mercoledì 26 agosto 2009

Roberto Mancini



Roberto Mancini, per tutti i tifosi semplicemente "Il Mancio", è ancora una ferita aperta sulla pelle dei tifosi del Bologna, una ferita che non si rimargina, nonostante siano passati tanti anni. La vergognosa cessione di Mancini fu un trauma che seguì un altro scioccante avvenimento in casa rossoblù: la prima storica retrocessione in serie B del Bologna. La caduta negli inferi del calcio dopo più di settanta anni senza mai retrocedere nelle categorie inferiori. Il glorioso Bologna F.C. era infatti una delle tre squadre (assieme alla Juventus F.C. e all'Internazionale) che potevano vantare di essere sempre state presenti nella massima divisione nazionale, fin dagli albori del calcio italiano. Quel campionato fu veramente una tragedia sportiva per il Bologna. Da quel pomeriggio infausto ad Ascoli cominciò un lento declino del club bolognese, un declino di ambizioni ad alto livello da cui il Bologna non si è mai completamente ripreso. Il "Mancio" apparve come una stella cometa nel cielo rosso-blu di quei primi anni Ottanta, i tifosi ammiravano estasiati le giocate di quel fuoriclasse bambino che accarezzava il pallone come solo i grandi del football sapevano fare. I vecchi tifosi dello "Sterlino" e poi del "Littoriale", sognavano nuovi orizzonti, vedevano realizzarsi il sogno di un nuovo grande campione uscito direttamente dal vivaio, un nuovo idolo con il quale identificarsi. Ma purtroppo per loro e per il Bologna, in quei primi anni '80 il presidente del B.F.C. portava il nome e cognome di Tommaso Fabbretti. Era un assicuratore di origini calabresi (ma bolognese praticamente da sempre), già presente nello sport cittadino in veste di sponsor della Fortitudo Pallacanestro con il marchio "Mercury". Piombato nel mondo pallonaro nel 1979, dopo avere rilevato il Bologna da Luciano Conti, il suo primo anno di presidenza - campionato 1979-80 - fu tutto sommato buono, nonostante la bufera calcioscommesse. Ottavo posto e tranquillo centroclassifica. L'anno seguente - 1980-1981 - fu invece ottimo: il Bologna di Gigi Radice diede spettacolo, nonostante la penalizzazione di cinque punti, che negò al Bologna un quinto posto strameritato. Poi l'inferno. 

Prima retrocessione in serie B nella storia del club; cessione di Roberto Mancini alla Sampdoria; e un'altra retrocessione - la seconda consecutiva -, questa volta in serie C1. Un disastro epocale. Nel giro di un anno venne letteralmente distrutta e umiliata una delle squadre più gloriose di tutto il football italiano. Per Fabbretti, ormai completamente fuori controllo, fu facile cedere alle lusinghe e ai soldi di Paolo Mantovani, petroliere e presidente della neopromossa ed emergente Sampdoria: con una misteriosa e poco chiara trattativa condotta in Svizzera, direttamente con Mantovani e il d.s. Borea (appena uscito dal Bologna retrocesso e ingaggiato dalla Sampdoria...), Fabbretti cedette Mancini alla Samp per 4 miliardi, con a corollario alcuni giocatori non di primo piano o a fine carriera: Galdiolo, Logozzo, Roselli e Brondi. Gigi Radice, già contattato da Fabbretti per tentare di indorare ai bolognesi l'amarissima pillola della retrocessione in B, annunciò in un'infuocata conferenza stampa, che mai avrebbe guidato il Bologna in serie B privo di Roberto Mancini. Il giorno dopo, Fabbretti non poté che confermare l'assurda cessione del giovane fuoriclasse rossoblù, non senza avere prima replicato duramente a Gigi Radice con queste parole: "Radice aveva trattato la cessione di Mancini alla Juventus, l'affare voleva farlo lui. Sono gli allenatori di questo genere che rovinano le società". In città la notizia si diffuse rapidamente: si scatenò una furibonda contestazione, con tanto di enorme corteo per le vie cittadine, e violenta sassaiola sotto alle assicurazioni di Fabbretti (furono mandate in frantumi diverse vetrate). Fu anche appiccato il fuoco alla sua casa - diversi infissi di casa Fabbretti bruciarono -, il tutto in uno scenario irreale e incredibile. Intanto però il "Mancio" era perso per sempre. Il sogno dei tifosi rossoblù di potere ritornare grandi con un campione costruito in casa naufragò in quei giorni. Roberto Mancini fece in seguito le fortune di Sampdoria e Lazio, regalando giocate sublimi, da autentico fenomeno del pallone. L'ingiustizia storica era così compiuta; un'ingiustizia e una ferita che brucia ancora sulla pelle dei tifosi del Bologna come una frustata. 

BOLOGNA, 9 MAGGIO 1982: BOLOGNA - INTER 3-1.

Tratto da "...Ho visto un gran Bologna...".
Le più belle vittorie in 30 anni di storia rossoblù dall'ultimo scudetto ad oggi.

Prima o poi, durante questo racconto che ripercorre trent'anni di vittorie rosso blu, al fatidico campionato della nefasta retrocessione in B dovevamo arrivarci. E scegliere un momento positivo nella stagione 1981/82 è davvero difficile. Sotto la guida di Burgnich, subentrato a Radice andato a farsi esonerare a Milano, la squadra gioca malissimo e ciò che di buono è stato fatto l'anno precedente è presto dimenticato. Esplode Roberto Mancini, diciassettenne dalla classe cristallina, ma non basta. Il nuovo straniero, Herbert Neumann, è una larva e il suo unico merito pare essere quello di avere portato a Bologna la bellissima moglie Maria; un infortunio in fase di preparazione lo ha certamente condizionato, ma non abbastanza da giustificarne lo scarsissimo rendimento. La difesa fa acqua e gli attaccanti Fiorini, Chiodi e Chiorri non segnano neanche a porta vuota. Dopo l'umiliazione del 4-1 di Cesena, a otto turni dalla fine subentra in panchina l'indimenticato Franco Liguori, al quale però manca l'esperienza necessaria per tirare fuori dalle sabbie mobili una squadra in disarmo. Il primo approccio illude tutti: 2-0 sulla Roma, reti di Fiorini e Mancini, con Neumann che gioca finalmente da par suo. Nessuno osa pensare seriamente che il Bologna possa finire in serie B, sarebbe come se cadesse la Torre Asinelli, o se sparisse il santuario di San Luca, ovvero i simboli perpetui della città, caratteristici come appunto la permanenza della squadra nella massima serie da quando esiste il calcio italiano. Invece arrivano una dopo l'altra durissime batoste contro Napoli, Fiorentina, Udinese e Genoa. Il 9 maggio, alla penultima, i rosso blu hanno ancora una minuscola speranza; di fronte c'è un'Inter demotivata, ma sempre al quarto posto e con sei futuri campioni del mondo in campo. Giocano la carta della disperazione. 

Boschin, Cilona, Fabbri; Paris, Mozzini, Carrera; Fiorini, Baldini, Mancini, Colomba, Pileggi. I nerazzurri oppongono Bordon, Beppe Baresi, Oriali; Marini, Bergomi, Bini; Centi, Prohaska, Altobelli, Beccalossi, Serena. Dirige Menicucci. In tribuna Azeglio Vicini è venuto a verificare i progressi sbalorditivi di Mancini per la sua Under 21. Parte a testa bassa, il Bologna, ma all'ottavo Centi fa piombare nel silenzio il vecchio stadio segnando in diagonale in mezzo ad una difesa di belle statuine. Uno spettro aleggia ormai liberamente sul Comunale: la serie B. E invece i rossoblù trovano la forza di reagire: all' undicesimo Bordon salva su Mancini, un minuto dopo Mozzini coglie la traversa di testa. Dopo un "mani" di Baresi in area, giudicato involontario, e un gol annullato a Prohaska per fuorigioco di Serena, il sospiratissimo pareggio arriva al 19': tira da fuori Fabbri, la difesa respinge, riprende Fiorini che piazza un botta secca nell' angolo lontano. Un gran gol. "Fiore" è scatenato e si ripete al 25' superando in corsa Bergomi, futuro francobollatore di Rummenigge nella finale Mundial, e concludendo imparabilmente di destro alle spalle di Bordon. Vantaggio! Lo spettro si dissolve per un attimo. Solo per un attimo, perchè anche Cagliari e Genoa, che precedono il Bologna di un punto, stanno vincendo. L'Inter assiste ormai svogliatamente alla partita e subisce il terzo gol al 31' della ripresa per opera di Mancini, dopo lunga fuga. 

È il suo nono centro; doveva cominciare il campionato con la speranza di giocare qualche incontro, e alla fine li ha giocati tutti. Sulla catastrofe di Ascoli, la settimana successiva al 3-1 rifìlato all'Inter, preferisco non dilungarmi. Si affrontò sapendo in anticipo che neppure un miracolo avrebbe salvato lo squadrone che tremare il mondo... faceva. Cagliari e Genoa, ovviamente, ottennero da Napoli e Fiorentina il punticino di cui avevano bisogno. Il Bologna, che doveva assolutamente vincere per potere quantomeno tenere accesa una fiammella di speranza, passò in vantaggio con Mozzini ma i bianconeri dell'ex De Ponti non ebbero pietà e con Torrisi e Greco fissarono il punteggio su un 2-1 che non dimenticheremo mai. Le lacrime, gli sfoghi composti ma disperati dei tifosi; le pagine struggenti che i giornali bolognesi dedicarono a quell'infausta giornata; il desiderio, nonostante tutto, di voltare pagina, di riscattarsi. Sono i miei ricordi più vivi di quei momenti neri. E Fabbretti, nell'occhio del ciclone delle contestazioni (giustificate), anzichè andarsene solleticò la piazza con nuovi e gloriosi programmi, a partire dal ritorno bomba di Gigi Radice, un nome, come si dice, una garanzia. Ma intanto, in Svizzera, vendeva di soppiatto Mancini al presidente sampdoriano Mantovani. Appena la notizia si diffuse, Radice salutò la compagnia sbattendo la porta. Il presidente rilanciò gravi accuse al tecnico brianzolo; ne seguì una bufera che lasciò attonito il popolo rossoblù. Il fondo del baratro, purtroppo, era ancora ben lontano.

Il bambino tutto d'oro

Il Bologna per la prima volta nei suoi 73 anni di storia precipita in Serie B lasciando a Inter e Juventus il primato di squadre sempre nella massima categoria, e lo fa lanciando un fulgido messaggio al futuro, con lo sboccio precoce di un formidabile talento. Si chiama Roberto Mancini e ha appena 16 anni al momento dell'esordio in A, il 13 settembre. Quando compie i diciassette, il 27 novembre, ha già conquistato la maglia da titolare e segnato i primi due gol. Deve l'esordio al fiuto dell'allenatore Burgnich, che ha dissuaso il presidente Tommaso Fabbretti dal mandare il gioiellino del vivaio in prestito al Forlì. I guai fisici di Fiorini, titolare sulla carta, e i problemi di Chiodi gli aprono le porte della prima squadra. È un talento naturale, marchigiano di Jesi, entrato nelle giovanili rossoblù dopo un provino a dieci anni e cresciuto impetuosamente grazie a doti tecniche e atletiche di prim'ordine. Attaccante per predisposizione, è stato svezzato come interno per esigenze di settore giovanile e ne è venuto fuori un campioncino completo, che Burgnich può addirittura far giostrare in pratica da centravanti, vista la rapidità di esecuzione, l'abilità nel palleggio e il tiro in porta con entrambi i piedi. Il "baby" conquista tutti e alla fine restano aggrappate alle sue prodezze le speranze del Bologna di non cadere in B. 

Speranze deluse, ma Robertino, che a fine torneo vanta 9 gol in 30 partite (di cui solo 25 dall'inizio), non conoscerà la cadetteria. In estate la Sampdoria del petroliere Mantovani si fida delle segnalazioni di Paolo Borea (direttore sportivo del Bologna che passa appunto in casa blucerchiata) e di Claudio Nassi e al termine di una durissima trattativa vince la concorrenza di Juventus e Udinese, facendo suo il ragazzino per l'incredibile cifra di due miliardi e mezzo in contanti più tre giocatori, Galdiolo, Logozzo e Roselli, e il prestito del giovane Brondi. Nella Sampdoria Mancini vivrà da grande protagonista, dopo una fase accidentata per via di qualche problema muscolare, l'avventura degli anni d'oro: vincendo uno scudetto, una Coppa delle Coppe, 4 Coppe Italia e una Supercoppa italiana. Terminerà la carriera vincendo lo scudetto nelle file della Lazio, con l'appendice di 5 partite nel Leicester, massima serie inglese, stagione 2000-01, prima di chiudere e passare alla carriera di allenatore al massimo livello. Vantando 541 presenze e 156 reti in Serie A. Unico cruccio, il poco felice rapporto con la Nazionale. Il bilancio in azzurro conterà 36 partite e 4 gol. Poco per uno dei migliori talenti del calcio italiano.

Intervista a Franco Colomba. 

Da "La Gazzetta dello Sport".

È il 1981. Kakà e Cassano nasceranno fra un anno. La Nasa lancia per la prima volta la sua nuova navicella, in grado di tornare a terra come un aereo di linea: lo Shuttle. In Francia lanciano il treno superveloce, il Tgv. La Ibm annuncia il lancio dei personal computer. In Italia, il Bologna lancia Roberto Mancini. Formidabile, quell'anno. Il Principe del Galles, Carlo, sposa Diana Spencer: la cerimonia è seguita in diretta da miliardi di telespettatori. Paolo Rossi detto Pablito sposa Simonetta. La Juventus vince l'ennesimo scudetto. Il 13 settembre Roberto Mancini, neanche diciassette anni, debutta in serie A. Nel Bologna contro il Cagliari, a diciassette minuti dalla fine. Rileva Giuliano Fiorini. Arbitro Pieri, il papà dell'arbitro Pieri. Il 13 settembre, prima giornata del campionato di serie A, il Bologna allenato da Tarcisio Burgnich, storica figura dell'Inter, il terzino che faceva coppia con Facchetti, decide di inserire in prima squadra il giovane talento di Jesi. Il capitano è Franco Colomba, un centrocampista. Comincia così l'anno del Mancio: entra e non esce più. Nella prima giornata la Juve batte il Cesena 6-1. Esplode subito Roberto Bettega: tre gol. Esplode lo scandalo P2, la loggia massonica che aveva instaurato una sorta di «governo ombra»: molti personaggi di spicco della vita sociale italiana risultano implicati. Esplode sui teleschermi l'interesse per la serie Dallas, la più seguita degli anni ottanta. Esplode la passione per una trasmissione di una nuova emittente, MTV, è piena di musica, lancia i videoclip, la vita di milioni di ragazzi non sarà più la stessa. L'anno 1981, l'alba di Roberto Mancini, è il trionfo del talento John McEnroe. E il suo anno di grazia, supera Borg a Wimbledon, e negli US Open, conquista la terza Coppa Davis e fa diventare un fenomeno anche lo sconosciuto Peter Fleming, compagno di doppio. Irriverente, insolente, semplicemente strepitoso. I tifosi lo adorano e John McEnroe dipinge tennis come mai nessuno prima, geniale come la tradizione vuole lo siano i mancini. Roberto Mancini è anche mancino. 

Nel Bologna di Franco Colomba diventa subito il punto di «riferimento offensivo». Gioca trenta partite, tutte, segna nove gol. Gli opinionisti si interrogaano: «Rifinitore sulla fascia, centravanti di manovra o cosa?». Profetizzano: «Questo ragazzo farà cose bellissime, meravigliose, uniche». Scrivono: «Ognuno vuol toccare con la spada benedetta la chioma di questo pestifero marchigiano, di questo guizzante cerbiatto». Il suo capitano, Franco Colomba, lo segnala a Enzo Bearzot per la Nazionale. Alla quarta giornata, dopo il suo primo gol in serie A, a Como. Suggerisce Colomba: «Robertino è una punta molto speciale, non sbaglia un colpo. E già un campione e passerà alla storia. Perché non dovrebbe trovare un posto fra i ventidue che andranno ai mondiali di Spagna?». «Ah, così ho detto?», ridacchia adesso Colomba. Poi: «Diciamo che era tutto molto naturale. Sì è visto subito. Anzi, l'abbiamo visto prima, a un torneo di Capodanno, un Mundialito a Bologna. Molto bravo, molto deciso, con tante qualità. Li vedi subito, nascono così. Roberto è nato grande». Centravanti o rifinitore? «Talento. E basta. Campione, giocatore di statura. Insomma: un fuoriclasse. lo avevo ventisei anni, ero un giovane capitano, lui diciassette. Era maturo solo in campo e in campo vederlo muoversi, lanciarsi, smarcarsi e chiedere il passaggio era una gioia. E io lo lanciavo. Lui arpionava, certo, con eleganza e freddezza, il pallone e andava dritto in porta. E poi era generoso, bravissimo negli assist». Protestava con gli arbitri, il piccolo Mancini? «Eh, cosa vuole ... subiva falli, scorrettezze. 

