanza, quando si ricorda che l'attacco degli ospiti non ha saputo inscenare una sola avanzata degna di menzione, che non ha sferrato un solo tiro meritevole di successo, che l'intera squadra si è trovata in difficoltà nel controllo del pallone, del gioco di testa, nell'intesa fra uomo e uomo, in tutto. No, quello non era il gioco inglese. Quanto abbiamo visto non ne è stato che una pallida imitazione. Se non vi fosse l'incertezza di questa base di giudizio che dà a pensare, bisognerebbe portare sugli scudi quasi tutti componenti della squadra italiana che ha ottenuto questo cinque a zero. In velocità, bisogna dire che si sono portati bene tutti. Tecnicamente occorre aggiungere che la prova di Boniperti, di Cappello, di Magli, di Caprile è stata egregia, che il primo tempo di Fattori merita rilievo, che Antonazzi, Furiassi e Remondini sono stati all'altezza della situazione. Come già a Como contro gli svizzeri, è risultato in questa prova che la nostra squadra B possiede maggior freschezza e miglior senso d'intraprendenza della sua consorella maggiore. Sulla prova di ieri — presa a sè cioè questa, senza studio delle circostanze — vi sarebbe da prelevarla quasi al completo e portarla a Rio. 11 maggio 1950 - Italia - Inghilterra 5-0 [3-0], Stadio San Siro, Milano (45,000). ITALIA B: Casari; Antonazzi, Furiassi; Fattori, Remondini, Magli; Burini, Boniperti, Cappello, Lorenzi, Caprile. INGHILTERRA : R.Middleton, Laurie Scott, Bill Eckersley, Bill Nicholson, J.Crosland, Willie Watson, J.Payne, R.Lewis, Jesse Pye, Eddie Baily, Bobby Langton. ARBITRO.: Josef Schürch (Svizzera); Guardialinee: Guidi e Polli (Svizzera). RETI: Cappello 22', Boniperti 29', Burini 35' del 1.o tempo; Cappello al 3', e Boniperti al 6' della ripresa. SPETTATORI : 45 mila. Incasso 25 milioni circa.
Stagione
|
Squadra
|
Campionato
|
Coppe
naz.
|
Coppe
euro.
|
Altre
coppe
|
Totale
|
||||||||||
Com | Pres | Reti | Com | Pres | Reti | Com | Pres | Reti | Com | Pres | Reti |
Pres
|
Reti
|
|||
1945-1946
|
Bologna
|
DN
|
18
|
5
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
CAI
|
13
|
21
|
31
|
26
|
|
1946-1947
|
Bologna
|
A
|
30
|
9
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
30
|
9
|
|
1947-1948
|
Bologna
|
A
|
24
|
8
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
24
|
8
|
|
1948-1949
|
Bologna
|
A
|
34
|
8
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
34
|
8
|
|
1949-1950
|
Bologna
|
A
|
26
|
10
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
26
|
10
|
|
1950-1951
|
Bologna
|
A
|
32 |
16
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
32
|
16
|
|
1951-1952
|
Bologna
|
A
|
31
|
8
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
31
|
8
|
|
1953-1954
|
Bologna
|
A
|
34
|
12
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
34
|
12
|
|
1954-1955
|
Bologna
|
A
|
5
|
2
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
CM
|
2
|
0
|
7
|
2
|
|
1955-1956
|
Bologna
|
A
|
11
|
2
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
-
|
11
|
2
|
|
245
|
80
|
-
|
-
|
-
|
-
|
15
|
21
|
260
|
101
|
|||||||
Legenda:
DN
– Divisione Nazionale (massima serie)
A
–
Serie
A
CM
– Coppa Mitropa
CAI
–
Coppa
Alta Italia
|
Gino
Cappello (IV)
(Padova,
2
giugno 1920
– Bologna, 28
marzo 1990).
260
presenze nel Bologna tra DN, Serie
A, Coppa Mitropa e Coppa Alta Italia, con 101 reti totali;
dall'esordio, 14
ottobre 1945
(Bologna - Modena
2-2),
all'ultima
partita giocata in rosso-blu,
5
febbraio
1956
(Genoa – Bologna 2-1).
Per dieci
campionati
superbo
centravanti
tutto
estro, di
manovra, capace di prodezze tecniche strabilianti come di momenti
di abulia inspiegabili.
Con
il
Bologna
ha vinto la
Coppa Alta Italia nel 1945-1946.
In
Nazionale 11
presenze e 3
reti nella
selezione A; 1
presenza nella Nazionale B con 2 reti; 1 presenza nella Nazionale
giovanile con 2 reti.
|
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