Il destino dei Rivera e di tutti i grandi. Protestava, ma non è mai stato un gradasso. Sapeva fare tutto bene e aveva chiare idee in testa. Per il suo presente e il suo futuro. Ricordo che il responsabile del settore giovanile del Bologna, Walter Bicocchi, mi diceva: "Dagli un'occhiata, è un cinno, è un bambino vivace". Diciamo che lo seguivo con particolare attenzione, perché avevo qualche anno più di lui e perché era bello giocare con i giovani». Franco Colomba se lo immaginava Roberto Mancini allenatore? «Sì, gli piaceva il calcio e il gioco, gli schemi, le posizioni sul campo. E stato un vero grande. Io ho giocato con Dossena, Pecci, Ramon Diaz, Dirceu, giocatori di spessore, di enorme qualità. Roberto era di quella pasta. Forse non è stato fortunato, forse non ha avuto molta fortuna in Nazionale, avrebbero dovuto dargli un po' di spazio in più, lo meritava, aveva i numeri per sfondare ovunque. Ma quello era il tempo, era chiuso, c'era Roberto Baggio. Ma la sua classe, i suoi colpi di genio resteranno nella storia del nostro calcio. Anno 1981: i tifosi della Ferrari vanno in delirio per le imprese di Gilles Villeneuve. A Monaco regala alla scuderia di Maranello la prima vittoria dell'era del turbo. Poi conquista una straordinaria vittoria al Gran Premio di Spagna dove "tiene dietro per tutta la gara cinque macchine più veloci della sua". Dopodomani l'Inter dell'allenatore Roberto Mancini affronterà il Livorno di Franco Colomba. Il bambino contro il capitano. A Bologna di Mancini scrivevano: «Il ragazzo dal gol turbinoso, in attesa dell'attimo fuggente». E di Colomba: «Il saggio metronomo che il Bologna faceva volare". Parole del tempo. Adesso c'è Livorno - Inter e Franco Colomba dice: «Sono contento di rivederlo in panchina. Lui è sempre un avvenimento».

Tratto dal mensile inglese "Four Four Two".

Roberto Mancini.

Great players do not always become great coaches, but Internazionale's Roberto Mancini has usually been the exception to the rule. As a player that much was obvious when he scored on his Serie A debut for Bologna aged 16 years and 11 months (he finished his first season as fourth-top scorer in the league). Aldo Mancini: Roberto's father Aldo nearly missed his son's Serie A debut in September 1981. He had gone to Rimini to watch him play for Bologna's youth team, where Roberto had scored 45 goals in 28 games the previous season only to be told the 16-year-old was in the senior side. He arrived at the Dall'Ara in Bologna in time to see Roberto become the third youngest footballer to play in Serie A, and then score. It was typical Roberto - he had not even let his parents wave him off at the train station when he first secured a trial at Bologna, aged 12.

A Casteldebole una sfida dai mille ricordi.

Di Silvano Stella.

Roberto Mancini ritorna al passato, inaspettata attrazione di Bologna - Sampdoria per il campionato Primavera. Stesso campo, stesso ambiente. Uniche differenze: l'età e gli anni. Eh sì, perché ne sono trascorsi 18 da quando è approdato a Casteldebole. Nell'autunno del 1977 aveva solo 13 anni e tifava Juventus. I suoi idoli erano Bettega e Boninsegna. Veniva da Jesi, cittadina marchigiana a 200 chilometri da Bologna. Doveva andare al Miilan: era stato segnalato a Liedholm, che lo fece convocare a Milanello per un provino, ma il telegramma dell'invito non finì all'Aurora, la società per la quale era tessserato, bensì al Real, altro sodalizio jesino. E così Marino Perani lo portò al Bologna per 5 milioni, da pagarsi al debutto in prima squadra. Cosa che avvenne nel 1980 in occasione del torneo di Capodanno in Bologna-Cagliari. All'inizio Mancini soffriva il clima gelido di Casteldebole. E aveva nostalgia dei genitori, papà Aldo e mamma Marianna. Si alzava al mattino presto e con l'autobus di linea si recava a scuola. Alla quale disse basta alla terza media, per intraprendere un corso di inglese. Ricorda Perani: «Già allora Roberto aveva il calcio in testa. Trattava divinamente la palla e vedeva il gioco. Era completo, un po' rifinitore e un po' attaccante, col fiuto del gol». 

Ed ecco che a 17 anni, dopo 37 gol con gli Allievi e 28 con la Primavera, per Mancini si aprono le porte della prima squadra e del successo. Tutto succede improvvisamente. Infortunatosi Fiorini, Burgnich resta solo con Chiorri e per completare l'attacco punta su Mancini. Lo convoca e lo fa esordire in serie A il 13 setttembre 1981 in Bologna-Cagliari (1-1). Spiega Burgnich: «Doveva andare al Forlì per farsi le ossa. Il presidente Fabbretti lo aveva promesso al compianto Vulcano Bianchi. Con Macina, Di Sarno e Baccari, Mancini era il giocatore più dotato di quella Primavera. Era un centrocampista, molto più maturo e cosciente della sua età. Se avesse giocato sempre a centrocampo, con la faccia verso la porta, sarebbbe diventato un nuovo Platini». Roberto guadagnava 90.000 lire al mese. Ma ogni tanto c'era il premio partita, più alto dello stipendio. E ammetteva: «Lo mando ai miei genitori. Vorrei che servissero per costruire una casetta». Ora si dice che Roberto cerchi una casa a Bologna. Non si sa se ci tornerà prima o dopo aver concluso la carriera.

Mancini, il golden boy rossoblù. Un genio, ceduto alla Samp per 4 miliardi.
Di Giuseppe Tassi.

Questa è la storia di un bambino prodigio, figlio di un falegname. Niente di trascendente o di ultraterreno: solo una bella favola nel regno del pallone. Qui si parla di Roberto Mancini da Jesi, piccolo figlio dell'operosa provincia marchigiana, destinato a ereditare un soprannome che ha fatto epoca nel calcio: quello di «golden boy», ragazzo d'oro. La pasionaccia per il pallone lo strappa da casa in età verdissima, quando ha ancora 15 anni. In paese è già un fenomeno, un bambino prodigio, appunto. Palla al piede diventa una forza della natura e allora lo zio, che per il calcio vive e sospira, lo porta a Bologna per un provino. Sotto le Due torri prospera una scuola di calciatori piuttosto avviata e la squadra primavera di Soncini è un autentico gioiello. Il bimbo di Jesi piace subito, si distingue dai compagni per la sicurezza di tocco, per una precoce maturità del fisico, per la determinazione che sembra animarlo. E allora eccolo vestito di rossoblù a tirar calci nel «college » di Casteldebole per due interi inverni. La famiglia è lontana 250 chilometri, ma in certe giornate diventano un abisso incolmabile e nemmeno il telefono riesce a spezzare il cerchio della nostalgia. Robertino cresce bene, se non in sapienza (perchè la scuola continua a risultargli ostica) in forza fisica e qualità tecniche. Molto presto è una stellina del campionato Primavera e il magico Bologna di Radice lo aggrega qualche volta ai suoi allenamenti. Il Gigi, che deve correre un campionato in salita e disciplinare la truppa, lo nota di sfuggita, ma il suo vice Mirko Ferretti lo lancia in pista in un Torneo di Capodanno e Mancini seduce subito le 

folle del Comunale. Il suo calcio è fatto d'istinto e di potenza, di tecnica eccellente e di velocità. È un calciatore moderno, modernissimo, capace di bruciare in pochi secondi larghissime fette di campo, di capovolgere l'azione con sorprenderete rapidità. Alto 1,80, cosce ipertrofiche su un solido telaio di muscoli: su queste doti fisiche il ragazzo di Jesi innnesta il proprio talento calcistico. Il risultato è un giocatore inarrestabile, più trequartista che punta, costruito per le accelerazioni in verticale, per gli scatti brucianti, per le progressioni diaboliche. Il dribbling è secco, essenziale, ma le finte di corpo lasciano di sale gli avversari e in area di rigore il «bimbo d'oro» mostra una freddezza e una sicurezza di tocco invidiabili. Il debutto in serie A arriva quando non ha nemmeno diciassette anni, nell'indecifrabile Bologna di Tarcisio Burgnich. L'ex terzino dell'Inter predica il calcio coperto e speculatore che fece grande Helenio Herrera e la sua Inter, ma l'organico rossoblù non sembra tagliato per la difesa a oltranza con la cariatide Mozzini e un pugno di giovani senza esperienza. A centrocampo c'è il fallimento completo del tedesco Neumann, mentre Colomba non può improvvisarsi regista, né reggere da solo il peso del lavoro di impostazione. Insomma la squadra va maluccio, si barcamena fra pareggi senza gioco e sconfitte impietose, ma quando trova l'ancora di salvezza è proprio il Mancini a fornirgliela con gol che sono autentiche uova d'oro. Robertino, che ha come compagni di linea il mattocchio Fiorini o l'imprevedibile Chiorri (un esteta del pallone, che ha piede raffinatissimo ma carattere moscio) segna la bellezza di nove gol senza rigori, incanta le platee di mezza Italia, si prenota un domani da vip del campionato e un posto nel calcio che conta. Sì, perché nonostante i suoi gol, il Bologna finisce miseramente in serie B, la società va lentamente in malora. Il presidente Fabbretti si aggrappa al totem di Radice, ma intanto cede Mancini alla Sampdoria per quattro miliardi. Il sogno dei bolognesi svanisce lì. 

Una lunga storia d'amore. Roberto Mancini in esclusiva per Forza Bologna. 

Sedotti e abbandonati. 

Di Simona Altaniti

Così si sentono i tifosi rossoblù: sedotti da una tecnica eccellente capace di generare straordinarie invenzioni e abbandonati da un figliolo talentuoso, cresciuto nel grembo di Casteldebole e maturato nei campetti del vivaio rossoblu. È una lunga storia d'amore quella che vi stiamo per raccontare: protagonisti Bologna e Roberto Mancini. Una storia che nasce nel 1978 quando Robertino, allora tredicenne, approda in terra felsinea, acccompagnato da Alberto Marchetti, un amico di famiglia nato a Jesi, ma a quell'epoca residente a Castenaso, un paese in provincia di Bologna: «Ricordo l'emozione fortissima che mi accompagnava quando arrivai a Casteldeebole per il fatidico provino. Il mitico Bologna di Perani e Fogli ... un sogno. Fu un momento indimenticaabile, indelebile, di quelli che ti si fissano dentro». Inutile dirvi che il provino ebbe esito positivo. Roberto fu subito annesso alla squadra Primavera, prima sotto l'occchio vigile di Perani e poi sotto quello di Soncini. «I primi tempi soffrivo tantissimo la lontananza della mia famiglia, ma ho trovato persone amiche che mi hanno aiutato a superare la nostalgia di casa». Intanto questo talentuoso e precoce giovanotto, continuava a migliorarsi e a strabiliare i suoi allenatori, fino a quando Gigi Radice, l'allenatore della prima squadra ed il suo secondo Amilcare Ferretti, accorgendosi di lui, decisero di gettarlo nella fossa dello Stadio Comunale in occasione di un torneo di Capodanno: «In quel periodo mentre la Nazionale era impegnata in Uruguay per il Mundialito, il Bologna disputò un torneo di Capodanno: io ebbi l'oppportunità di giocare un intero tempo contro il Torino e ne fui veramente felice e lusingato, ma non ricordo come giocai, sono passati tanti anni ... ». E' modesto Roberto, perchè i presenti 

rimasero strabiliati dalle giocate e dalla sicurezza di tocco di questo gioiellino. Poi avvenne il grande debutto in prima squadra: era il 13 settembre 1981. «La partita era un Bologna Cagliari: ad un certo punto l'allenatore Tarcisio Burgnich mi disse di scaldarmi e capii che era giunto il mio momento». Quella del debutto fu una stagione dolceamara: Mancini fece 9 gol (senza rigori), un risultato da record per un esordiente ma nonostante questo exploit il Bologna non riuscì ad evitare la retrocesssione in serie B. «Quell'anno diedi tutto me stesso, nonostante i sedici anni e mezzo, ma ogni sforzo fu vano. Ci furono parecchi problemi: in primis l'esonero di Burgnich a poche giornate dalla fine (subentrò poi Liguori) e soprattutto dissapori societari che contribuirono in maniera determinante a quel triste risultato». Robertino però riuscì a consolarsi con la squadra allievi della quale era capitano, conquistando a Bari il titolo nazionale di categoria, con una squadra di giovani promettentissimi, allenati da Franco Bonini: Turchi, Salice, Nobile, Martelli, Treggia, De Bianco, Macina, Bellotto, Marocchi, Mancini e Gazzaneo. E si consolò, insieme ai compagni di quella squadra Treggia e Macina, con la convocazione nella Nazionale Juniores. Roberto continuava a mostrarsi in tutta la sua bellezza calcistica e da nord, sud, ovest, est, cominnciarono a piovere offerte allettanti: il Presidente rosso blu Tommaso Fabbretti si lasciò incantare dalle parole entusiastiche (e dai 4 miliardi...) del presidente della Sampdoria Paolo Mantovani, destinato a diventare il 'padrino' di Roberto: «Ricordo con tristezza il passaggio da Bologna a Genova: l'inizio fu abbastannza traumatico, soprattutto perchè essendo i genovesi completamente diversi dai bolognesi, dovetti stravolgere le mie abitudini. 

In più la persona che mi ha voluto a tutti i costi a Genova, il presidente Mantovani, in quel periodo non era in Italia, insomma non fu un trasferimento facile, all'inizio». Nelle parole di Roberto si denota un forte attaccamento all'indimenticabile presidente blucerchiato: «Sicuramente grazie a lui sono diventato un giocatore professionista, ma la mia gratitudine va anche e soprattutto al Bologna, la società calcistica che mi ha lanciato, ed in particolaare a Walter Bicocchi, che era il responsabile del centro tecnico di Casteldebole, agli allenatori Perani, Fogli, Bonini, Soncini ed al Dott. Boni. E poi alla gente che mi è sempre stata vicina e che non dimenticherò mai. Rimpiango gli anni passati a Bologna perchè potevano essere tanti ed invece sono stati solo quattro. Troppo pochi, sinceramente. Pochi per realizzare il mio desiderio: mi sarebbe piaciuto fare nel Bologna quello che ho fatto nella Sampdoria». Come abbiamo detto è una lunga storia d'amore, della quale è impossibile dimenticarsi: «Seguo sempre le vicissitudini del Bologna. I rossoblù quest'anno sono troppo forti, in più mi sembra che la Spal sia scoppiata. Vorrei complimentarmi con il presidente Giuseppe Gazzoni Frascara per il lavoro di consolidamento della società che ha messo in atto un anno e mezzo fa e che finalmente sta dando gli sperati frutti. Ho molta fiducia in lui perchè mi sembra una persona seria e credo che riporterà il Bologna in serie A in brevissimo tempo. Immagino già un Sampdoria - Bologna molto, molto vicino ... ».

domenica 16 agosto 2009

Bologna - Inter 1963-64: 7° scudetto ed emozioni in 8mm




Un video in 8mm dello spareggio di Roma contro l'Inter di Herrera, nel 1963-64, anno dell'ultimo e magico scudetto del Bologna F.C. Il video mostra i tifosi rosso-blu come non si erano mai visti prima: l'attesa fuori dallo stadio Olimpico con le bandiere; i cappellini e i fazzoletti rossoblù al collo; il prepartita dentro lo stadio prima vuoto, poi, piano piano, sempre più stracolmo di tifosi bolognesi; l'entrata delle squadre in campo; il tripudio per i gol di Romano Fogli e Harald Nielsen; e poi il trionfo, l'esultanza smodata e piena di gioia per quella che fu veramente un'annata campale ed esaltante. Annata nella quale il Bologna giocò sicuramente il più bel calcio d'Italia. Bellissimo.

lunedì 3 agosto 2009

1970, Coppa di Lega Italo-Inglese: Bologna - Manchester City



La Coppa di Lega Italo-Inglese (The Anglo-Italian League Cup in inglese, o anche The Anglo-Italian League Cup Winners' Cup)  fu creata parallelamente al Torneo Anglo-Italiano  due manifestazioni completamente differenti, non da confondere , sotto il patrocinio di Gigi Peronace, grande manager del calcio italiano anni '60 e '70, vero e proprio ambasciatore calcistico d'Italia nel Regno Unito. La prima edizione della Coppa di Lega Italo-Inglese si disputò nel 1969, tra la vincitrice della Football League Cup (la Coppa di Lega inglese), lo Swindon Town, e la vincitrice della Coppa Italia, la Roma. Così fu per tre edizioni. Nelle ultime due edizioni (il torneo si interruppe nel 1976), a contendere il trofeo alle squadre italiane vincitrici della Coppa Italia, gli inglesi mandarono i vincitori della F.A. Cup. Al Bologna toccò il Manchester City, squadra gloriosa e ricca di grandi giocatori, all'epoca tra le più forti formazioni britanniche e d'Europa. Il City, infatti, nel giro di 5 anni fece un filotto di grandi vittorie: campione d'Inghilterra nel 1968, vinse la F.A. Cup nel 1969, la Coppa delle Coppe sempre nel 1969, la Coppa di Lega inglese nel 1970 (in finale contro il West Bromwich Albion), 2 Charity Shield, nel 1968 e nel 1972. Il Manchester City a quei tempi dava filo da torcere ai rivali cittadini dello United di Bobby Charlton, Best e Law, e aveva tra le proprie file autentici campioni: il monumentale portiere Joe Corrigan; Colin Bell, un calciatore totale: tecnico, veloce, dal fisico imponente; Francis Lee, biondo, piccolo e tarchiato, centravanti di movimento, giocatore dotato di grande tecnica e intelligenza calcistica, dal tiro esplosivo; Mike Summerbee, ala destra tutto scatto e fantasia (grande amico di George Best), lo spirito libero di quel grande City. Il resto della squadra era formato da altri ottimi giocatori: il difensore centrale Tommy Booth, per anni leader della difesa dei blues; Glyn Pardoe, l'attaccante Neil Young  terribile mancino nativo di Manchester e protagonista di gol importantissimi: nella finale di F.A. Cup del 1969, e nella finale di Coppa delle Coppe contro i polacchi del Gornik Zabrze Tony Book, "The Maine man", il capitano del City di quegli anni, un calciatore simbolo dei "Citizens"  una storia bellissima la sua, da raccontare. 

Cinque nazionali inglesi

Ben 5 calciatori della rosa del City erano nazionali inglesi: Corrigan, Doyle, Bell, Lee e Summerbee. Una squadra che si mantenne per alcuni anni a grandi livelli e, nel 1972, con l'acquisto di Rodney Marsh, un talento eccezionale, un numero 10 fantasioso e spettacolare, si attestò tra le posizioni di vertice della First Division. il Bologna, nella doppia finale del 1970, con l'andata giocata alllo stadio Comunale (dove Artemio Franchi consegnò la Coppa Italia vinta 3 mesi prima contro il Torino al capitano Giacomo Bulgarelli) e il ritorno in un infuocatissimo Maine Road, riuscì a spuntarla contro i Citizens di Manchester. Era un Bologna tostissimo e molto forte, con in porta "Vavà" Vavassori, il grande maestro di centrocampo Giacomo Bulgarelli a dettare i tempi del gioco, l'emergente mediano dai piedi buoni Franco Liguori, Janich, Cresci e Tazio Roversi a formare una difesa di ferro; Marino Perani all'ala destra e, in attacco, nel ruolo di centravanti, il terribile ed esplosivo Beppe Savoldi, una macchina da gol, idolo dei tifosi bolognesi. A chiudere l'undici, l'estroso Bruno Pace sulla sinistra. Allego le formazioni dei due match, giocati al Comunale di Bologna e al Maine Road di Manchester.
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[Sep 2 in Bologna, Stadio "Comunale".] Bologna - Manchester City 1-0
[Rizzo 4']
Bologna : Vavassori, Roversi, Ardizzon, Cresci, Battisodo, Gregori,
Perani, Rizzo, Savoldi, Bulgarelli, Pace.
Manchester City : Corrigan, Book, Pardoe, Doyle, Booth, Oakes,
Young, Bell, Lee, Towers, Summerbee.


[Sep 23 in Manchester, "Maine Road Stadium".] Manchester City - Bologna 2-2
[Perani 16', Savoldi 73'; Lee 25', Heslop 75']
Manchester City : Corrigan, Book, Pardoe, Doyle, Heslop, Oakes,
Hill, Bell, Lee, Young, Towers.
Bologna : Vavassori, Prini, Ardizzon, Cresci, Janich, Gregori,
Perani, Rizzo, Savoldi, Liguori, Pace.

Bologna win 3-2 on aggregate
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Bologna, 2 settembre 1970. 

Bologna - Manchester City 1-0. 

La conquista della Coppa Italia, seppur in tono minore, rilanciò le ambizioni del Bologna di Edmondo Fabbri. C'erano effettivamente le premesse per puntare ai vertici anche in campionato. Scampata la cessione di Bulgarelli al Milan e passato il timone dirigenziale a Filippo Montanari, il Bologna si presentò al via della stagione '70-71 rinforzato dagli arrivi di Rizzo e dei giovani Fedele e Liguori. La partenza di Mujesan ebbe l'effetto di favorire l'esplosione definitiva di Savoldi, "promosso" centravanti di numero e di fatto. Tre mesi dopo avere vinto la Coppa Italia, i rossoblù fecero il bis con l'allora prestigioso trofeo di Lega italo-inglese, che metteva di fronte i rispettivi vincitori delle Coppe nazionali. Nella partita di andata al Comunale contro il Manchester City, in una serata afosa di fine estate, la maglia rossa impreziosita dalla coccarda tricolore portò ancora una volta fortuna. Gli inglesi erano allora secondi nell'allora First Division (l'odierna Premier League); avevano quattro nazionali (Bell, Lee, Doyle e Summerbee) ed erano inoltre i detentori della Coppa delle Coppe, avendo superato 2 a 1 a Vienna i sorprendenti polacchi del Gornik Zabrze, che a loro volta avevano eliminato la Roma in semifinale col solito assurdo sistema del sorteggio. Ai giallorossi, beffati da Lubanski e compagni, era andata male l'anno precedente anche nella Coppa di Lega italo-inglese, vinta dallo Swindon Town; dal Bologna ci si aspettava quindi la rivincita del calcio italiano contro gli antichi maestri del calcio. Prima dell'inizio i presidenti della Federazione e della Lega, Franchi e Stacchi, consegnarono ufficialmente a Bulgarelli la Coppa Italia. Mentre Giacomino la sollevava al cielo, i 23.000 convenuti allo stadio sognarono per un attimo nuovi ambiziosi traguardi.

I proclami bellicosi degli inglesi

Privo di Janich, Fedele e Liguori, Fabbri si affidò a questa formazione: Vavassori, Roversi, Ardizzon; Cresci, Battisodo, Gregori; Perani, Rizzo, Savoldi, Bulgarelli, Pace. Il trainer avversario Allison rispose con Corrigan, Book, Pardoe; Doyle, Booth, Oakes; Young, Bell, Lee, Towers, Summerbee. L'arbitro era inglese, Smith. L'allenatore dei biancazzurri, durante il ritiro di Rimini, aveva fatto proclami bellicosi, ripetendo il solito ritornello che le squadre inglesi, in trasferta, non fanno come quelle italiane, che pensano solo a difendersi ecc. ecc. O era bugiardo, o il Bologna gli aveva fatto presto cambiare idea: i suoi giocatori apparivano abulici, quasi in attegiamento turistico. Oltretutto, al terzo minuto Rizzo era già in gol con un diagonale imparabile, trasformando un bell'invito di Savoldi. Con Gregori a uomo su Colin Bell, la fonte del gioco avversario era inaridita sul nascere; l'unico che tentava di combinare qualcosa era Summerbee. Col passare dei minuti la melina inglese divenne irritante. I rossoblù sfiorarono più volte il raddoppio, senza tuttavia ottenerlo; nulla cambiarono gli inserimenti nella ripresa di Prini e Scala. In tribuna c'era Hans-Georg Kiupel, allenatore dei tedeschi-est del Vorwärts, prossimi avversari in Coppa delle Coppe. Il Bologna, tutto sommato, non lo impressionò troppo. Nel ritorno a Manchester il povero Giuseppe Vavassori sfoderò forse la sua più bella prestazione con i colori rossoblù. Di fronte ai furibondi assalti inglesi parò anche i moscerini. Finì 2-2 grazie alle reti di Perani e Savoldi e un'altra bellissima coppa andò ad ad aggiungersi alle tante già conquistate dal Bologna. Eliminazione invece "da polli" in Coppa delle Coppe contro il già citato Vorwärts: zero a zero a Berlino, uno a uno a Bologna con gol di Savoldi nel secondo tempo supplementare e gentilissima concessione del pareggio, per eccesso di melina e di paura, poco prima dello scadere. Evidentemente la maledizione dell'Europa aveva colpito ancora

Tratto da: "...Ho visto un gran Bologna...". Le più belle vittorie in 30 anni di storia rossoblù dall'ultimo scudetto ad oggi.

Di Franco Cervellati.

Tratto da: "La collana delle 15 perle".

Di Lamberto Bertozzi.

Questa coppa, ideata nel 1969, vedeva confrontarsi, con partita di andata e ritorno, le vincenti della Coppa Italia e della Coppa di Lega Inglese. Nella sua prima edizione, erano stati gli inglesi dello Swindon Town, che superarono la Roma, a iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro della manifestazione. Nella seconda edizione, si trovarono di fronte il Bologna ed il Manchester City. Primo incontro a Bologna il 2 settembre, ritorno in Inghilterra il 23 settembre. Nel primo incontro, disputato tra le mura amiche, il Bologna, giocando una partita accorta, riuscì a prevalere con il minimo scarto, grazie ad una rete di Rizzo. Questa vittoria di misura e l'innegabile valore della squadra di Manchester, fece presagire a tutto l'ambiente rosso-blu, che la gara di ritorno, da disputare in Inghilterra, non sarebbe stata affatto una passeggiata.  Al fischio di inizio dell'arbitro Angonese, il Maine Road di Manchester apparve gremito di tifosi vocianti in ogni ordine di posti. Gli inglesi, come da tradizione, si riversarono immediatamente nella metà campo rosso-blu intenzionati a cercare subito la rete che serviva per stabilire la parità nel doppio confronto. Per un lungo quarto d'ora la palla stazionò davanti alla porta bolognese difesa da un indomito Vavassori, il quale, in serata di grazia, si esibì in parate decisive. Poi, d'improvviso, al 16' una classica fuga sull'out di Pace con preciso cross al centro, testa di Savoldi e palla per l'accorrente Perani che mise in rete. Con un contropiede da manuale e quasi al suo primo attacco, il Bologna si trovò in vantaggio. La partita si fece sempre più bella. Il Bologna mancò il raddoppio e, come da copione, subì il pareggio inglese su colpo di testa di Oakes, deviato alla disperata da Vavassori e ribattuto in rete da Francis Lee. Lo stadio esplose in tutta la sua passione, e il Manchester ripartì di slancio all'attacco. Il primo tempo non vide più modificare il punteggio grazie ad interventi di rara bravura eseguiti dal grande Beppe "Vavà" Vavassori.

Il Bologna colpisce in contropiede


Anche i primi venticinque minuti della ripresa videro gli inglesi al forsennato attacco della difesa bolognese, su cui su tutti si evidenziavano il libero Janich e il portiere Vavassori, che in quella notte magica stava proponendo interventi da grande campione. Nel primo attimo di rilassamento degli inglesi, al 27', il Bologna propose il suo primo contropiede del secondo tempo. Fuga sulla sinistra di Pace, cross per Rizzo che di prima intenzione tirò a rete, sulla palla ribattuta da un difensore si avventò come un falco Savoldi che concluse magnificamente al volo scaraventando il pallone in rete. Bologna 2 Manchester City 1. Il gelo scese in tribuna e sugli spalti del Maine Road. Ma passò solo un minuto ed il Manchester giunse al pareggio. Su una gigantesca mischia in area rosso-blu, mentre Lee ostacolava Vavassori, Heslop mise in rete da pochi passi il pallone del pareggio. Nel restante quarto d'ora di gioco si assistette solo ad un monologo inglese. I ragazzi di Fabbri riuscirono però a mantenere i nervi saldi, a non cadere nelle provocazioni isteriche degli inglesi. Al fischio finale dell'arbitro ai tifosi del Maine Road non rimaneva che applaudire ai vincitori della coppa, ovvero al Bologna. In quella "notte da leoni" fu difficile fare una graduatoria di merito dei rosso-blu, in quanto tutti giocarono oltre i propri limiti. Tuttavia meritò una citazione particolare il portiere Vavassori, il quale fu veramente colossale, parò l'impossibile e in tre occasioni strappò dalla rete il gol già maturo degli inglesi. I Campioni: Vavassori, Prini, Ardizzon, Cresci, Janich, Gregori, Perani, Rizzo, Savoldi, Liguori, Pace, Roversi, Battisodo, Scala, Bulgarelli. Allenatore: Edmondo Fabbri. I marcatori del Bologna: Perani 1, Rizzo 1, Savoldi 1.

Il Manchester City ieri a Rimini senza misteri 

RIMINI, 1. — Il Manchester City che domani affronterà il Bologna nella Coppa italo-inglese, è giunto a Rimini nel primo pomeriggio. Della comitiva fanno parte 16 giocatori e precisamente i titolari Corrigan, Book, Pardoe, Doyle, Booth, Oakes, Summerbee, Bell, Lee, Young, Towers, e le riserve Mulhearn, Heslop, Jeffries, Hill e Bowyer. I primi undici, secondo quanto ci ha detto il trainer Malcolm Allison (che come i lettori ricorderanno l'anno scorso era stato trattato dalla Juve) scenderanno in campo a Bologna. Dopo un riposo di un paio d'ore in albergo e un bagno in piscina, la comitiva ha preso la via dello stadio comunale « Romeo Neri », dove ha sostenuto una partitella di allenamento a mezzo campo, preceduta dai consueti esercizi ginnico-atletici. Nella sgambatura in famiglia, durata 30', mister Allison ha contrapposto due squadre di otto giocatori ciascuna senza ruoli fissi, tanto è vero che la mezzala nazionale Bell si è schierato in porta, cedendo il suo posto in attacco al secondo portiere Mulhearn. Sulla partita con il Bologna il trainer britannico non si è sbilanciato molto: « Non ho mai visto giocare il Bologna e quindi non sono in grado di esprimere un giudizio diretto. Tuttavia da alcuni amici di fiducia mi è stato riferito che la squadra di Fabbri è una compagine forte, senz'altro una delle sette migliori squadre del campionato italiano. Noi però, contrariamente a quanto fanno le squadre italiane che mirano sovente allo 0 a 0 in trasferta, non scenderemo a Bologna solo per difenderci e per limitare i danni, ma cercheremo di fare dei gol ».

Bologna-chic con Bulgarelli, Manchester City battuto 

Con Bulgarelli-"super" battuto il Manchester City 


DALL'INVIATO 


Giuseppe Pistilli


BOLOGNA, 2. — Il Bologna ha prontamente riscattato la figuraccia di sabato in Coppa, battendosi pari a pari con i fortissimi maggiorati fisici dei Manchester City. Per la verità è la prima prova convincente che offre in questo non facile precampionato nel corso del quale Edmondo Fabbri ha dovuto tener presente, oltre ai traguardi lontani, anche l'obiettivo ormai prossimo della Coppa delle Coppe. Il rientro di Bulgarelli ha coinciso con questa beneaugurante vittoria grazie alla quale i rossoblu si sono riconciliati con il loro sarcastico pubblico. Non a caso il recupero del capitano ha propiziato una piacevole esibizione ed il prepotente risveglio collettivo dell'intera squadra. Bulgarelli si è confermato anche questa sera l'anima e non soltanto l'ispiratore del Bologna. Nel primo tempo è stata proprio la regia attenta, esemplare di Bulgareili a permettere al Bologna, una volta passato in vantaggio con Rizzo, di mantenere saldamente in pugno la partita e di smorzare le velleità degli inglesi. Nei primi 45' finché ha potuto giocare ad un ritmo serrato, il Bologna ha dato la paga a questo Manchester City che ha costituito indubbiamente una grossa delusione. Dopo il gol di Rizzo il Bologna avrebbe potuto in almeno due circostanze raddoppiare il vantaggio. Non vi è riuscito per le disattenzioni dei singoli o per i piccoli errori di mira. Nella ripresa, il primo ad accusare stanchezza è stato Perani, magnifico nel primo tempo per dedizione ed astuzia tattica. Insieme con Bulgarelli, la piccola ala, trasformatasi ormai in centrocampista, è stata fra i protagonisti della partita. Con l'uscita di Perani - si era ormai al 75' — il Bologna ha tirato i remi in barca, cercando soltanto di conservare l'uno a zero. Vi è riuscito grazie alla puntigliosa prestazione dei suoi difensori fra i quali ha primeggiato Cresci, ostinato francobollatore del temuto Lee. Comunque, anche Roversi ha praticamente cancellato dal campo Young, mentre il solo Summerbee ha provocato qualche sbandamento sul settore sinistro del pacchetto arretrato bolognese.

Bulgarelli il punto di forza del Bologna


Il punto di forza del Bologna, si è detto, è stato al centrocampo, grazie alla regia di Bulgarelli. Comunque, un altro elemento si è questa sera guadagnato numerose simpatie. E' stato Rizzo, per avere interpretato una difficile parte: quella del centrocampista che si trasforma in punta. Rizzo è stato il più pericoloso tiratore bolognese. Dopo il gol ha sempre tenuto in allarme portiere inglese, costringendolo ad una serie di difficili interventi. Non ci hanno granché impressionato, invece, né Savoldi, né Pace. Savoldi, per lo meno, ha piazzato un paio di colpi, mentre la parte di Pace è stata quasi sempre irrilevante. In definitiva, un Bologna che sembra avviato sulla buona strada. Il Manchester City, evidentemente, era in cattiva serata. Il gol a freddo di Rizzo lo ha gelato. Il suo elemento migliore, Bell, è stato in realtà uno dei peggiori. Anche Lee, altro « nazionale », ha fatto vedere molto poco: in parte per proprio demerito, in parte per merito di Cresci. In pratica, l'attacco inglese è vissuto sempre sulle iniziative di Summerbee, il quale, nel primo tempo, ha ridotto a mal partito Ardizzon. Nella ripresa, però, anche Summerbee lentamente è sparito dalla scena. Senza un organizzatore a centrocampo, con le punte implacabilmente bloccate dai bolognesi, il Manchester City ha giocato a livello men che mediocre, distinguendosi qua e là, soltanto per alcune gratuite scorrettezze. Tuttavia, è una squadra di grandissimo temperamento, di vasta esperienza, che nella partita di ritorno potrebbe sicuramente trasformarsi. Allora, potrebbero essere guai per il Bologna. Speriamo che Fabbri ed i giocatori rosso-blu non si illudano.

Una vigilia di contestazioni

Il Bologna affronta il primo turno della Coppa Interleghe in un clima che scoperti malumori e precoci insoddisfazioni hanno già reso pesante. Contestato impietosamente sabato scorso, durante la sua prima esibizione ufficiale, il Bologna ha fatto suo il record niente affatto invidiabile dei fischi fuori stagione. Il suo pubblico non gli ha concesso attenuanti, sorvolando persino su due assenze importanti che, invece, questa sera tornano in squadra contro il Manchester City, dando peraltro il cambio all'intramontabile Janich che non se l'è proprio sentita di accettare la sfida con gli inglesi, avendo un ginocchio in disordine. La prudenza del vecchio leone è comprensibile: le squadre inglesi vanno combattute senza vuoti nel cuore o cicatrici fresche sul corpo. Per giunta, il Manchester City di Lee, di Bell, di Summerbee è attualmente uno dei rappresentanti più vigorosi e al tempo stesso scintillanti d'oltre Manica, secondo in campionato soltanto al Leeds. Soprattutto in questo momento è una partita difficile per il Bologna che lievita lentamente, in preparazione alla partita della Coppa delle Coppe. Tuttavia, il Bologna comincia a spron battuto, senza paura. E già al 4' passa in vantaggio con un gol di Rizzo il quale raccoglie un lancio verticale di Perani. Dal limite dell'area, l'ex fiorentino fa partire un preciso rasoterra che coglie di sorpresa il portiere inglese: 1-0. L'avvio è davvero incoraggiante. Se non altro, questo gol dovrebbe ricaricare Rizzo, giocatore ombroso e complessato se mai ve ne furono.

Il City nel labirinto costruito da Fabbri


Dopo i bisticci con Pesaola e Merlo, dopo il fallimento a Firenze, questo potrebbe finalmente essere l'anno buono per questo eterno incompreso. Il gol appena segnato da Rizzo è stato molto bello, un gol preparato con un mezzo contropiede e realizzato con perfida precisione. Il Manchester sembra trasformato. La sua reazione, infatti, è blanda. Ne approfitta il Bologna per controllare il centrocampo ed insidiare, sempre di rimessa, la porta di Corrigan e sfiorare il raddoppio al quarto d'ora; uno splendido servizio di Bulgarelli è raccolto da Savoldi che si scrolla di dosso Booth, piomba in area e con una sventola di sinistro sfiora il palo, Il Manchester City non riesce a trovare una via d'uscita nel labirinto che Fabbri ha costruito a centrocampo con l'astuzia che gli è proverbiale. Bulgarelli e Perani, ad esempio, si alternano su Bell, tenendolo costantemente sotto controllo. Il lavoro di tamponamento di Perani è prezioso quanto l'opera di rifinitura che Bulgarelli svolge spesso a ridosso delle punte. Almeno sinora i due veterani rossoblu sono stati gli alfieri di questo sorprendente Bologna che incomincia a guadagnare i primi applausi. Anche Rizzo sta andando a gonfie vele: una sua stangata a lunga distanza brucia le mani di Corrigan il quale, verso la mezz'ora, corre il rischio di essere infilzato come un tordo da Savoldi. Sull'altro fronte, invece, Vavassori non è stato impegnato severamente. Il portiere-matusalemme se l'è cavata con un paio di poderose uscite di pugno ed una comoda parata a terra. Gli inglesi si difendono con tanto di libero anche quando il Bologna riduce le punte al minimo indispensabile. E dire che il signor Allison aveva pubblicamente dichiarato di non conoscere il ruolo del libero! Tuttavia, il Bologna crea numerose occasioni per segnare ancora; prima Savoldi al 40' poi Pace al 44' sciupano le più sostanziose palle-gol. Facciamo un primo bilancio. Le impressioni sul conto del Bologna sono senz'altro positive, la squadra rossoblù si è mossa con vivacità, organizzata da un Bulgarelli in vena eccellente.

Un Bologna ancora in fase di rodaggio

Comunque il Bologna è piaciuto soprattutto per il ritmo con cui ha tenuto testa al Manchester, costretto per lunghi periodi a difendersi, spesso affannosamente. Vedremo se nel secondo tempo la proverbiale potenza atletica delle squadre anglosassoni avrà ragione di questo Bologna che, non bisogna dimenticarlo, è ancora in fase di rodaggio. Nella ripresa, il Bologna si presenta con Prini al posto di Ardizzon che nel primo tempo ha dovuto ricorrere a tutti i trucchi del mestiere per frenare lo slancio del massiccio Summerbee. Rizzo si fa subito riconoscere da Corrigan con un tiraccio pieno d'effetto. Risponde il Manchester con Lee e Pardoe poi è Savoldi a sferrare un violentissimo sinistro che Corrigan blocca in tuffo. Il Manchester si fa più audace, cominciando a sganciare, a turno, uno dei suoi difensori. Anche Bell accentua la sua spinta offensiva, fungendo spesso da secondo centravanti a fianco di Lee. In questa fase, il campione della nazionale inglese è affidato alle cure di Gregori che non lo molla un attimo. Al quarto d'ora, Savoldi, su un tiro da fuori gioco, sfugge a Booth, evita anche il portiere, ma allunga troppo il pallone ed il suo precipitoso cross non è sfruttato da Pace. Subito dopo una punizione di Rizzo è deviata a stento da Corrigan. Il Manchester preme con maggiore insistenza, ma la sua manovra è confusa. II Bologna gli regala una fetta della metà campo, preoccupandosi soprattutto di irretire Bell. La tattica si sta rivelando indovinata: Bell, infatti si vede molto raramente mentre Pardoe e Book non sono in grado di architettare un efficace gioco di sostegno. Al 32' seconda sostituzione del Bologna: entra Scala al posto di Perani il quale dopo uno strepitoso primo tempo è leggermente calato nella ripresa. Negli ultimi minuti il Bologna si arriccia in area, per difendere l'esiguo vantaggio. Al 37' una punizione di Young, deviata dallo spicco di un difensore rossoblù per un soffio non provoca un autogol. E' l'unico brivido per Vavassori. Fino al termine, infatti, il Bologna tiene a debita distanza il Manchester City che dà quasi l'impressione di rassegnarsi a questa sconfitta che avrebbe potuto avere dimensioni più consistenti.
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BOLOGNA: Vavassori; Roversi, Ardizzon; Cresci, Battisodo, Gregori; Perani, Rizzo, Savoldi, Bulgarelli, Pace (a disposizione: Adani, Fedele, Scala, Prini, Vastola). Allenatore: Fabbri.
MANCHESTER CITY: Corrigan; Book, Pardoe; Doyle, Booth, Oakes; Young, Bell, Lee, Towers, Summerbee (a disposizione: Mulhearn, Heslop, Jeffries, Hill, Bowyer). Allenatore: Allison.
ARBITRO: Smith (Inghilterra).
MARCATORE: nel primo tempo, al 4' Rizzo.
NOTE: in tribuna il Presidente federale Franchi ed il Presidente della Lega Stacchi, Prima dell'inizio della partita, Franchi ha premiato il Bologna, vincitore dell'ultima edizione della Coppa Italia, consegnando il trofeo al capitano rossoblù Bulgarelli. Circa 25.000 spettatori. Presente anche l'allenatore del Vorwärts di Berlino, signor Kiupel, prossimo rivale del Bologna nella Coppa delle Coppe.
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Fabbri: « Ci voleva ancora un gol »


BOLOGNA. 2. — Fabbri era naturalmente abbastanza contento, della partita così come l'avevano impostata. Ha detto: « Certo, sarebbe stato più logico che delle tre o quattro azioni fatte molto bene, almeno un'altra si concretasse in gol. E allora sarebbe stata una partita perfetta. Tuttavia sono soddisfatto ». L'allenatore del Bologna si è anche incontrato con l'allenatore del Vorwärts di Berlino Est, signor Kiupel, che era venuto ad assistere alla gara, annunciandogli il suo arrivo anticipato per il 12 settembre. In quella data, infatti, il Vorwärts dovrà giocare una importante partita del suo campionato. E sarà quindi una buona occasione per conoscerlo da vicino. Quanto all'allenatore inglese Mr. Allison, ha detto: « Il Bologna ha giocato abbastanza bene. Non lo conoscevo, ma sapevo che si trattava di una buona squadra ». Alla domanda sul perché egli abbia tenuto costantemente il numero 10 Towers "libero'', l'allenatore (che doveva succedere a Carniglia, esonerato nella Juventus) rispondeva: « Non l'ho fatto giocare libero. Era in linea come gli altri... ».

Gol di PERANI e SAVOLDI 

Rossoblu di ferro 


di Sergio Perbellini


MANCHESTER, 2. — Il Bologna ha conquistato con una gagliarda prova, sul difficilissimo campo del Manchester City, la Coppa italo-inglese: infatti, in virtù della vittoria ottenuta a Bologna (1-0), ha potuto, con il pareggio di questa sera (e in virtù anche dei due bei gol segnati), vedersi assegnato per quest'anno l'argenteo trofeo messo in palio dalle due Leghe. Chiaro che l'impresa non è stata semplice, non solo, ma una volta di più il Bologna ha dimostrato la sua statura in campo internazionale, non cedendo né sul piano cosiddetto atletico, né su quello della tecnica. La squadra di Fabbri ha dimostrato cosa significhi mantenere un centrocampo forte, una difesa ben protetta e scattare in contropiede quando gli avversari sbilanciati mostrano il fianco. Occorre dire che, a seguito delle polemiche nate dai recenti confronti italo-inglesi, il pubblico era mal disposto. Ma, alla fine, agli inevitabili fischi dei tifosi locali delusi si sono uniti anche gli applausi di quella parte del pubblico che aveva capito la reale consistenza del Bologna. E' stata una bella battaglia, che a volte ha sfiorato anche il limite del lecito. Ma, complessivamente, Angonese ha saputo tenerla in pugno. Diciamo subito che del Bologna vanno messi tutti sugli scudi: ogni giocatore ha fatto interamente il suo dovere.

Vavassori sugli scudi


Ottimi sul piano agonistico anche gli inglesi di Allison. Hanno dimostrato, a loro volta, le qualità migliori della loro scuola, della scuola inglese fatta di velocità e di proiezioni in avanti. Ma hanno dimostrato, in più occasioni, che proprio il troppo insistere in proiezioni offensive può risultare pericoloso di fronte alle squadre che giocano... all'italiana. Un sole davvero raro per questo Paese ha rallegrato le giornate di attesa dei calciatori bolognesi a Lymm, una località bellissima immersa nel verde dei boschi e dei prati, a una trentina di chilometri da Manchester, ma che sa un po' di "eremo" sperduto. Non c'è stato insomma alcun segno del famoso clima inglese, grigio, umido e desolante. La nebbia, tuttavia, é cominciata a calare, sia pure non fitta, sul campo del Maine Road una mezz'ora prima dell'inizio della gara. Ma non era affatto fastidiosa. Il terreno di gioco era stato abbondantemente irrorato di acqua e questo fatto non è tornato certo gradito a Fabbri e ai giocatori rossoblu. Lo stadio si è riempito quasi del tutto prima del "via" fischiato da Angonese, che ha come collaboratori Vittorio Lattanzi e Calogero Crista. Si inizia con qualche minuto di ritardo. Gli inglesi sono in maglia rossonera, i bolognesi in maglia bianca. Il gioco, naturalmente, è tutto di marca inglese. Il Manchester preme con bella vigoria ma anche con una certa baldanza, per almeno un quarto d'ora. Il Bologna corre almeno tre pericoli, sventati sempre dal grandissimo Vavassori (che proprio al termine del tempo, al 45' farà un'autentica acrobazia tale da salvare un gol quasi sicuro).

Il Bologna punisce gli inglesi

Ci sono tre calci d'angolo sempre a favore del Manchester; poi, il Bologna che già da qualche minuto ha dato segni di risveglio, se non altro a centrocampo, si affida al contropiede: ed è naturale perché veramente il Manchester, ormai tutto preso dalla sua furia offensiva, dimentica completamente la difesa. E viene il gol: c'è un allungo dalle retrovie di Cresci, Pace conquista un pallone molto faticoso, in velocità lo butta in avanti, scende sulla destra e crossa al centro, dove nel frattempo si è precipitato Savoldi, il centravanti (che sta comportandosi benissimo benché tutto solo), di testa smista indietro all'accorrente Perani, che, sulla sinistra, si è trovato a far un'azione da ala pura; il bolognese ferma benissimo il pallone e immediatamente con tiro fulmineo lo spedisce di sinistro in rete. Corrigan è battuto inesorabilmente. Nello stadio, che é una enorme pentola in ebollizione, cala il gelo. Ma subito c'è la reazione degli inglesi, che tuttavia rischiano di essere nuovamente... puniti!

Savoldi spreca troppo


Al 24' il Bologna ha l'occasione grossissima del raddoppio: c'è un tiro di Savoldi da fuori area che il portiere inglese non riesce a trattenere, lo stesso Savoldi recupera il pallone sfuggito al guardiano avversario, si sposta sulla destra mentre Corrigan è lontano dalla rete; Pace invoca il passaggio, quasi solo davanti alla parta incustodita, ma Savoldi, purtroppo, sbaglia il passaggio e l'azione sfuma. Di fronte a questa clamorosa occasione mancata, vien quasi naturale il gol del pareggio: siamo al 25', e Bell che è l'uomo più pericoloso e più irriducibile degli attaccanti, scende sulla sinistra e crossa: aggancia Oakes e il suo tiro fulmineo viene altrettanto fulmineamente respinto da Vavassori, ma il pallone capita proprio sulla testa di Lee, che nel frattempo si era proiettato come un siluro. Il giocatore schiaccia di testa e Vavassori non può farci nulla. Gli animi si scaldano, c'è una lite fra Janich e Bell, subito sedata. Poi al 35' c'è una carica assassina di Heslop su Liguori che resta a terra. I bolognesi replicano sul piano della bagarre e Savoldi, a sua volta, viene ammonito. Poi la pressione inglese riprende e la difesa bolognese deve stringere i denti, ma ce la fa: soprattutto in virtù di un Vavassori, che con il passar del tempo sta dando sempre più esatta la misura di se stesso. Al 45', un'azione di Bell porta il giocatore a distanza ravvicinata, e il suo tiro è una bomba: ma Vavassori riesce, con un intuito eccezionale e una prontezza magnifica a salvare una volta di più in angolo. Nella ripresa si ripropone la tattica di sempre: un Manchester City costantemente proiettato in avanti, un Bologna che cerca la zampata in contropiede. E la cosa riesce anche in questa seconda parte di gara. Infatti dopo che per parecchio tempo la pressione è esercitata nella metà campo bolognese, dopo che al 5' un fallo di mano involontario di Janich ha scatenato le proteste del pubblico, dopo che Vavassori in uscita ha salvato un pallone difficilissimo, dopo che al 19' Savoldi si è mangiato una nuova grandissima occasione, si ha finalmente il contropiede giusto al 28'.

Rosso-blu più precisi ed eleganti

Pace, che è stato di eccezionale mobilità e bravura per tutto l'arco della gara, dannandosi anche in fase difensiva ai infiltra velocemente in attacco. Resiste molto bene a due marcature all'inglese e spara forte appena dentro l'area: un difensore intercetta, mettendo fuori causa il portiere, il pallone perviene di nuovo a Savoldi, che questa volta al volo infila. Gli inglesi, cocciuti, ripartono a testa alta, e ottengono il pareggio 2' dopo: c'è un'azione sulla sinistra da parte di Hill che crossa una volta giunto a fondo campo, un pallone difficile, ma che ormai è conquistato da Vavassori prontissimo nella uscita. Purtroppo la presa del forte portiere, sbilanciato da un paio di cariche di due avversari, si allenta, e il pallone gli sfugge di mano quel tanto per cui Heslop può toccare infilando da due metri. Il pareggio dà nuova combattività sia agli inglesi che agli italiani i quali, ormai, hanno capito di potercela fare a conquistare la Coppa... E infatti la manovra del Bologna si fa molto più precisa ed elegante, e soprattutto proiettata un po' più lontano dall'area di rigore. Al 38' c'è un nuovo episodio emozionante: una incursione sulla sinistra di Lee sbilancia un po' la difesa bolognese: il centravanti inglese serve Hill e si proietta al centro: tre uomini caricano il portiere Vavassori e il pallone, toccato dallo stesso Lee, entra in rete: ma Angonese, decisissimo, annullava.

Manchester C.-Bologna 2-2

MANCHESTER CITY: Corrigan, Book, Pardoe; Doyle, Heslop, Oakes; Hill, Bell, Lee, Young, Towers.
BOLOGNA: Vavassori, Prini, Ardizzon, Cresci; Janich, Gregori, Perani, Rizzo, Savoldi, Liguori, Pace.
ARBITRO: Angonese (Italia).
MARCATORI: nel primo tempo al 16' Perani, al 25' Lee. Nella ripresa al 28' Savoldi, al 30' Heslop.
NOTE: tempo buono e non freddo, prato all'apparenza discreto, ma i giocatori si sono lamentati poi delle molte buchette nascoste sotto l'erba. Presenziano circa 30 mila persone. In tribuna d'onore il dr. Barenghi, Console italiano a Manchester. Presente il presidente della società inglese Mr. Alexander e Filippo Montanari, reggente del Bologna, per la Lega, il tesoriere dr. Michele Giuffrida. Hanno assistito alla gara anche molti giocatori del Manchester United, tra cui Bobby Charlton, Stiles e Best.

Il Bologna ora punta sul Vorwärts

Dall'inviato


Sergio Perbellini


MANCHESTER, 24. — Il Bologna sta ritrovando con Edmondo Fabbri una statura nuova, una dimensione assai più consona alla sua ricca tradizione. Forse il grigio periodo di transizione che si è trascinato per vari anni sta terminando. Forse è stata imboccata la strada giusta, per ridare a questa squadra quel gioco e quel carattere che un tempo rappresentavano giustamente un orgoglio non soltanto dei bolognesi, ma del calcio nazionale. La vittoria nella Coppa italo-britannica presenta, dunque, motivi di interesse e di autentica gloria per il Bologna. Il quale ha totalizzato vari traguardi, attraverso il combattuto pareggio ottenuto ieri sera sul campo del Manchester City. Riassumeremo questi traguardi attraverso alcuni punti: 1) Da quando la formazione rossoblu si è dedicata alle «Coppe», ha avuto modo di venire varie volte qui in Inghilterra, e sempre si è battuto ad altissimo livello. Con il West Bromwich, con il Leeds, ora con il Manchester City, la collana delle grandi prestazioni è rimasta ininterrotta. Ieri sera, poi, il Bologna, ha conquistato la Coppa Interleghe, detta anche Coppa Italo-Britannica. L'impresa è di eccezione, perché, lo ripetiamo, questo Manchester City è la squadra più forte, più interessante dell'intero calcio britannico. E taluni suoi giovani elementi, nazionali naturalmente, rappresentano il futuro della Nazionale di Ramsey. Mister Allison, il famoso allenatore che l'anno scorso rifiutò l'offerta della Juventus, ha detto semplicemente questo: «Gara stupenda, Bologna forte, più forte che a casa sua». 2) In un periodo in cui i rapporti calcistici e umani tra italiani ed inglesi stanno attraversando un momento difficile, il Bologna ha saputo farsi applaudire. Cosa importante: prima della partita, evidentemente influenzato dagli incidenti occorsi recentemente con la Lazio, oppure un po più lontano, con il Napoli, il pubblico aveva accolto la squadra bolognese con una salva fragorosa di fischi ed ululati. Poi c'è stata la partita, nella quale si è sviluppato un tifo d'inferno e si sono avuti anche alcuni piccoli incidenti, subito sedati dall'energico Angonese. Quando però, al termine della gara, il Bologna con pieno merito poteva alzare ben alta la bellissima Coppa italo-britannica, allora il pubblico, questo pubblico veramente molto sportivo, ha tramutato le sue disapprovazioni in un applauso corale.

Il Bologna applaudito dal pubblico e dai giocatori del City

Gli stessi giocatori del Manchester, che fino a pochi istanti prima si erano lanciati rabbiosamente contro la porta di Vavassori, hanno fatto ala ai giocatori del Bologna che uscivano dal campo, applaudendoli calorosamente. 3) E' il caso, ora, di parlare della scuola italiana e della scuola inglese. Allison, elogiando il Bologna, ha sottolineato in pratica l'ottima attuazione da parte dei rossoblu del cosiddetto gioco all'italiana. In effetti a Manchester il Bologna ha saputo, in virtù della bravura dei suoi giocatori sia di difesa che di centrocampo, contenere, smorzare, rintuzzare gli assalti a valanga dei rossoneri inglesi. Poi, approfittando del naturale sbilanciamento in avanti della squadra inglese, i rossoblu hanno attuato i contropiede vincenti. Il confronto italo-inglese, dunque, si è risolto a favore della scuola italiana? E' difficile dirlo e soprattutto poterne parlare così rapidamente. Resta il fatto che questo gioco all'italiana, tanto osteggiato, criticato ed ironizzato da molti allenatori stranieri, sta inesorabilmente avanzando e risultando valido. 4) Avranno conseguenze sul campionato del Bologna questi successi ottenuti prima a Berlino Est, poi a Manchester? Pensiamo di si, ma non tutti in senso favorevole. La squadra, infatti, esce da grossi impegni, da un enorme dispendio non solo di energie fisiche, ma anche nervose. E infatti Fabbri, ieri sera, negli spogliatoi, dichiarava: «II problema più difficile, ora, è di recuperare, in vista della prima partita di campionato col Vicenza». Effettivamente, oltre al Vicenza, il Bologna guarda al prossimo mercoledì, quando dovrò ospitare il Vorwärts. Le due partite, che seguono a breve intervallo il notevole sforzo di Manchester, possono dare delle preoccupazioni. Ma non dimentichiamo che Fabbri ha saputo operare sostituzioni importanti, per dar modo a vari giocatori — come ad esempio Bulgarelli, Roversi e Fedele — di riposare. 5) Ultima constatazione: il Bologna vecchio, il Bologna cioè di Vavassori, Ardizzon, Janich, Perani, sta trovando una perfetta fusione, una esemplare sincronia con il Bologna nuovo, quello di Prini, Cresci, Gregori, Rizzo, Liguori, Pace. E questo fatto è veramente beneaugurante. Lo scorso anno Janich, in un momento difficile, ebbe a puntualizzare che gran parte delle difficoltà provenivano da questa mancata fusione tra vecchi e giovani. Ora, Fabbri forse ha trovato la formula giusta. E bisogna dar atto a questo allenatore, che fino a qualche settimana fa, dopo gli insuccessi di Coppa Italia, era stato contestato, del buon lavoro fin qui compiuto.

mercoledì 15 luglio 2009

Gino Cappello


Il funambolico, estroso, carissimo Gino Cappello. Un mito per tutti i tifosi del Bologna. Genio del pallone, adorato dall'esigentissimo pubblico che affollava gli spalti del Comunale negli anni Quaranta e Cinquanta. Tifosi che talvolta faceva disperare per quei momenti di abulia nei quali pareva non essere in campo: distratto, assente, si narra che una volta si fermò in mezzo al campo, durante un'azione di gioco, a rimirare un aereo che sorvolava lo stadio. Per il resto, Gino Cappello era un mostro di bravura, un manuale di tecnica: dribbling, fantasia, visione di gioco. Un autentico fuoriclasse. Secondo l'opinione di Nils Liedholm e del famoso giornalista Sandro Ciotti, il migliore giocatore italiano mai visto. Purtroppo giocò in un Bologna non competitivo per lo scudetto, anzi, a volte mediocre e squinternato. Dopo lo scudetto del 1940-1941, l'epopea del grande Squadrone si era conclusa e i rossoblù stentavano a metà classifica. Fu in quel periodo che il presidente Renato Dall'Ara si innamorò calcisticamente di questo lungagnone dal grande talento, cresciuto nel Padova (la sua città, dove era nato nel 1920) e poi passato al Milan, dove giocò con Boffi e un Meazza a fine carriera. Dall'Ara propose al Milan (squadra dove Cappello non si era mai espresso al meglio) lo scambio con Héctor Puricelli, "testina d'oro", il bomber uruguagio pluriscudettato con il Bologna, erede di Schiavio, ma ormai inviso su piazza. L'affare si fece, e Gino Cappello a Bologna rimase dieci lunghissimi anni, dieci anni di prodezze da far spellare le mani ai tifosi rosso-blu. Prodezze, ma come già scritto anche "assenze" e pause di gioco irritanti, causa le quali Cappello non si consacrò a livello mondiale, come invece avrebbe meritato la sua enorme classe. A fine carriera aprì una tabaccheria-drogheria a Bologna (dove rimase a vivere), in pieno centro storico, esattamente in via Castiglione, dove fino a pochi anni fa campeggiava sopra al bancone la splendida foto che si può ammirare anche in questo post (l'azione contro la S.p.a.l. del 1954).

Gino Cappello nacque a Padova il 2 giugno 1920. Giocò nel Bologna dal 1945-46 al 1955-56, per un totale di 259 presenze e 101 reti tra campionato e coppe. 11 presenze in Nazionale (esordio il 22-5-1949 in Italia - Austria 3-1, con un suo gol). Col Bologna vinse la Coppa Alta Italia nel 1945-46, segnando la bellezza di 21 reti in quel torneo. È scomparso a Bologna il 28 marzo 1990.

Addio a Ciotti, la voce solista del calcio.

di Mario Gherarducci 

Corriere della Sera, 19 luglio 2003


Sandro Ciotti [...] si era dedicato a raccontare la propria vita professionale e le proprie molteplici esperienze in una godibile autobiografia intitolata «Quarant’anni di parole», pubblicata sei anni fa dalla Rizzoli. Romano da generazioni, studi da violinista e passato da calciatore, scapolo incallito, una splendida vecchia casa sul Lungotevere, dove custodiva gelosamente migliaia di dischi ed esibiva orgoglioso un tavolo da biliardo, Ciotti era approdato alla Rai nel ’59, scelto per condurre una trasmissione che mescolava sport e musica, le sue due grandi passioni assieme al cinema. Era l’inizio di una carriera che avrebbe portato Sandro a raccogliere 14 Olimpiadi (sua la lunga e drammatica radiocronaca in diretta della strage ai Giochi del ’72 a Monaco), 40 Festival di Sanremo, 15 Giri d’Italia e oltre duemila partite di calcio, comprese quelle di otto campionati del mondo. Uno dei suoi vanti, oltre quello di aver conosciuto da vicino i maggiori esponenti della musica leggera, del cinema e dello sport, era una trasmissione di successo da lui ideata e condotta, «Trenta secondi con l’uomo del giorno», che andava in onda la domenica pomeriggio al termine delle partite. Nel suo libro Ciotti s’era divertito a offrire ai lettori alcune chicche. Una era la scelta di quello che lui considerava, «almeno dal punto di vista strettamente tecnico, il più grande calciatore italiano di tutti i tempi». Gino Cappello, centravanti del Bologna nella seconda metà degli anni ’40. 

LA SAI L'ULTIMA?

TANTO DI CAPPELLO.

Di Gianfranco Civolani.

Avevo quindici anni, portavo la mia bella sciarpettina rossoblù e per chi stravedevo? Stravedevo per Gino Cappello e per Glauco Vanz. Chi erano e furono Cappello e Vanz? Eccomi qui a raccontare una trancia della mia adolescenza e magari a ricordare agli immemori. Gino Cappello detto "Capeo" l'avevo visto esordire nel Bologna nell'anno di grazia millenovecentoquarantacinque. Mio padre mi aveva indirizzato: «Quel Cappello ha un magico tocco di palla», mi aveva detto. E in effetti quello strano tipo di soggetto, così lunatico e introverso, era capace in soli cinque minuti di illuminarsi e illuminare d'immenso tutto il circondario. Cose dell'altro mondo, credete. E «Capeo» regalava ai suoi fans (eravamo in parecchi) grandi gioie e anche grandissime delusioni. «Chissà se oggi "Capeo" sarà mai in giornata di luna pari», dicevamo in tanti. Vai a saperlo. Ma anche solo cinque minuti di quell'inarrivabile artista a me bastavano e avanzavano. E quando "Capeo" arrivò a toccare i trentacinque anni e andò a giocare a Novara, io con la mia Lambrettina volai a Modena per vederlo con quella maglia blu-crociata (Modena tre e Novara uno: ahimè, come ricordo ancora) e quando più tardi e in età veneranda "Capeo" venne a giocare a Bologna nella Tramvieri, io il sabato ero sempre là e mi ricordo un suo gran gol contro il Pesaro (o il Fano?), e dopo il match tutti noi fedelissimi eravamo intorno a lui e lui non apriva bocca perché quella sua vocettina nasale non la concedeva a nessuno, semmai se ne stava sempre così stralunato e incupito. E quando poi sono diventato giornalista ho sempre sognato di scrivere un bell'articolo su Cappello, ma lui era uscito dal mondo del calcio e così - si può dirlo? - ho pensato che avrei almeno potuto scrivere qualche bella cosa in morte di "Capeo", ma lui mi ha fatto anche questo dispetto perchè se n'è andato proprio quando io mi trovavo all'estero. E così nemmeno una riga sul mio idolo ho mai potuto scrivere in diretta.

Da: "1909, novant'anni di emozioni".

Di Andrea Mingardi.


"... Anche adesso che la TV, come maggiore occupazione ha quella di distruggere qualsiasi mito o leggenda, noi vorremmo aver conosciuto Marconi, Leopardi, Picasso o Leonardo. Ebbene io ho conosciuto Gino Cappello. Abulico filucone antiestetico, naso carenato e poca voglia di fare fatica. Baciato, però, dal Dio "Eupalla". Attraversato da genio che ha equilibrato i nostri sistemi solari, imprevedibile come Hitchcock, in possesso di finte di corpo che spostavano gli avversari e le auto di loro proprietà. "Capeo", dinoccolato fenomeno, in parte dimenticato da storici e giornalisti, rappresentò la tela rossoblù sulla quale scrivere i miei ricordi. Ebbi la fortuna suppletiva di godermelo come compagno di squadra quando, smessa la carriera, si lasciò convincere a non andare a giocare campionati minori".

Quel fenomeno di "Capeo".

Di Luca Sancini

Protagonista nel Bologna del Dopoguerra, arrivato dal Milan dopo la cessione di Puricelli, Gino Cappello è considerato uno dei più talentuosi giocatori rossoblù di tutti i tempi. "Corsa, dribbling e tiro: giocava 5 minuti a partita, ma in quei 5 minuti era il più forte del mondo" La Bologna che esce dalla guerra è una città ferita, gran parte del centro storico lesionato dai bombardamenti degli Alleati, le strade piene di macerie, i primi passi della ricostruzione. E lì, fuori porta Sant'Isaia lo stadio ribattezzato Comunale, dove il tifo rossoblù che ha ancora in bocca il sapore dello "squadrone che tremare il mondo fa", cerca nuovi beniamini per tornare a gioire dello sport più bello del mondo. Non saranno anni epici quelli del primo dopoguerra per il Bologna, c'è il grande Toro a dominare la scena, e i nostri sia pur appena cinque anni prima protagonisti assoluti del Campionato, stenteranno a rinverdire i fasti. Nel primo campionato dopo il conflitto mondiale il Bologna arrriva solo settimo: uno scivolamento all'ingiù per una big, nonostante il presidente Dall'Ara si adoperi per allestire una buona squadra. Tra loro Gino Cappello, il giocatore che più di ogni altro ha acceso la fantasia dei tifosi: ancora oggi nella generazione che si affacciava giovane al tifo calcistico tra gli anni '40 e '50 resta l'uomo delle giocate fantasiose, dell'estro inimitabile, del colpo da lasciare a bocca aperta. Certe azioni e quelle finte che facevano scontrare i difensori l'un l'altro ubriacati dalla mossa, restano nel patrimonio tra leggenda e memoria di una tifoseria. Arriva dal Milan, questo veneto di Padova non di tante parole, perchè il fiuto del presidente capisce che può essere il talento del ragazzo a ripagare la piazza dalla cessione di Puricelli, che va al Milan. Valcareggi racconterà anni dopo che con Gino, con cui divideva la camera, si sarà parlato con non più di due o tre frasi: "Mica avevamo litigato, eravamo così tutti di carattere chiuso. Lui "Capeo" diventa presto un idolo, non è che riempia le reti degli avversari di gol, ma i tifosi del Bologna vanno quasi allo stadio solo per lui, dato che i sogni di gloria in quegli anni sono apppannati: il Bologna per dieci anni non riuscirà mai ad arrivare più in là del quarto posto, nonostante in formazione abbia giocatori di grande valore. Se c'è un calciatore che a Bologna lega il suo nome agli anni della rinascita, questo è Cappello.

Per cinque minuti il giocatore più forte del mondo

Gioca solo cinque minuti, dicono in curva, ma in quelli ci stanno un dribbling fulminante, una corsa e un tiro che spesso lasciano le difese di sasso. Quando gioca in azzurro (11 partite con l'esordio in Italia-Austria del 22 maggio 1949, poco dopo la tragedia di Superga dove scompare il grande Toro) i bolognesi si spostano per andare a vederlo negli altri stadi d'Italia. C'è anche un'ombra nella sua carriera: in quelle estati della Bologna dopo la guerra furoreggia il Palio Petroniano, una sorta di trofeo dei bar nei mesi più caldi, dove le "contrade" assoldano annche giocatori di serie A. In uno di questi match, a Cappello scappa uno schiaffo e forse un calcio all'arbitro. L'ha fatta grossa e per questo gesto c'è la squalifica a vita, una tegola per un campione nel pieno della carriera. Di fatto salta il campionato del 1952-53, ma la città e la stampa, pure quella nazionale, si schierano per il perdono che puntualmente arriva un anno dopo. Sono gli anni dell'accoppiata con Cesarino Cervellati, cresciuto nella Tommasini che infant prodige esordisce nel Bologna appena compiuti i 18 anni. Cappello giocherà per 245 partite con la maglia del Bologna, segnando complessivamennte 101 reti (80 delle quali in Campionato). La sua miglior stagione sarà quella del 1950-51, lui segna 16 reti affiancato dal giovane Cervellati, ma il Bologna arrriva solo settimo. Nell'ultima stagione disputata dopo 10 anni di militanza in rossoblù, Cappello fa da chioccia ad un altro Gino, veneto come lui: Pivatelli che a fianco del vecchio campione, si inserisce da dietro e fulmina spesso i portieri. Poi sarà la volta di un Campionato lontano da Bologna, al Novara, prima di mettere su famiglia e andare ad abitare in una villetta lungo via Toscana. Prese per anni una tabaccheria in via Castiglione, dove quando entri a fianco della scansia con le sigarette, campeggia ancora una sua foto: lui quasi in volo plastico mentre faceva partire una sassata verso la porta. Lascia questa vita nel 1990, a 70 anni. Gino Cappello, che per cinque minuti era il più forte del mondo.

Al secondo 0:23, una azione che illustra tutta la classe di Gino Cappello, in allenamento con la Nazionale contro il Modena prima dei mondiali in Brasile del 1950: palleggio sopraffino e apertura verso la mezzala azzurra.



Una squalifica a vita poi rettificata:

un "Giallo" nella Bologna calcistica degli anni cinquanta

NELL'ESTATE DELL'ANNO 1952 SUCCESSE DI TUTTO. IN CAMPO GIUDIZIARIO TUTTA L'ATTENZIONE ERA RIVOLTA AL PROCESSO CASAROLI.

Di Giuseppe Quercioli

Estate del 1952. A Bologna si teneva l'occhio rivolto dalle parti dello Stadio Comunale, dove erano in corso le eliminatorie del "palio Calcistico Petroniano". Per chi non conoscesse questa sagra calcistica estiva, diremo che il "palio calcistico Petroniano" che poi si ramificò in parecchi rivoli come il Palio Cestistico, il palio di pallavolo maschile, e, udite udite, il palio di lotta greco-romana, era un torneo dei quartieri indetto nel 1950 dalla locale ECA (Ente Comunale Assistenza), una delle tante comunità d'assistenza che svolgevano attività di sostegno agli indigenti, che allora, a Bologna abbondavano. l'ECA si premuniva di sostenere i bisognosi con pasti caldi, vestiario e buoni per acquisti d'ogni genere. Poiché le casse comunali non abbondavano, qualcuno aveva pensato a questa specie di torneo calcistico, chiamato appunto "Palio", ad una gara di cavalli, ma invece di corse con equini, si giocava al pallone allo stadio Comunale. Il Palio era dunque una divagazione estiva per gli amanti del "gioco calciato" e vi è da dire che questi tornei, sostenuti dai bar più noti della città, facevano affluire al Comunale, una massa di folla, quale era raro vedere in partite di calcio vero. I quartieri, erano sostenuti dai bar più famosi che grazie al contributo dei clienti assodavano giocatori di nome ed anche giovani di primo pelo che cercavano di mettersi in mostra a una platea d'attenti spetttatori. I bar che rispecchiavano i rioni della città erano così denominati: Bar Otello - rione centro, Bar Mazzini - rione Mazzini, Bar Europa - rione Andrea Costa, Bar S. Mamolo - zona San Mamolo. Poi vi erano le variazioni come il rione San Vitale con le antiche squadre Bolognesi di calcio amatoriale ed altre. Per tornare a quella dannata estate del 1952, il Bar Otello, che era considerato, assieme al Bar Europa, il Bar S.Mamolo e il bar San Vitale, il meglio della "vetrina" calcistica di casa, aveva ingaggiato tra le proprie file il giocatore del Bologna e della Nazionale Gino Cappello, croce e delizia dei tanti tifosi del Bologna per le grandissime giocate, unitamente alle molte "dormite" che facevano andare in bestia gli stessi tifosi. Gino Cappello, "Capeo" per i tantissimi tifosi del calcio anni cinquanta, classe 1920, era padovano di nascita, un attaccante che quando era in "giornata" non lo teneva nessuno. Ricordo un Bologna - Fiorentina di quel tempo. Cappello era stato ingabbiato da cinque difensori viola, d'un tratto Capeo si svincolò con due mosse di piede e d'anca, roba da "Maradona" e con un guizzo lasciò i difensori con il sedere in terra andando a segnare nella porta semivuota. Ricordo che se non venne giù lo stadio per l'ovazione di quel gol poco ci mancava. Torniamo dunque a quel fine Giugno-Luglio di quell'anno.

La squalifica del Palio


Ho detto un'estate maledetta, sì, perché in una serata dove giocavano alcuni giovani prometttenti e dove molti osservatori erano attenti alle loro esibizioni, il presidentissimo Dall'Ara svenne, colto da un collasso. Si pensò a qualcosa di veramente grave perché rimase inanimato per dieci minuti e si temettte il peggio. La settimana dopo, era un sabato e il calendario segnava il 5 luglio, capitò il "fattaccio" e per il "Giallo Sportivo" iniziò il primo capitolo con i protagonisti che si chiamavano Gino Cappello e Walter Palmieri. Andiamo dunque all'inizio. Era un sabato, la giornata era stata afosa, calda e appiccicosa e la sera una brezza calata dal Colle della Guardia, dava ristoro ai circa diecimila spettatori che assistevano al tanto atteso scontro tra il Bar Otello e il Bar S. Mamolo. Arbitrava un arbitro di Bologna, il ragioniere Walter Palmieri una perla d'uomo che abitava, se non vado errato nel Pratello. Era una persona così amabile e buona d'animo, e come capita a tutte queste persone, era "Manovrabile" nel senso che poi si scoprirà nel percorso della vicenda. Dunque, l'incontro tra le due squadre andava avanti alla meglio con una leggera supremazia del Bar Otello dove alla guida dell'attacco vi era appunto Gino Cappello. Palmieri fischiò un paio di falli di troppo, e forse innervosì qualche giocatore; fatto fu che verso la fine della partita, in una zona buia dello stadio, allora l'illuminazione non era come oggi giorno, si vide l'arbitro Palmieri cadere e dietro di lui Cappello che forse l'aveva spinto. Si pensava ad uno dei tanti episodi di gioco, ma quando l'arbitro non si rialzò e accorse subito in campo la barella, si capì che la cosa era più seria. Palmieri fu portato al Rizzoli e lì ricoverato per una distorsione al piede. Il sottufficiale di guardia al Rizzoli nel verbale d'accettazione su una dichiarazione dello stesso Palmieri scrisse. "In segno di protesta, improvvisamente, il giocatore Gino Cappello si lanciava di proposito sull'arbitro colpendolo alle spalle e facendolo cadere malamente a terra". Successivamente si disse che la "spinta volontaria, era stata accompagnata da "pugni" e quant'altro. Ecco che il primo capitolo del "Giallo" era già stato scritto: avanti con i successivi.

Nella sede del Bologna, in via Testoni, ci si stava preparando al peggio. In parte si intuiva che il "fattaccio" non si sarebbe esaurito con un semplice botto o una delle tante sanzioni a livello di multa; si temeva il peggio e Dall'Ara prese a cautelarsi in questo senso.

Intanto mancava un attaccante del tipo di Cappello, un giocatore capace di "inventare" il gioco e a creare situazioni favorevole al gol. Dall'Ara fece ritornare l'ungherese Stefano Mike, in prestito al Napoli. Mike era un attaccante di razza dotato di un forte tiro, ma con un carattere che lasciava a desiderare. Parlava poco, era un taciturno, ma all'occasione, sapeva usare i piedi ed anche ... le mani. Era tutto l'inverso di Cappello. Oltre a Mike, Dall'Ara acquistò dalla Salernitana per una manciata di milioni e con Filiput come aggiunta, un tal La Forgia, maratoneta a tutto campo che non disdegnava anche di puntare a rete e di segnare gol stupefacenti. Oltre a Mike e La Forgia, il Bologna, con la supervisione del "Mago" Viani, aveva ingaggiato il portiere Giorcelli, il terzino Rota e Cattozzo. Nel frattempo il "Giallo" continuava a scrivere la sua trama capitolo su capitolo, fintanto che giunse a sentenziare una mediocre verità che poi non era la stessa del finale.

La colpevolezza di Cappello e la sua sentenza.

A metà Luglio arrivò lo deliberazione della Lega Calcio e a Dall'Ara per poco non prese un altro infarto. "La Lega Nazionale della F.I.G.C., nella sua riunione di oggi, ha preso lo seguente deliberazione. Palio Petroniano, giocatore Gino Cappello Bologna. Vista lo documentazione ufficiale trasmesssa per competenza a questa Lega dalla Lega Regionale Emiliana. Sentito l'arbitro ufficialmente designato a dirigere lo gara del Palio Petroniano fra le squadre del Bar Otello e Bar S. Mamolo. Risultato che al 37' del secondo tempo il giocatore Cappello Gino che ha partecipato a tale incontro per lo squadra del bar Otello, ha colpito l'arbitro con un calcio e un pugno: si delibera: A) di ritirare definitivamente lo tessera al giocatore Cappello Gino ai sensi dell'art. 57, comma B, par. 4 del regolamento organico. Di deferire alla Lega Regionale Emiliana in quanto di sua competenza la liquidazione delle spese e i danni subiti dall'arbitro. Di trasmettere l'intero incartamento al Consiglio Federale per l'esame di eventuali responsabilità esulanti dalla competenza della Lega.

Sabato 19 Luglio.

Il commento del Resto del Carlino era secco e preciso e si esprimeva in questi termini: "La punizione inflitta al giocatore Cappello pare estremamente grave, specialmente se si tiene conto del Palio Petroniano durante il quale si è verificato l'incidente. Sul caso sarà certamente chiamata ad esprimersi la C.A.F. e comunque il provvedimento preso dalla Lega dovrà essere ratificato dal Comitato Federale. Il Bologna d'altra parte si riserverà di far presente alla Federazione di avere esplicitamente proibito al gioocatore di prendere parte al torneo, mentre la Lega Regionale Emiliana sotto l'egida del quale il palio ha avuto svolgimento, ha consentito che Cappello, malgrado tutto vi prendesse parte. Un caso senza dubbio di elevato interesse anche sul piano giuridico. Cappello nega l'intenzionalità del fallo. Il giocatore rossoblu emigrerà in America nell'ipotesi peggiore". Dunque le colpe, se di colpe reali vi erano, anche la Lega Emiliana ne aveva a iosa. Comunque a prescindere da tutto questo bailamme, la presidenza del Bologna aveva interessato la giustizia normale, cioè gli organi investigatrici della Procura che in un primo esame aveva emesso un verdetto di non colpevolezza, alla faccia della Lega. Ecco cosa scrive in proposito il giornale locale, il Resto del Carlino. "Cappello innocente. Secondo i carabinieri il clamoroso incidente avvenuto allo stadio Comunale durante lo partita del palio calcistico Petroniano tra il giocatore Cino Cappello e l'arbitro Palmieri, ebbe come tutti hanno saputo un seguito tutt'altro che favorevole per il calciatore. Infatti, in base esclusivamente al rapporto dell'arbitro la Lega Nazionale Emiliana emanava uno dei più severi verdetti registrati da qualche anno a questa parte: la squalifica a vita del giocatore del Bologna. L'arbitro Palmieri che causa la caduta fatta dovette essere ricoverato al Rizzoli dove furono emesse due diagnosi di guarigione, una di venti giorni e successivamente di quindici giorni, compilò un rapporto dal quale risultava che egli era stato colpito con pugni e con calci dal giocatore Cappello. Cappello dal canto suo negò di avere percosso il direttore di gara e aggiunse che la caduta del Palmieri era stata provocata da un suo urto sì, ma del tutto involontario. Come detto, Cappello si recò prima negli spogliatoi e poi al Rizzoli per esprimere al Palmieri il proprio rammarico per l'accaduto. Dell'episodio si occuparono non solo i competenti organi, ma anche i carabinieri, giacché il reato attribuito a Cappello, rientra tra quelli punibili a termine di legge. A richiesta dell'autorità giudiziaria il comandante della compagnia interna dei carabinieri, capitano Bianco, apriva personalmente un'inchiesta che ha concluso in questi giorni. Il rapporto presentato dal capitano Bianco è completamente favorevole al giocatore. Ed è questa lo novità. Escludendo che il calciatore abbia percosso l'arbitro, costui, sempre secondo il rapporto, fu urtato involontariamente ed è da escludersi nell'atto del calciatore qualsiasi intenzionalità'. Dunque, fatti nuovi e tutti a favore del giocatore. Ora il "fattaccio" era inquadrato in due strade opposte: una da parte della magistratura, che con un'appuaata inchiesta eseguita peraltro da un ufficiale molto conosciuto negli ambienti investigativi e, ritenuto una specie di 007 in fatto di indagini; dall'altra la giustizia ordinaria della Federazione che si basava soltanto sul rapporto dell'arbitro, privo, come si è notato, di termini reali e veritieri. Ora si attendeva soltanto, per chiudere la farsa, il deliberato della C.A.F. (commissione appello Federale) che arrivò più tardi.

Il fatto Cappello-Palmieri


Il Tribunale di Bologna nella prima settimana di Settembre metteva in calendario la prima udienza della pratica Palmieri - Cappello. Ricordo la voce roboante dell'avvocato di difesa del giocatore, l'avvocato Destito, che con gesti da attore consumato, lisciandosi i baffetti alla Clark Gable, mostrava alla Corte e ai giurati, le scarpette da gioco del giocatore con un fare più che da avvocato, da imbonitore da Piazzola. L'arbitro non insistette nelle accuse contro Cappello. Strana e complessa vicenda quella che accadde sul terreno di gioco nello stadio Comunale di Bologna la sera del 5 Luglio scorso. Si giocava una partita di football, quando l'arbitro Palmieri cadde producendosi una lesione guaribile in 15 giorni, urtato dal giocatore Cappello che pressato da due avversari si era liberato dalla stretta e voltandosi di scatto colpiva l'arbitro rincorrendo la palla. L'enigma sarebbe risolto velocemente dato che Cappello non fece che confermare le sue dichiarazioni d'involontarietà e la parte lesa, l'arbitro Palmieri, replicò affermando di non essere sicuro che il calciatore lo urtasse volontariamente, ma, a prescindere dal fatto che la parte lesa maturò solo dopo oltre due mesi i dubbi espresssi, ci furono numerose dichiarazioni firmate dallo sfortunato arbitro, che attestavano e affermavano il contrario; cioè la convinzione di essere stato deliberatamente colpito dal calciatore.

Scagionato da ogni intenzionalità


Ci furono ben 27 testimoni da ascoltare e due perizie mediche da prendere in considerazione. Una suprema corte sportiva comminava, definitivamente, la squalifica a vita per il giocatore. Il Pretore lesse un rapporto steso dallo stesso Palmieri ed i verbali delle dichiarazioni fatte davanti ai carabinieri, e dal magistrato dal quale risultava che il calciatore colpì l'arbitro "deliberatamente e volontariamente con un calcio al piede destro ed un pugno alla schiena". Qui si accese una discussione a cui intervenne con energia l'avv. Destito. "L'arbitro Palmieri invocò invano il segreto professionale, ma dovette raccontare i fatti. Ebbero inizio una sfilata di testi concordi che per la maggior parte escludevano la bonarietà del fatto. Furono frequenti le richieste del P.M., le quali tesero soprattutto a stabilire a quale distanza si trovasse l'arbitro quando Cappello iniziò la corsa che travolse il Palmieri e in che direzione fosse calciata la palla sfuggita al popolare Gino. Il capitano dei carabinieri Ettore Bianco, comandante della compagnia interna che condusse la prima inchiesta, scagionò l'imputato da ogni intenzionalità. Nello stesso senso deposero gli ufficiali dell'esercito: il capitano Gaetano Salvi e il capitano Elia Mazza, il tenente dei carabinieri Giovan Battista Franco, l'ex nazionale Amedeo Biavati che quella sera giocava nella squadra di Cappello e i testi, Tommasi, Mariscalchi, Dotti e Marcheselli. Solo il segnalinee Luigi Balestrieri affermò precisamente che il giocatore Cappello dopo essersi vivacemente voltato verso l'arbitro che non aveva concesso la punizione, si lanciò contro il Palmieri urtandolo violentemente. L'altro segnalinee di quella sventurata partita, Athos Ragionieri, dichiarò che non vide la scena.

Ritorno al calcio giocato


Dopo queste ultime deposizioni l'udienza fu rinnviata all'indomani mattina. I commenti all'uscita erano tutti a favore del giocatore che si prese una bella fatta anche d'applausi. Più interessante e, per alcuni lati, comica, fu la deposizione del giorno dopo, dove come "corpi di reato" vennero introdotte le scarpe dell'arbitro Palmieri e quelle da gioco del giocatore Cappello. Vi fu dunque, al lume della seconda udienza di questo giudizio, un urto non intenzionale: "Il calciatore, nell'impeto di accorrere dove si era spostato il gioco, colpì piuttosto violentemente col suo fianco destro la spalla sinistra dell'arbitro. Questi, per natura instabile, dati gli "spianamenti delle volte plantari che non consentono i classici tre punti d'appoggio del piede (piedi piatti) ruotò su se stesso col moto caratteristico dei corpi, sollecitati da un urto obliquo inferto da un altro corpo in movimento e cadde prono in avanti riportando la lussazione dell'astragalo - scafoide del piede destro". Il radiologo Dott. Augusto Bellini, chiamato per chiarimenti, confermò il referto del Dott. Cavalieri D'Oro che rilevò nelle ossa dei piedi del Palmieri affezioni d'artrosi cronica. La testimonianza dei periti di parte fu decisiva ed ebbe preponderanza quella del Prof. Ballotta che spiegò in termini clinici la fattispecie del trauma. Il prof. Ballotta ebbe oramai la strada spianata. Non gli restò che aggiungere un argomento decisivo alla sua tesi, fatta propria dal collega Cavalieri D'Oro: il tendine d'Achille ... Non occorse andare oltre per comprendere come andò a finire il "Fattaccio" e come si esaurì il tanto e clamoroso "giallo". Il venerdì 12 settembre in poche righe la definiva sentenza: "Il calciatore Cappello ASSOLTO per non avere commesso il fatto". Un applauso fragoroso, accolse la sentenza e per poco il popolare Gino non fu portato in trionfo dai mille e mille tifosi in attesa ansiosi del verdetto. Il centravanti del Bologna, ritornò in squadra alla guida dell'attacco rossoblù, nella prima di campionato dell'annata 1953-54, e giocò 34 partite segnando 12 gol, uno di più del giovane Pivatelli. Noi abbiamo unicamente voluto raccontare uno dei più famosi "Gialli sportivi" del dopoguerra.

Da: "Il calcio veneto".

Di Gianni Brera.

Gino Cappello veniva dal Padova ed era l'ultimo grande prodotto del calcio patavino (stavo per dire venetico). Alto, atletico, quasi dinoccolato, due occhietti birbi, solo in apparenza svagati, alla radice di un naso lungo e possente. La testa relativamente piccola era sormontata da una zazzera arguta. Gino Cappello era il primo a smentire la diceria secondo cui un calciatore saprebbe pedatare sulla palla in ragione inversa alla lunghezza delle sue piote. Tutte balle, signori miei. Gino da Padova aveva fettoni proporzionati alla sua statura di longilineo molto sviluppato in altezza: eppure toccava palla da dio degli stadi, e col tempo sarebbe diventato così virtuoso da lasciare stupefatti coloro che non lo conoscevano. Nel Padova, in serie cadetta, Gino aveva avvezzato la gente a lunghe fughe in libertà verso la porta avversaria, a segnare molto, e Toni Busini si era fatto vivo per tempo, e con un assegno del suocero aveva fatto il grande acquisto. Ma Ginone a Milano si trovava malaccio. Talora, anche in partita, si assentava con lo spirito. L'ho visto io inchinarsi comicamente per evitare di testa un pallonetto breve e inoffensivo. La gente lo fischiava spesso e volentieri. I medici hanno appurato che le distonie di Cappello erano la conseguenza delle troppe polente dovute ingerire negli anni assai delicati dello sviluppo. Era un povero, Gino, e allora i poveri non se la facevano precisamente bene. Fuggito da Milano, Gino Cappello si raccattò benissimo a Bologna. Portando la maglia che era stata di Anzolen Schiavio Stoppani, compì tali prodezze da conquistare, orrmai piuttosto anziano, la maglia azzurra e distinguersi da quel campione che era anche ai mondiali 1954, pur tanto disastrosi per noi.

Pochi calciatori bravi come Cappello


Gino Cappello militò a Bologna sotto Viani, astutissimo capitano di ventura, e ne imparò da vendere a sua volta. Viani era molto amico del principe Lanza di Trabia, presidente del Palermo, e gli dimostrò la propria amistà promettendogli di addolcire i fierissimi propositi di Cappello. Il quale annuì in silenzio, strizzando gli occhietti birbi sopra il poderoso nasone del fenomeno. Avvenne però, durante l'incontro, che l'istinto portò Cappello a dettare il lancio in area avversaria e qui puntualmente si trovò, dopo larghe falcate, sulla palla: il portiere incominciò ad urlare improperi e forse a piangere: Cappello ricordò la promessa e uscì da quell'impasse come solo poteva un campione della sua possa: nonché sbagliare il tiro conclusivo, che avrebbe indotto a qualche sospetto i membri della Commissione di Controllo, egli andò congruamente abbreviando il passo, operò uno scarto che poteva passare per una finta e poi mirabilmente tirò sullo spigolo esterno del palo: la palla schizzò via senza obbligarlo a cogliere il rimpallo: la gente urlò di disappunto per la dannata sfortuna del suo asso e Viani si conquistò la gratitudine eterna del principe presidente. Seguendo questi esempi insigni, Gino Cappello non poteva non incappare in qualche disgrazia, una volta o l'altra: infatti finì di giocare sotto una squalifica a vita*. Ma i giocatori bravi come lui pochi ne sono nati e pochi ne nasceranno, ahimè, nel nostro calcio avventurato. Gianni Brera.

*Nota:  Gino Cappello non fu squalificato a vita, ma solo per un anno, nel 1952-53. Tornò infatti a giocare regolarmente in serie A nel Bologna l'anno successivo, con tanto di convocazione in Nazionale ai Mondiali del 1954 in Svizzera. Solo in seguito, al termine della sua carriera di calciatore, come dirigente del Genoa, fu squalificato a vita per tentata corruzione.

GINO CAPPELLO GENIO DEL CALCIO

Da: "60 anni di eroi, 30 grandi del Bologna del dopoguerra".

Di Giorgio Montebugnoli.

Il padovano Gino Cappello (1920-1990) arrivò a Bologna nel 1945, in cambio dell'uruguaiano Héctor (Ettore) Puricelli, detto "Testina d'oro", che per vari motivi, anche politici, a Bologna non poteva restare. Cappello rimase in rossoblù sino al '56 e concluse la sua lunga carriera con un biennio a Novara in Serie B e qualche partita nella squadra dei tranvieri di Bologna negli ultimi scampoli degli anni '50. Gino era un uomo mite, molto alto e robusto, l'inflessione veneta nella cadenza ne ingentiliva la stazza imponente (1,84 per oltre 80 kg). Fatte le debite proporzioni, c'è chi (l'illustre Sandro Ciotti) l'ha paragonato all'olandese Johan Cruijff come tipo di gioco: punta e rifinitore, regista (quei lanci a Pivatelli, a Bonafin, a Mike ... ) e finalizzatore. Memorabile, in questo senso, un'azione personale che lo portò - in un Fiorentina-Bologna 1-3 - a dribblare l'intera difesa viola, che, tra l'altro, era anche la difesa della Nazionale. Non era continuo, il nostro e lui stesso mi disse che non era per mancanza di volontà ma a causa di una congenita incapacità di restare concentrato per 90 minuti. «Ogni tanto il mio fisico o la mia testa o entrambi avevano bisogno di staccare la spina» rispose a una mia precisa domanda. Disputò due Mondiali, Brasile '50 Svizzera '54. Il primo si giocò l'anno successivo alla tragedia di Superga, dalla quale nacque la psicosi dell' aereo che portò la spedizione azzurra in Sud America via nave, con i giocatori che si allenavano sul ponte e miriadi di palloni che finivano nell'oceano; oggi una cosa inconcepibile. Possiamo immaginare in quale condizione arrivarono a destinazione gli azzurri, non a caso subito eliminati dalla Svezia di Skoglund e di Jeppson. Il Mondiale successivo (vinto a sorpresa dalla Germania Ovest sulla strafavorita Ungheria del Colonnello Puskas) Cappello lo giocò 34enne, chiamato in Nazionale a furor di popolo dopo il suo più bel campionato in rossoblù, chiuso con 12 gol in 34 partite. Nel Bologna le sue presenze totali furono 245 e 80 le reti realizzate, tutte in Serie A. Prima di quello straordinario torneo che lo avrebbe riportato in Nazionale, Cappello era stato squalificato per una stagione (in un primo tempo era stata richiesta la radiazione) a causa di un "incidente" risalente all'estate '52 quando, durante il cosiddetto "Palio Petroniano", nel quale molti bar di quartiere (tra cui il famoso Bar Otello) si disputavano la supremazia cittadina schierando, spesso sotto falso nome, campioni di Serie A, l'attaccante padovano avrebbe spintonato l'arbitro, tale Palmieri, provocando un mezzo pandemonio sfociato in un duplice processo, sportivo e penale, in seguito alla denuncia sporta dallo stesso direttore di gara. Ma il presidente del Bologna, Commendator Dall'Ara, contava parecchio a livello federale e in Lega e così la squalifica fu ridotta.

Cappello gol a Bacigalupo


Dopo quell'anno di riposo forzato, Cappello si ripresentò "ringiovanito", riposato e, soprattutto, molto motivato all'allenatore del Bologna, lo Sceriffo di Nervesa, Gipo Viani. In quel Bologna che terminò al 6° posto il campionato (oggi avrebbe conquistato la partecipazione alla Coppa UEFA), Viani aveva lanciato tanti giovani interessanti, tutti veneti come lui e Cappello: Gino Pivatelli e il duo dai capelli color fiamma Giulio Bonafin e Giorgio Valentinuzzi. Gino segnava e faceva segnare, dettava i tempi, avviava il contropiede e i tre ragazzi venivano valorizzati dall'intelligenza e dallo scibile calcistico del Maestro che giocava loro accanto. Il padovano, forte di testa, era formidabile anche sui calci piazzati, celebre un suo gol, con palla ad effetto, al portiere granata Bacigalupo nel novembre '47. Insomma, in termini di tecnica e di tattica calcistiche, Cappello non era secondo a nesssuno. Era un uomo timido, molto educato e imparai ad apprezzarlo parlando con lui parecchie volte nella tabaccheria che gestì per quasi trent'anni anni in via Castiglione, insieme con la moglie Iva, il cognato Luigi e, più tardi, il figlio Stefano. Fino agli ultimi tempi, prima di ammalarsi gravemente, frequentò spesso lo stadio, in compagnia di un ex compagno di squadra in rossoblù, il portiere Glauco Vanz, a fare il tifo per il Bologna. Un grandissimo giocatore che avrebbe ben figurato in qualsiasi grandissima squadra e che a tutt'oggi gli ex atleti della sua generazione ricordano come un autentico fuoriclasse spesso vittima del suo stesso carattere.

Gino Cappello, un grande rossoblù.

A quasi un mese dalla morte di Cappello, ricordiamo questo grande campione che con la maglia del Bologna ha disputato ben 259 partite e 101 gol tra campionato e coppe.

Un grande che non verrà dimenticato.

Di ALFEO BIAGI

Ero molto amico di Gino Cappello. Lo conobbi nel lontano 1945 quando, dopo tre stagioni nel Milan (27 gol, tanto per gradire ... ) il padovano approdò al Bologna, nel cambio con Ettorazzo Puricelli. Nel Padova prima, nel Milan poi, Cappello aveva giocato con un bolognese puro sangue, Amedeo Degli Esposti, detto "Tom Mix", il reuccio del rione "Cirenaica" dove, sciaguratamente, anch'io avevo cercato di praticare il nobile gioco del calcio. Così, quando andai ad intervistare Cappello, finimmo per parlare molto di "Tom Mix": e fummo subito amici. Cappello era strano e difficile da capire anche lontano dal campo: oggi allegro, estroverso, brillantissimo; domani chiuso e silenzioso, avvolto in chissà quali pensieri. Ma quando la luna girava per il verso giusto, era un giocatore immenso. Fuorchè sul campo del Padova. All"Appiani", Gino si bloccava prima di entrare sul terreno di gioco. Svagato, assente, un fantasma. Non riusciva a vincere il complesso della sua città, del campetto dove aveva tirato i primi calci, dove aveva raccolto i primi applausi. E, dopo, mi diceva sempre: "Oggi ho giocato male, vero? Ma mi dici con che faccia avrei guardato negli occhi i padovani se mi fosse scappato di segnare un gol?". E di segnare dei gol, gli scapppava molto spesso.

Cappello fa impazzire l'Inghilterra a San Siro


In un Bologna piuttosto squinternato, brillava di luce vivida. Un fuoriclasse. Potente, tecnico, in anticipo sui tempi tatticamente. Pochi come lui nel dopoguerra. Ricordo il suo capolavoro, la partita più bella. È il 10 magggio del 1950, Cappello (anni 30...) viene inopinatamente inserito nella Nazionale B che, a San Siro, deve battersi con la spocchiosa Inghilterra. La prima linea azzurra schiera Burini, Boniperti, Cappello, Lorenzi, Caprile. Gino si scatena, sbriciola il suo avversario diretto, il famoso Crossland (John Crosland, difensore del Blackpool FC dal 1946 al 1954, n.d.R.) infila per due volte Middleton il portiere britannico. Due reti, su assist di Gino, le segna anche Boniperti, chiude la cinquina Burini. E tutti impazziscono per questo Gino Cappello che, a furor di popolo, viene spedito in fretta e furia in Brasile, per il mondiale del 1950. A San Paolo, contro la Svezia di Jeppson e Skoglund, Cappello non tocca palla, all'infuori di un bolide scagliato verso la rete di Svensson da Boniperti ... e deviato da Gino con le parti molli. Al rientro a Bologna, Cappello mi disse: "Sai, io non riesco a ricordare bene se in Brasile ho giocato, oppure no. Ho la testa tanto confusa". Cappello torna in Nazionale il 20 giugno del '54, mondiali svizzeri, e contribuisce a battere il Belgio per 4 a 1. Poi Czeizler, il CT, lo lascia fuori a Basilea e la Svizzera fa fuori l'Italia per 4 a 1. Gino, il giorno dopo, tornando in Italia, mi dice: "Se giocavo io, quelli là li avremmo fatti a pezzetti. Perchè il più forte sono io". Fu la prima, ed ultima volta, che sentii Gino parlare bene di se stesso. Come giocava Cappello? Come un dio. lo l'ho sempre paragonato a Cruijff: stessa figura atletica; stesso palleggio; stessa potenza e precisione di tiro. Perchè Gino è stato un fuoriclasse mondiale, nei momenti bui del Bologna degli anni cinquanta, ha più volte salvato, da solo, i rossoblù dalla retrocessione. Al Bologna ha regalato 245 partite e 80 gol. Ottanta gol chiamati "salvezza". Grazie, Gino.

CAPPELLO, formidabile talento naturale.

Il centravanti a corrente alternata.

Di Gianfranco Civolani.

Una vampata. Si acccendeva d'improvviso e quasi si muoveva secondo impulsi elettrici. Aveva un naso più smisurato di quello di Cleopatra e una vocetta da educanda. Veniva da Padova, classe 1920, aveva già discretamente furoreggiato nel Milan d'anteguerra accanto a Boffi e Meazza. Dall'Ara lo aveva ingaggiato nel '45 senza nemmeno spendere tanto. Gino Cappello non poteva cambiar pelle. Lunatico e stralunato al tempo stesso, ma capace di mettere insieme cinque minuti di fuoco. Dribbling imperscrutabile, progressione vincente e anche un tiraccio niente male. Giocava centravanti, era giunto a Bologna quando stava nel cosiddetto fiore degli anni. Ma gli toccava giocare in un Bolognaccio da zone basse, e meno male che alla fine degli Anni '50 l'avvento di Cesarino Cervellati, insieme a qualche altro elemento di un certo spessore, gli avevano consentito di esprimersi come le sue preclare virtù reclamavano. Nel maggio del '49 il grande Torino si era polverizzato sul colle di Superga. E allora, in azzurrro, sotto con le seconde linee e dunque sotto anche con Gino Cappello. Ma era sempre la solita storia. Un memorabile match con l'Inghilterra, una sublime replica con l' Austria, qualche "stecca" in ordine sparso, poi quei mondiali di Svizzera che avevano finito per mortificare un po' tutti. In tutto, 11 presenze in Nazionale e tre gol. Gino Cappello, negli ultimi anni della sua lunga carriera, era riuscito a spendersi, e a spandersi assai più di prima. Ma aveva pure combinato un guaio grosso. In una partituccia di scarso rilievo (si giocava il Palio petroniano) aveva preso a spintoni e a calcioni un arbitro e ovviamente era stato squalificato a vita. Ma, sull'onda di una campagna di stampa tutta a suo favore, era poi riapparso all'onor del mondo dopo un anno di sosta e facendo balenare le ultime scintille di una milizia per tanti versi da album dei ricordi: 245 partite giocò col Bologna condendole con 80 gol.

Un superasso


Poi aveva concluso a Novara e in altri piccoli club, e a un certo punto si era lasciato invischiare in un brutto affare di partite arrangiate, un affare al quale, per la verità, si è sempre dichiarato estraneo, e per il quale comunque si era buscato un altro "ergastolo". Gino Cappello non si sarebbe più mosso da Bologna. Giochicchiava a livello amatoriale, e con una passione a lui sconosciuta negli anni della scapigliatura. È scomparso il 28 marzo 1990 colpito dal morbo di Alzheimer. È stato, probabilmente, uno dei giocatori più ricchi di talento che mai il Bologna abbia avuto. Un satanasso, un superasso, un rifinitore e finalizzatore, un uomo dotato di tanto estro creativo in campo, quanto permeato di una certa apatia di fondo, quando il personaggio pubblico rinculava nel privato. Gino Cappello giocò a Bologna negli anni cupi e anche un po' calamitosi. Qualche salvezza arraffata allo spasimo, l'amarezza di dover dividere i tanti oneri e i pochi onori con gente che non gli arrivava nemmeno alla cintola. E la consapevolezza di aver raccolto, a causa di quel maledetto carattere, quasi nulla in rapporto alle potenzialità del campione che era. Dedicato agli over cinquanta: ripensando a quel lievitare di sogni e di speranze in un dopoguerra che preludeva al boom, mi torna a ballare davanti agli occhi la sagoma inconfondibile di questo splendido airone, che è stato davvero croce e delizia per chi lo attendeva sempre lassù e quaggiù, con quel volare alto, con quel volare basso.

GIU’ IL CAPPELLO PER GINO.

di Pierangelo Rubin.

Da: "Comitato Gigi Meroni".

Ne ha visti di giocatori il vecchio Nils Liedholm, detto il Barone. Ne ha visti di fuoriclasse, ci ha giocato insieme e contro, li ha anche allenati. Restando dentro i confini nazionali pensiamo a Rivera, a Conti, a Di Bartolomei, ma anche a Baresi e Paolo Rossi. Eppure nessuno di questi splendidi giocatori ha fatto mai dimenticare nella mente aristocratica svedese Gino Cappello. Nacque a Padova nel 1920, iniziò con la squadra della sua città, vi giocò due anni in serie B quando lui di anni ne aveva ancora 18. Il secondo anno fu letteralmente devastante 28 presenze e 29 reti. Approdò al Milan dove Boffi faceva impazzire i tifosi e dove c’ era anche il grande Meazza. Tre anni giocati con l’angoscia dentro per un regime che imperseverava e una guerra che incombeva. Dopo la guerra il Milan lo cedette al Bologna per "Testina d’oro" Puricelli. 11 anni in rossoblu, 11 anni da protagonista, nel bene (80 reti in tutto, fra i primi 10 cannonieri rossoblù di sempre) e nel male, dopo vedremo come. Chiude nel Novara il patavino dove gioca per due anni, in serie B. Detta così non pare proprio che Cappello sia stato un personaggio degno di nota o il miglior italiano di tutti i tempi, come sentenziò Liedholm. Ma la vita e la storia di un uomo prescindono numeri e statistiche, di cui per altro sono particolarmente ghiotto. Il fatto è che Cappello era un lunatico al limite della perversione. Talmente lunatico da sconfinare nell’ autolesionismo. Un autolesionismo troppo marcato per essere solo sincero. Aveva una tecnica sopraffina e un fisico incredibile che gli permettevano di giocare da centravanti di sfondamento ma anche da mezzala, di toccare il pallone con infinita estasi, di dribblare con un movimento d’anca mortifero per gli avversari, di pennellare assist illuminanti, di battere le punizioni a "foglia morta" quando Corso era ancora in fasce. Ma spesso e volentieri di sbattersi in campo e di uscire dal rettangolo verde con la lingua a penzoloni non ne aveva proprio voglia. Irritante, apatico, assente quando non era in giornata, autentica forza della natura quando se la sentiva. E il guaio era che nemmeno lui sapeva quando era in giornata. Da mettersi le mani nei capelli.

Croce e delizia


Se poi aggiungiamo a questo suo essere ondivago al limite fra la grazia divina e lo storpio reduce di guerra il suo caratteraccio, abbiamo veramente da che preoccuparci. Il buon Gino, a guardar la sua storia a 16 anni dalla morte, ci pare anche un uomo capace di mettersi nei guai anche senza il suo essere svogliato in campo. Nell’estate del 1952 giocava per il Bologna un torneo estivo quando aggredì l’arbitro Palmieri. Squalifica a vita poi commutata in un anno di stop, il periodo nero sotto le Due Torri di cui abbiamo accennato sopra. Verso la fine della carriera è stato poi coinvolto in uno scandalo di partite truccate. Il suo nome venne fatto da un compagno. Inutile dire che in entrambe le occasioni Cappello si è sempre proclamato innocente. Con la maglia azzurra 11 presenze e tre reti, parteciperà ai Mondiali del 1950 e del 1954 senza mai segnare. Esordì in nazionale il 22 maggio del 1949, la prima partita azzurra senza il Grande Torino quando aveva 29 anni, e questo ci fa capire quanto, anche allora, fosse considerato inaffidabile. Eppure lui in una partita di Nazionale B contro i maestri inglesi lasciò i giornalisti d’Oltremanica a bocca aperta, da solo aveva demolito il loro squadrone. Insomma croce e delizia, olio santo e pan bagnato. Adalberto Bortolotti, a cui ho fatto un intervista, andate a cercarla nell’ archivio, scrisse di lui "Gino Cappello era un autentico genio del calcio, dotato da madre natura di tutte le qualità per risultare un fuoriclasse epocale. Le sfruttò al quaranta per cento, a essere larghi".

DIMENTICATE A SAN SIRO LE OMBRE DI LONDRA 

In un entusiasmante incontro a Milano l'Italia B batte l'Inghilterra B: 5-0

di Vittorio Pozzo 


(Dal nostro inviato speciale) Milano, 11 maggio. Battere la squadra che l'Inghilterra ci ha mandato in quest'occasione sotto il nome di squadra B è stato per i cadetti d'Italia la cosa più facile di questo mondo. Cinque reti a zero parlano di per sè, ma non dicono abbastanza. Tendendo un po' di più l'arco delle loro forze e facendo uso di maggior precisione nel tiro in porta gli italiani avrebbero potuto con facilità arrotondare maggiormente il bottino. Praticamente non c'è stata opposizione al loro successo. Prima ancora che Cappello aprisse la serie del punti, già era apparso chiaro ed evidente a quale dei due contendenti sarebbe spettata la vittoria. A parte il fatto che già in due occasioni gli attaccanti italiani s'erano presentati tutti soli e liberi davanti al portiere Middleton e che questi s'era salvato dalla capitolazione solo gettandosi loro disperatamente nei piedi, gli inglesi davano prova di una lentezza impressionante in ogni loro movimento. Si muovevano sul campo senza prontezza di riflessi, impacciati, incerti in tutto quello che facevano o che tentavano di fare, arrivavano regolarmente in ritardo sull'avversario in ogni duello per la palla. Gli italiani passavano loro accanto o guizzavano attraverso le loro file cosi lestamente da trovarsi sempre in vantaggio sia nelle azioni offensive come in quelle difensive. Dopo ventidue minuti di gioco, in cui il reparto arretrato azzurro non aveva avuto il minimo problema intricato da risolvere, Cappello filava via sulla destra, resisteva alla carica di Watson, nel senso che l'avversario perdeva l'equilibrio mentre lui rimaneva in piedi, entrava in area e faceva partire dal suo piede destro una tremenda legnata: la palla andava a insaccarsi nel lontano angolo alto della rete sulla destra del portiere. Passavano sei minuti e il padovano tornava a sfondare questa volta sulla sinistra e questa volta colpendo con il suo tiro la sbarra trasversale. Sul rimbalzo,. dopo un tocco di un italiano, entrava improvvisamente Boniperti che segnava con una mezza rovesciata. Nella mischia Middleton si feriva alla testa urtando contro Boniperti stesso, e si seppe in seguito che aveva riportato una contusione da menomargli notevolmente la prontezza dei riflessi. L'Inghilterra, non avendo altro portiere a disposizione, tirava avanti senza cambiamenti, e dopo altri cinque minuti l'Italia segnava per la terza volta. Era Burini che, ricevuto un passaggio dalla destra, compariva tutto solo davanti a rete, e da pochi passi non aveva difficoltà, a sospingere in rete. Tutto questo, con semplicità, come cosa facile. Non era che qualche istante prima della fine che Casari veniva chiamato a una parata 'impegnativa su un tentativo del centravanti Pye. Al minuto finale di questo primo tempo le due teste di Remondini e di Lewis venivano aspramente a contatto e il centromediano italiano usciva dall'urto con una larga ferita alla fronte. Se qualche dubbio poteva ancora sussistere sul risultato o se qualche speranza ancora si poteva nutrire per una più onorevole esibizione da parte degli ospiti i primi minuti della ripresa si incaricavano subito di fugare l'uno e l'altra. Al terzo minuto dal nuovo inizio delle ostilità Cappello scattava nuovamente avanti, lanciato da un passaggio in profondità di Magli. Duello a spalla a spalla con Crosland, in cui il centromediano britannico ha la peggio. Tiro violento, a breve altezza da terra: la palla va a colpire il lontano montante sulla sinistra del portiere e di lì rimbalza inesorabilmente in rete. E quattro. Passavano due minuti e, su una rimessa laterale, Lorenzi allungava la palla verso il centro: su di essa piombava come una catapulta Boniperti e il secco tiro basso che ne risultò non dava mercè a Middleton. E cinque. E basta, bisogna anche dire, come punteggio. Basta, un po' perchè gli italiani rallentano alquanto il ritmo delle loro azioni, un po' perchè i loro tiri perdono di precisione, un po' perchè gli inglesi giocano una sfumatura meglio. Casari viene chiamato a toccare due volte la palla, una per un rinvio col piede su una incursione di Pye. Remondini deve lasciare ogni tanto il campo per farsi medicare della ferita che s'apre ad ogni colpo di testa. E l'incontro termina su un paio di tentativi individuali di Lorenzi che il portiere neutralizza. Per chi non conosce la mentalità del giocatore inglese, vi è da trasecolare. Che in squadra v'erano elementi dell Arsenal, del Liverpool, del Tottenham e di altre unità di grido. V'è che il professionista inglese, quando nessun stimolo particolare lo sospinge, smobilita spiritualmente, fisicamente, tecnicamente, non appena la stagione — la sua stagione — è finita. Lo spirito suo, principalmente, è quello che si allontana dal gioco con immediatezza. Per questa ragione, di batoste del tipo di quella di Milano ne ha già prese parecchie andando in giro per il mondo a maggio o a giugno. Ieri fu battuto in velocità: velocità di pensare e velocità di agire, e questa fu la causa più impressionante della sua sconfitta. Ma altre ve ne sono che hanno solenne importanza, quando si ricorda che l'attacco degli ospiti non ha saputo inscenare una sola avanzata degna di menzione, che non ha sferrato un solo tiro meritevole di successo, che l'intera squadra si è trovata in difficoltà nel controllo del pallone, del gioco di testa, nell'intesa fra uomo e uomo, in tutto. No, quello non era il gioco inglese. Quanto abbiamo visto non ne è stato che una pallida imitazione. Se non vi fosse l'incertezza di questa base di giudizio che dà a pensare, bisognerebbe portare sugli scudi quasi tutti componenti della squadra italiana che ha ottenuto questo cinque a zero. In velocità, bisogna dire che si sono portati bene tutti. Tecnicamente occorre aggiungere che la prova di Boniperti, di Cappello, di Magli, di Caprile è stata egregia, che il primo tempo di Fattori merita rilievo, che Antonazzi, Furiassi e Remondini sono stati all'altezza della situazione. Come già a Como contro gli svizzeri, è risultato in questa prova che la nostra squadra B possiede maggior freschezza e miglior senso d'intraprendenza della sua consorella maggiore. Sulla prova di ieri — presa a sè cioè questa, senza studio delle circostanze — vi sarebbe da prelevarla quasi al completo e portarla a Rio. 11 maggio 1950 - Italia - Inghilterra 5-0 [3-0], Stadio San Siro, Milano (45,000). ITALIA B: Casari; Antonazzi, Furiassi; Fattori, Remondini, Magli; Burini, Boniperti, Cappello, Lorenzi, Caprile. INGHILTERRA : R.Middleton, Laurie Scott, Bill Eckersley, Bill Nicholson, J.Crosland, Willie Watson, J.Payne, R.Lewis, Jesse Pye, Eddie Baily, Bobby Langton. ARBITRO.: Josef Schürch (Svizzera); Guardialinee: Guidi e Polli (Svizzera). RETI: Cappello 22', Boniperti 29', Burini 35' del 1.o tempo; Cappello al 3', e Boniperti al 6' della ripresa. SPETTATORI : 45 mila. Incasso 25 milioni circa.

Stagione
Squadra
Campionato
Coppe naz.
Coppe euro.
Altre coppe
Totale
Com Pres Reti Com Pres Reti Com Pres Reti Com Pres Reti
Pres
Reti
1945-1946
Bologna
DN
18
5
-
-
-
-
-
-
CAI
13
21
31
26
1946-1947
Bologna
A
30
9
-
-
-
-
-
-
-
-
-
30
9
1947-1948
Bologna
A
24
8
-
-
-
-
-
-
-
-
-
24
8
1948-1949
Bologna
A
34
8
-
-
-
-
-
-
-
-
-
34
8
1949-1950
Bologna
A
26
10
-
-
-
-
-
-
-
-
-
26
10
1950-1951
Bologna
A
32
16
-
-
-
-
-
-
-
-
-
32
16
1951-1952
Bologna
A
31
8
-
-
-
-
-
-
-
-
-
31
8
1953-1954
Bologna
A
34
12
-
-
-
-
-
-
-
-
-
34
12
1954-1955
Bologna
A
5
2
-
-
-
-
-
-
CM
2
0
7
2
1955-1956
Bologna
A
11
2
-
-
-
-
-
-
-
-
-
11
2


245
80


-
-


-
-


15
21
260
101
Legenda:
DN – Divisione Nazionale (massima serie)
A Serie A
CM – Coppa Mitropa
CAI Coppa Alta Italia

Gino Cappello (IV) (Padova, 2 giugno 1920 – Bologna, 28 marzo 1990). 260 presenze nel Bologna tra DN, Serie A, Coppa Mitropa e Coppa Alta Italia, con 101 reti totali; dall'esordio, 14 ottobre 1945 (Bologna - Modena 2-2), all'ultima partita giocata in rosso-blu, 5 febbraio 1956 (Genoa – Bologna 2-1). Per dieci campionati superbo centravanti tutto estro, di manovra, capace di prodezze tecniche strabilianti come di momenti di abulia inspiegabili. Con il Bologna ha vinto la Coppa Alta Italia nel 1945-1946. In Nazionale 11 presenze e 3 reti nella selezione A; 1 presenza nella Nazionale B con 2 reti; 1 presenza nella Nazionale giovanile con 2 reti.